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“Rare Resource” è il tema dei Docudays UA, il festival internazionale del film documentario sui diritti umani di Kyiv (Meridiano 13/Claudia Bettiol)
Dopo quattro intensi giorni tra letteratura ed editoria al Book Arsenal, la capitale ucraina ha deciso di continuare la sua opera di resistenza culturale attraverso il grande schermo. Dal 6 al 13 giugno il cinema indipendente Žovten di Kyiv ha ospitato la 22° edizione dei Docudays UA, un festival interamente dedicato al cinema documentario sui diritti umani, che propone ogni anno film, dibattiti e impegno civico. Quest’anno, sono la democrazia partecipativa e i cambiamenti sociali a essere il focus di cortometraggi, lungometraggi e discussioni in sala, sotto lo slogan tanto ricercato di “Rare Resource”.
Siamo stati particolarmente meticolosi a scegliere lo slogan. […] Alla fine, abbiamo optato per “Rare Resource”. Si riferisce a tutte le varianti: umane, materiali, naturali, temporali e culturali. Ci proponiamo di presentare uno spaccato multidimensionale del paese nel quarto anno di guerra
Roman Bondarčuk, direttore artistico Docudays
In questa 22° edizione sono 71 i film provenienti da 38 paesi del mondo, di cui 15 film ucraini, 7 prime nazionali e 4 prime mondiali. Ecco cosa ha visto e consiglia Meridiano 13, presente ai Docudays UA.
Odesa inaugura i Docudays UA con la storia di un sanatorio sul Mar Nero
È il pluripremiato regista irlandese Gar O’Rourke ad aprire la serata inaugurale dei Docudays UA con Sanatorium, lungometraggio che ha ricevuto una standing ovation dopo la sua proiezione e l’incontro del pubblico con i protagonisti del film e O’Rourke in persona, che ha trovato una storia degna di nota da raccontare dopo il successo di Kačalka (cortometraggio su una palestra a cielo aperto di Kyiv che risale ai tempi sovietici, considerata tra le più hardcore al mondo).
Siamo nella regione di Odesa, sul Mar Nero, più precisamente nell’estuario di Kujal’nyk, località termale che ospita il sanatorio clinico di Pirogov, meglio noto anche come Kujal’nyk Resort. Si tratta di una reliquia della cultura del benessere dell’epoca sovietica, dove i visitatori si sottopongono a trattamenti con fanghi, elettroterapie, piscine saline e bagni laser.
Fondato nel 1833 dal medico Erast Andrijevskij, questo centro termale, diventato un vero e proprio resort negli anni Settanta, è tuttora in funzione, nonostante le numerose difficoltà degli ultimi decenni e dello scoppio della guerra. Ogni estate, persone di tutte le età arrivano in questo enorme centro di cura in stile brutalista per trattamenti terapeutici che O’Rourke ha testato personalmente prima dell’invasione russa su larga scala. Un’esperienza che l’ha talmente catturato da decidere di tornarci e girarci un documentario.
Nasce così Sanatorium, una risorsa rara che raccoglie perfettamente lo spirito del tempo. Dominata dalla determinazione del personale, che continua a offrire cure a tutti quei cittadini ucraini che hanno il coraggio di metterci piede nonostante la guerra che li circonda, questa destinazione estiva di idilliaco, oggi, ha ben poco. Il sole, la leggerezza che trasmettono le immagini sullo schermo e l’ironia con cui i protagonisti affrontano i problemi reali, fanno da contrasto con l’oscurità della guerra, che incombe soprattutto durante le ore notturne per rompere la quiete sia del sanatorio che delle persone che lo frequentano.
Volevo che questo film cogliesse di sorpresa le persone e mostrasse loro una prospettiva della vita in Ucraina durante la guerra, qualcosa che non si era mai visto prima nei media o nei film. Ho visto in prima persona quanto fossero coraggiosi e valorosi sia il personale che gli ospiti, trovandosi al sanatorio in tempi così pericolosi. Un film che potesse mostrare l’impatto fisico e psicologico che una guerra ha su un individuo
spiega O’Rourke al pubblico dopo la proiezione di sabato 7 giugno.
