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“I cani” di Dora Šustić, una recensione

Vincitore del premio Drago Gervais nel 2021, I cani è il romanzo d’esordio della sceneggiatrice e regista Dora Šustić. Dopo Figlio di papà di Dino Pešut, una nuova voce dalla Croazia approda sugli scaffali italiani grazie allo sforzo congiunto di Bottega Errante Edizioni e della traduttrice Sara Latorre. In patria è uscito a fine 2022 per i tipi di Fraktura e conta già quattro edizioni e alcune traduzioni.

Originaria di Rijeka, classe 1991, Šustić si è laureata in Scienze Politiche all’Università di Lubiana e ha conseguito il master in Sceneggiatura presso la FAMU, l’Accademia delle Arti dello Spettacolo di Praga. E proprio nella capitale della Repubblica Ceca si intrecciano i destini di autrice e protagonista, che portano lo stesso nome e frequentano lo stesso istituto.

Il romanzo ruota infatti attorno alle vicende di Dora, trasferitasi da Rijeka grazie a una borsa di studio ottenuta dalla FAMU, e al suo cruciale incontro con Leon, un fotografo turco.

Non sono però soltanto le strade acciottolate di Praga a fare da sfondo a I cani. Il titolo in sé contiene un riferimento legato alla Spagna: i cani in questione sono i cosiddetti galgos, ossia i levrieri spagnoli, eleganti creature che in Andalusia diventano spesso vittime dello sfruttamento umano, randagi e denutriti. Una serie incompleta di scatti che li ritraggono, cuciti a mano in un album con tanto di dedica, è quanto rimane a Dora della relazione con quell’uomo di quasi vent’anni più grande di lei.

Cerco di sottrarmi all’ossessione, di questo si tratta. Ma lui è sempre con me in questo viaggio. Lui è sempre qui. La mia vicina mi aveva detto di lasciarlo a casa come quel vestito preferito che non vuoi portarti dietro per paura di perderlo, ma io l’ho portato apposta. L’ho messo nella borsa […] e l’ho portato dappertutto, in aerei, treni, autobus, bagni pubblici, caffetterie, bettole, hotel, strade, letti. Detestavo tutti quelli che mi dicevano che il tempo guarisce, stupida banalità che hanno letto su Internet – come fa il tempo a guarire le ferite che esso stesso ha inferto? Tempo scorretto, timing sbagliato, storia mancata, fotografia inesistente. Il tempo non guarisce niente, il tempo non fa che complicare tutto.

Rijeka, Praga, Cadice, Jerez, Istanbul; Croazia, Repubblica Ceca, Spagna, Turchia; questa la costellazione che tracciano le peregrinazioni della protagonista de I cani, figlia della propria generazione, del privilegio di essere cittadina europea e avere ampio margine di movimento.

Affamata e mai paga, arriva all’Accademia poco più che ventenne, con l’intenzione e la speranza di riuscire a ottenere dalla vita tutto il possibile: sapere, libertà, sesso, lavoro, successo, amore e soldi. Ha già nel proprio bagaglio alcune esperienze liberatorie e ribelli quando incrocia per la prima volta lo sguardo di Leon, “alto, terribilmente sottile e magro”.

Quella che Dora pensava sarebbe stata l’avventura di una notte è invece il principio di un legame viscerale e totalizzante, dove i destini dei due si allineano soltanto per un breve, fatidico momento: “sapevo che non saremmo durati, capivo quanto fosse transitoria quella sensazione di perfezione, ma in quella transitorietà per un momento avevo trovato la pace”.

Da una parte ci sono gli occhi verdi di lei, l’infanzia felice e priva di traumi, dall’altra i “tre strati di occhiaie incise” di lui, il passato denso di ricordi che lo tormentano. Ogni parola, ogni gesto che intercorre tra i due è descritto in modo lucido e concreto, senza abbellimenti, senza fantasticherie.

E io lo amavo tanto, non perché lo volessi amare, o perché l’avessi scelto consapevolmente, o perché mi facessero bene i momenti di tenerezza da parte sua, o semplicemente perché è bello amare e pensare di essere importante per qualcuno anche se non lo sei, no, lo amavo perché quello era il mio obiettivo, perché il mio dovere era amarlo, per il bene dell’intero universo, il mio amore per lui è uguale a quella famosa forza che muove le stelle e separa le placche tettoniche e fa girare la luna attorno alla terra così come io giravo attorno a lui con tutte le mie estensioni corporee, anche se sarebbe stato più facile non amarlo, almeno non in quel periodo, quando gli sbalzi d’umore, di pensiero e di empatia erano troppo frequenti, le fluttuazioni ormonali costanti, i precipizi troppo profondi e le montagne troppo alte – in quel periodo non mi faceva bene amare lui. Ma lo amavo comunque. Per quanto anziché lui avrei dovuto amare me stessa, perché vicino a lui stavo invecchiando troppo velocemente.

L’impostazione cinematografica dell’opera di Dora Šustić è subito chiara ed evidente. Oltre ai riferimenti tecnici contenuti all’interno, – come i rimandi ai registi Nagisa Ōshima e Věra Chytilová, che fa anche la propria comparsa in carne ed ossa per qualche pagina – la potenza dei passaggi narrativi e il loro alternarsi agilmente tra le varie coordinate geografiche del romanzo contribuiscono alla sensazione in chi legge di vedere il libro quasi più che leggerlo. A tutto ciò contribuisce anche il gioco di scatole cinesi tra la Dora-autrice e la Dora-protagonista impegnata nel tentativo di stendere una sceneggiatura per portare a termine il corso di studi.

Sarebbe riduttivo definire I cani come un romanzo di formazione, perché va oltre la mera storia della relazione tra i due protagonisti. Intessuto di contrasti, mette in contrapposizione classi, paesi, ideali e aspirazioni, offrendo la fotografia di una generazione non più disposta a scendere a compromessi, pronta perfino all’autodistruzione se la posta in gioco è vivere appieno ognuna delle esperienze che la vita le mette davanti. Un ardore che nel caso di Dora si lega a doppio filo con la ricerca della propria identità e dell’emancipazione della sua femminilità, quasi a ogni costo.

Guardando dal finestrino le praterie slovacche al posto del cielo turco, schiacciata su un sedile in fondo all’autobus, non pensavo a come si sentisse lui. Non pensavo alle sue ragioni per volere che io andassi da lui, perché si sentisse a disagio nel riconoscere che gli era difficile stare da solo. Non pensavo a come avesse interpretato il mio messaggio in cui avevo scritto che credevo fosse tutto un segno che non fossimo destinati, perché lui sarebbe stato per sempre da un’altra parte, dalla parte dell’estraneo, dello straniero in Europa, dell’artista senza un’occupazione stabile; dalla parte del vedovo, dell’uomo grande e infelice che non c’era modo di aiutare. Tutto ciò che il mio privilegio da erasmus annullava, lui lo era.
Non pensavo a lui. Pensavo soltanto a come trasferire quell’esperienza in un testo.


I cani di Dora Šustić, traduzione di Sara Latorre, Bottega Errante Edizioni, 2025

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Giorgia Spadoni
Giorgia Spadoni

Traduttrice e interprete. S’interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove si è laureata presso l’Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours. È autrice della guida letteraria “A Sofia con Georgi Gospodinov” (Giulio Perrone Editore).