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Gli schiavi del Caucaso nell’Italia del Tardo Medioevo

di Giorgio Comai *

Le repubbliche marinare italiane erano molto attive nel Mar Nero tra il XIII e il XV secolo. Un libro ne racconta la presenza sulle coste dell’Abcasia e il ruolo di Genova nella tratta degli schiavi del Caucaso.

Tra il XIII e il XV secolo la Repubblica genovese vantava una presenza consolidata a Sukhumi e altrove in Abcasia, sulla costa nord-orientale del Mar Nero. Dato il ruolo all’epoca di primo piano delle repubbliche marinare italiane nel commercio intorno al Mar Nero, ciò non sorprende, ma questo dato di base può essere stato facilmente trascurato anche da coloro interessati alla regione e che hanno avuto modo di leggere qualche libro sulla storia del Caucaso e del Mar Nero. Ad esempio, il godibile Black Sea di Neal Ascherson mette in risalto la più evidente presenza veneziana e genovese in Crimea e sul Mar d’Azov, ma non ne cita i rapporti in Abcasia. Altri libri sulla storia del Caucaso, come Ghost of Freedom di Charles King o Let our Fame be Great di Oliver Bullough, che tra l’altro descrive in vivido dettaglio la difficile situazione dei circassi, si concentrano sui secoli successivi.

Eppure, la presenza genovese rappresenta una parte interessante e importante della storia dell’Abcasia nel Medioevo. Prove rilevanti, precedentemente disponibili solo in fonti primarie e sparse in una varietà di libri e articoli che trattavano tangenzialmente l’argomento, sono ora rese disponibili in un libro recentemente pubblicato in russo da Vjačeslav Čirikba, L’Abcasia e le città-stato italiano nei secoli XIII-XV. Nei circoli accademici, Čirikba (originario dell’Abcasia) è principalmente conosciuto come rispettato studioso delle lingue caucasiche con una lunga esperienza di ricerca presso l’Università di Leida nei Paesi Bassi. Altri potrebbero ricordarlo per la sua posizione di ministro degli Affari Esteri per le autorità di fatto a Sukhumi tra il 2011 e il 2016.

In questo libro, Čirikba punta a evidenziare la continua esistenza di un’entità abcasa nel corso dei secoli e offre la sua confutazione di alcune ipotesi storiografiche avanzate da colleghi georgiani, ma tali questioni non sono centrali per le tematiche principali delineate nel libro, che in effetti azzecca il titolo concentrandosi sulla presenza genovese in Abcasia e sulle dinamiche che ha consentito. Il background da linguista di Čirikba emerge più chiaramente nei capitoli dedicati agli etnonimi e ai toponimi usati dai cartografi e dai marittimi italiani per riferirsi alle persone e ai luoghi della costa nord-orientale del Mar Nero, nonché all’etimologia di determinate parole che potrebbero avere la loro origine nella presenza genovese.

Leggere i nomi di tanti emissari e commercianti italiani stanziati lungo la costa nord-orientale del Mar Nero nel Medioevo è di per sé fonte di curiosità, ma ad offrire più spunti di riflessione al lettore italiano saranno forse i dettagli sul ruolo dei mercanti genovesi nella tratta degli schiavi dalla regione e le informazioni sulle migliaia di schiavi circassi e abcasi a servizio nelle ricche famiglie delle città del nord Italia.

I genovesi in Abcasia

Tra il XIII e il XV secolo le repubbliche marinare italiane hanno svolto un ruolo dominante nel commercio dal Mar Nero verso l’Europa. Fra gli importanti centri di commercio che coinvolgevano le repubbliche marinare italiane troviamo Tana per la Repubblica di Venezia e Porto Pisano sul Don, stabilito dalla Repubblica di Pisa sul Mar d’Azov, nell’attuale Russia. La Repubblica di Genova aveva una presenza più forte a Caffa, corrispondente all’odierna città di Feodosia nella penisola di Crimea (per inciso, vista la recente pandemia, vale la pena ricordare il ruolo dei mercanti genovesi nella diffusione della peste nera in Europa nel XIV secolo, come del resto è ampiamente riconosciuto che la peste si sia diffusa in Europa a partire dalla città portuale genovese di Caffa in Crimea; per ricerche più approfondite si veda ad esempio The origin and early spread of the Black Death in Italy: first evidence of plague victims from 14th-century Liguria).