Il cast e il regista O’Rourke di Sanatorium ai Docudays UA (Meridiano 13/Claudia Bettiol)
E lo vediamo subito questo impatto, al primo suono della sirena che invita tutti a scendere nel rifugio antiaereo e mettersi al riparo, ma che sembra in realtà scocciare e dar fastidio a molti; d’altronde, la guerra stanca, sia mentalmente che fisicamente. Solo le esplosioni notturne a pochi chilometri dal sanatorio indicano la gravità della situazione e faranno riecheggiare quel senso di angoscia, paura e preoccupazione tra gli ospiti e il personale del sanatorio, emozioni che spesso in superficie non si vedono.
Con un incredibile cast di personaggi, un brillante senso del tempo tragicomico e un occhio di riguardo per le stranezze umane, Sanatorium è prima di tutto una profonda dichiarazione d’amore per la capacità di resistenza degli ucraini.
I 2000 metri fino ad Andriivka di Mstyslav Černov
È il giornalista e regista ucraino Mstyslav Černov, vincitore del premio Oscar per il documentario 20 giorni a Mariupol’, ad affrontare (nuovamente) di petto i crimini di guerra e l’ingiustizia attraverso uno degli strumenti di resistenza più efficaci nell’era della disinformazione e della narrazione della guerra: il cinema documentario.
Il regista Mstyslav Černov in compagnia della giornalista, traduttrice e interprete dal francese Anna Koriagina (Meridiano 13/Claudia Bettiol)
Questa volta Černov, insieme al giornalista Alex Babenko, accompagna un plotone ucraino nella missione di liberazione del villaggio occupato dai russi di Andriivka, situato a una decina di chilometri da Bachmut: 2000 metri attraverso trincee, campi minati, foreste e altre insidie.
Oltre alle rappresentazioni dei crudi combattimenti durante la fallita controffensiva ucraina del 2023, 2000 metri fino ad Andriivka rivela l’umorismo nero, le preoccupazioni quotidiane e l’ostinata determinazione della 3° Brigata d’Assalto, civili diventati soldati che si ritrovano a prendere decisioni difficili nella loro lotta per riprendersi ogni centimetro di terra ucraina.
Ma più avanzano nella loro patria distrutta, più si rendono conto che questa guerra potrebbe non finire mai…
rivelano da dietro le quinte.
Il sogno olimpico di The Track
Qui è dove le cose impossibili diventano possibili, mentre quelle possibili sono impossibili.
Ci spostiamo a Sarajevo, in una Bosnia che sta ancora vivendo i postumi di una guerra dilaniante. The Track è l’esordio nel mondo del cinema documentario del canadese Ryan Sidhoo, che combina una Sarajevo dell’era olimpica di grande impatto visivo con una narrazione toccante sulla gioventù che cerca uno scopo in mezzo al persistente trauma del conflitto etnico degli anni Novanta.
La famosa pista da bob, costruita per le Olimpiadi invernali del 1984, ora abbandonata e segnata da proiettili, graffiti e ricordi di guerra, nonché meta turistica, diventa il punto di ritrovo per un allenatore nostalgico ma pieno di speranze (Senad Omanović) e di tre giovani ragazzi bosniaci (Hamza, Zlatan e Mirza) dai grandi sogni, quelli olimpionici.
Ma dove andrà a finire questa generazione di bosniaci dopo una tale distruzione, fisica quanto psicologica? C’è ancora un futuro possibile in Bosnia a 30 anni dalla fine della guerra?
Per altri approfondimenti sulla Bosnia, leggi qui!
National Exams: una penna può far più paura di un proiettile?
– Ilia Chavchavadze non temeva i proiettili, quindi voi non dovete aver paura per i vostri esami.
– Ma, prof, e se la penna fosse un’arma ben più potente?
Nana Mgaloblishvili è un’insegnante di lingua georgiana in una scuola parrocchiale nella parte occidentale del paese. Sfuggita per un soffio alla morte, ma rimasta gravemente avvelenata durante la sanguinosa repressione da parte dell’esercito russo-sovietico di una manifestazione per l’indipendenza della Georgia, nell’aprile del 1989, Nana guida con fervore i suoi alunni all’esame di Stato.
