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“Viaggio al termine della vita” di Tezer Özlü, una recensione

Applicare a Viaggio al termine della vita di Tezer Özlü l’etichetta di “romanzo” è tanto pratico quanto riduttivo nei confronti dell’opera e della stessa autrice. Pubblicato originariamente in lingua tedesca nel 1983 con il titolo Auf den Spuren eines Selbstmords (“Alla ricerca di un suicidio”) per poi passare attraverso una seconda stesura in turco e ripubblicazione nel 1984, si tratta di uno dei due volumi di culto della scrittrice, insieme a Le fredde notti dell’infanzia. Viaggio al termine della vita è arrivato però in Italia soltanto la scorsa primavera, grazie a Crocetti Editore e alla traduttrice Giulia Ansaldo.

Non voglio rispondere alla domanda da dove vengo. Non vengo da nessun posto. A parte me stessa.

Nata nel 1943 a Simav, nella regione dell’Egeo dove scorre l’omonimo fiume, Özlü si trasferisce più volte a seconda degli impieghi dei genitori. All’età di circa dieci anni la famiglia si sposta a Istanbul. Lì comincerà a studiare lingue straniere, in primis il tedesco, al liceo austriaco San Giorgio, senza diplomarsi. A diciotto anni tenta di suicidarsi, per poi intraprendere un viaggio in Europa, girando anche in autostop. Negli anni Sessanta inizia la sua attività di traduttrice dal tedesco e dall’italiano – lavorando su autori del calibro di Italo Svevo, Franz Kafka e Cesare Pavese – e a comporre i primi testi.

Sposa l’attore e scrittore Güner Sümer, conosciuto a Parigi, e si trasferisce con lui ad Ankara. Non molto tempo dopo lo lascia e torna a Istanbul, dove entra ed esce da varie cliniche psichiatriche sottoponendosi a diverse terapie. Nel 1968 convola a nozze con il regista Erden Kıral, da cui nel 1973 ha una figlia, Deniz. Nel 1981 ottiene una borsa di studio che le permette di vivere un anno a Berlino, e nel 1984 si trasferisce a Zurigo con il terzo marito, l’artista svizzero Hans Peter Marti, città dove morirà di cancro due anni dopo.

L’inizio e la durata di ogni amore sono colmi del vuoto e della solitudine che la fine di quell’amore porterà con sé. Come la vita, che abbiamo cercato di definire in mezzo alle incertezze. Il desiderio di provare la vita a sé stessi. Forse le persone che non sentono il bisogno di dimostrare la vita a sé stesse vivono anche senza sentire in profondità i loro amori, senza trasformarli in dolori. Oppure fanno esperienza dell’amore come amore, dello stare insieme come stare insieme, della separazione come separazione, della vita come vita, della morte come morte. Eppure la vita si definisce con la morte, la morte con la vita. Ma tu. Per te lo stare insieme è separazione, la separazione è stare insieme, l’amore è disamore, ogni sensazione è il momento in cui comincia l’insensibilità. Stare accanto alla pelle di qualcuno significa dimenticare la propria esistenza? O percepirla più a fondo? La mia propria esistenza. Ogni esistenza non porta con sé anche la morte?

Basta leggere queste prime righe di Viaggio al termine della vita per cogliere il motivo di tanta devozione nei confronti dei libri di Tezer Özlü. Complice la travagliata biografia, la sensibilità acutissima acuita dall’amore viscerale per le parole e la letteratura, la scrittrice e traduttrice turca assembla testi che sono crocevia di racconti di viaggio, spietati passaggi introspettivi e momenti profondamente lirici. Curiosa e passionale, impulsiva e riflessiva al contempo, dalla sua mente e dalla sua penna sgorgano moniti rivolti a sé stessa ma anche agli altri, alle persone ordinarie, categoria a cui sente di non (volere) appartenere.

Nessun lato di me si concilia con il vostro ordine, la vostra concezione dell’intelletto, della virtù, del successo. Mi vesto per girare in mezzo a voi. E mi vesto perfino bene. Perché date i posti migliori a chi si veste bene. Lavoro per girare in mezzo a voi. Perché non mi permettete di lavorare come voglio. Perché non permettete di usare l’istinto in un impiego. Posso fare tutte queste cose senza sforzo, e voi credete che qualcosa sia stato fatto. È tutta la vita che mi logorate. Con le vostre case. Con le vostre scuole. Con i vostri posti di lavoro. Sono logorata dalle vostre istituzioni pubbliche o private. Volevo morire, mi avete resuscitato. Volevo scrivere, avete detto che avrei fatto la fame. Ho provato a rifiutare il cibo, mi avete infilato una flebo. Sono impazzita, mi avete fatto l’elettroshock. Mi sono ritrovata con una persona che non sarà mai una famiglia, eppure siamo diventati una famiglia lo stesso. Io sono al di fuori di tutto questo. Adesso, mentre lascio questo hotel di cui sono l’unica ospite, in questo mattino in cui non so verso quale stazione di treni o autobus, verso quale aeroporto o porto mi dirigerò, sento di essere tutto tranne che una brava persona, responsabile e di successo.

Dalle pagine di Viaggio al termine della vita si dispiega un itinerario europeo che va da Belgrado a Praga, da Trieste a Torino, fino a Santo Stefano Belbo. Si tratta infatti di un percorso sulle tracce di quegli scrittori che più hanno segnato Özlü. E così va alla ricerca della tomba di Franz Kafka, riesce a incontrare la figlia di Svevo e visitare il paese natale di Cesare Pavese. Costellato soprattutto di citazioni di quest’ultimo è difatti il volume, che si conclude proprio in una stanza dell’Hotel Roma di Torino, dove nell’agosto 1950 lo scrittore italiano si toglie la vita.

Il treno va da Niš a Belgrado. Dentro di me provo l’emozione di conoscere Torino, di girare per le sue strade. Ma prima voglio sentire sulla pelle i venti di Trieste. I venti della città di Italo Svevo. Svevo che ama disperatamente Ada, ma nella Coscienza di Zeno la fa soffrire. La vita profonda della letteratura, fatta di amore, contraddizioni, dolore, lacrime, suicidi. Mi fido di questi sentimenti, mi fido della letteratura, è il mio mondo più leale.

Quella di Tezer Özlü è una poetica fatta di contrappunti, di contrasti, di tesi e antitesi per arrivare alla sintesi su carta. Vita e letteratura si fondono e si nutrono a vicenda in un circolo infinito che non conosce tregua né limiti, i cui echi giungono incessantemente da ogni dove. L’unica salvezza è accettare che ogni singolo elemento, ogni singola fase della vita umana è transitoria, e contiene al suo interno il proprio opposto. L’unica pace è abbracciare l’esistenza come perenne viaggio.

È dai morti che prendo il coraggio di vivere. Dai morti che ho vissuto nei loro racconti. Dai morti che sono riusciti a trasformare questo mondo maledetto in un mondo vivibile. Dai morti che hanno detto, scritto, offerto ciò di cui il mondo ha bisogno.


Viaggio al termine della vita di Tezer Özlü, traduzione di Giulia Ansaldo, Crocetti Editore, 2025
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Giorgia Spadoni
Giorgia Spadoni

Traduttrice e interprete. S’interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove si è laureata presso l’Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours. È autrice della guida letteraria “A Sofia con Georgi Gospodinov” (Giulio Perrone Editore).