Più a est, in Abcasia, i genovesi stabilirono il loro porto principale alla fine del XIII secolo nella città che chiamavano Savastopoli, nota come Sebastopolis nelle antiche fonti romane, e corrispondente all’odierna Sukhumi, la città principale dell’Abcasia (la città di Sebastopoli, nell’odierna Crimea, assunse il nome attuale molto più tardi, alla fine del XVIII secolo). Altrove in Abcasia, i genovesi avevano porti di scalo nell’attuale Nuovo Athos e a Bambora (vicino a Gudauta), che i genovesi chiamavano “Cavo de Buxo”, o porto di bosso, a testimonianza della sua importanza come luogo di commercio del legno di bosso.

La storia dei genovesi in Abcasia è ben documentata in documenti burocratici e di corrispondenza. Nel 1280 c’era un notaio genovese a Sukhumi che registrava ufficialmente le vendite di navi. All’inizio del XIV secolo vi fu fondata un’arcidiocesi cattolica. Nel 1354 fu aperto a Sukhumi un consolato genovese con un piccolo staff, con il relativo console inviato da Feodosia in Crimea. Per circa un secolo, fino al 1456, Genova ebbe un proprio consolato a Sukhumi, nonostante un rapporto tutt’altro che idilliaco con gli abitanti del posto (alcuni candidati genovesi alla carica rifiutarono di essere inviati in Abcasia, presumibilmente per motivi di sicurezza e per la sua posizione periferica). Un motivo chiave per il rapporto teso con la gente del posto era probabilmente il ruolo che i mercanti genovesi avevano nella tratta degli schiavi dalla regione.

Per altri articoli sull’Abcasia, leggi qui

La tratta degli schiavi del Caucaso

Nel XIV e XV secolo la maggior parte degli schiavi acquistati in Italia proveniva dalla regione del Mar Nero, come circassi, abcasi e tatari (ma, con poche eccezioni, non georgiani o armeni, in quanto cristiani).

Secondo le stime, circa il 4-5% della popolazione nelle città settentrionali della penisola italiana nel XV secolo era costituita da schiavi. A Genova, dove esisteva una specifica tassa sugli schiavi, sono disponibili dati più precisi, che collocano il numero di schiavi a 7223 nel 1381, per poi diminuire a circa 2000 a metà del XV secolo.

Per lo più si trattava di schiave della regione del Mar Nero e del Caucaso occidentale che finivano a lavorare come domestiche in ricche famiglie urbane; dopo circa un decennio, a seconda delle circostanze, venivano spesso liberate. Presumibilmente non erano una rarità i bambini nati dalle schiave e dai loro padroni, e su alcuni di loro sono rimaste chiare prove. Ad esempio, Carlo di Cosimo de’ Medici era il figlio del famoso Cosimo de’ Medici e di Maddalena, una schiava circassa acquistata a Venezia. Recentemente si è parlato di Leonardo da Vinci, notoriamente nato fuori dal matrimonio, probabilmente partorito da una schiava circassa.

Alla fine, la caduta di Costantinopoli nel 1453 segnò l’inizio della fine della presenza delle repubbliche marinare italiane nel Mar Nero. Negli anni e decenni successivi, gli Ottomani presero il controllo delle città più caratterizzate dal commercio italiano, prima Sukhumi e poi Tana e Caffa.

Non sorprende che, per un libro sui rapporti tra l’Abcasia e le repubbliche marinare italiane, Čirikba non entri nei dettagli sulla vita degli schiavi del Caucaso occidentale in Italia, e su cosa sarebbe successo loro dopo essere stati liberati (a quanto pare, molti continuavano a lavorare come servi per i loro ex padroni, ma altri si sposavano o avviavano un’attività in proprio).

Questo è solo uno dei tanti casi in cui questo libro funge da potenziale punto di partenza per ricerche più approfondite sia sulla vita quotidiana poco conosciuta degli schiavi liberati in Italia nel Medioevo, che sulla situazione dell’epoca in e intorno all’Abcasia. In effetti, gli archivi di Genova, Venezia e Vaticano possono ancora avere molto da dire sulla storia dell’Abcasia tra il XIII e il XV secolo.

Questo articolo è stato pubblicato dal nostro partner Osservatorio Balcani Caucaso e Transeuropa

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Redazione
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