Le sue lezioni di storia e letteratura georgiana, nella lingua natia, incontrano e si scontrano con la realtà di oggi, che deve fare i conti con le repressioni del passato. Nella sua classe, la conoscenza diventa però uno strumento di stimolo per riflessioni, analisi e sviluppo di un pensiero critico in una società dove il governo ha preso una deriva autoritaria.
Ispirato dall’omonimo libro di Nutsa Kobakhidze, National Exams di Georgi Mrevlishvili racconta attraverso una fotografia sublime l’importanza di crescere e formarsi in un ambiente che tutti danno per scontato sia di stampo conservatore, tradizionalista e nazionalista.
Per saperne di più sulla Georgia, sulle ultime elezioni e sulle proteste che stanno sconvolgendo il paese, leggi gli aggiornamenti di Aleksej Tilman: qui e qui!
Il regista Georgi Mrevlishvili incontra poi il pubblico in sala per discutere su analogie e differenze che caratterizzano la società del suo paese, la Georgia, e l’Ucraina. Nonostante l’invasione russa del 2008, l’occupazione di parte del suo territorio (Abcasia e Ossezia del sud) e anni in cui il governo georgiano ha proclamato una linea pro-europea, Tbilisi si sta ora gradualmente allontanando dai principi democratici, con una retorica ufficiale che riecheggia sempre più le narrazioni filorusse.
Il regista Georgi Mrevlishvili (il terzo da sinistra) all’incontro Difendere la democrazia: la minaccia di una rinascita filorussa, elementi chiave per l’Ucraina (Meridiano 13/Claudia Bettiol)
Quali, allora, dovrebbero essere le politiche interne ed estere dell’Ucraina per evitare una rinascita russa mascherata da pace, per salvaguardare la democrazia e per mantenere la rotta scelta durante la Rivoluzione della Dignità? E quanto e come funziona la macchina della propaganda russa?
Sul tema della propaganda e della manipolazione delle informazioni, scopri anche il documentario del Kyiv Independent che ricostruisce il disastro e le conseguenze del crollo della diga di Nova Kachovka del giugno 2023: When the Water Screams.
Non solo lungometraggi e non solo est!
All’interno del fitto programma dei Docudays UA, anche i cortometraggi regalano uno spaccato su diverse tematiche legate ai diritti umani. Ci sono gli attivisti di Adidas Owns the Reality che inscenano una scioccante sfilata alla settimana della moda di Berlino per far sì che il mondo presti attenzione agli abusi sul lavoro e sull’ambiente che l’enorme marchio di abbigliamento sportivo sta cercando di nascondere. Perfected Grammar racconta, invece, la storia di una madre che insegna alla figlia di lingua ungherese la sua lingua natia, l’indonesiano, ma che riportano alla luce il rapporto turbolento con un luogo che una volta era “casa”.
Anche l’Afghanistan e l’avvincente storia di giovani ragazze orfane, la cui scuola di musica è stata chiusa dopo che i talebani hanno preso il controllo del paese, diLast Song From Kabul merita un occhio di riguardo.
Spostandosi nell’America Latina, è una prolungata siccità che minaccia di estinguere lo stile di vita dei gaucho in Argentina a essere la protagonista di Where the Trees Bear Meat, mentre sono le lotte per i diritti sociali in Cile al centro di Oasis, documentario che osserva e segue da vicino il processo storico di una rivoluzione politica iniziata nel 2019 e che l’élite al potere cerca di boicottare in tutti i modi, devastando il paese.
Un finale sul confine orientale
Chiudiamo infine questa breve rassegna con l’ultimo consiglio cinematografico: Fiume o morte! La pellicola del regista croato Igor Bezinović narra e reinterpreta, attraverso le voci dei cittadini di Fiume (Rijeka), la vicenda dell’occupazione della città nel 1919 con meticolose ricerche storiche e un tono dalla spiccata irriverenza.
Per saperne di più sul confine orientale, clicca qui!
Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraina” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.