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Nel XIII secolo, Nagyvárad (l’odierna Oradea, in Romania) era una vivace cittadina del regno d’Ungheria, popolata da persone di origini diverse. Questo centro urbano, che oggi potremmo definire multietnico, ospitava comunità di tedeschi, naturalmente ungheresi, individui giunti dalla Rus’ di Kiev e, ultimi ma non meno importanti, alcuni gruppi di cumani (polovcy). Proprio quest’ultimi rivestivano un ruolo particolare all’interno del contesto politico e militare dell’epoca; erano considerati dagli ungheresi come alleati preziosi, accolti nel regno soprattutto in funzione di una minaccia crescente che si profilava all’orizzonte: quella dei mongoli.
Fra gli uomini di chiesa che operavano presso la sede di Nagyvárad vi era un chierico italiano cui nome era Ruggero di Puglia. Tale Rogerius, originario di Torrecuso (probabilmente, Torremaggiore), aveva completato i suoi studi prima a Bologna e in seguito a Piacenza, alla corte del cardinale Jacopo di Pecorara, vescovo di Preneste. Quest’ultimo, legato papale per l’Ungheria, riconoscendo il talento del suo allievo, si adoperò affinché Ruggero si trasferisse in quella nazione, dove avrebbe ricoperto la carica di arcidiacono.
La sua posizione gli avrebbe garantito una vita piuttosto agiata e pacifica visto che, almeno dalle fonti, viene ricordato come un edonista. Tuttavia, la sua vita sarebbe stata stravolta in poco tempo e la sua storia sarebbe rimasta nota fino ai giorni nostri. A testimonianza della sua rilevanza, ancora oggi un quartiere di Oradea porta il suo nome.
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Nel 1237, una folla di nomadi cumani superò il confine del regno ungherese in cerca di aiuto, asilo e protezione. Presi dalla disperazione, invocavano alla fuga dalla propria terra per colpa di un terribile popolo composto prevalentemente da guerrieri. Attraverso i libri di storia sappiamo bene che intorno al 1240 i mongoli – conosciuti anche con il nome di tartari – attaccarono i confini dei vari principati russi, provocando un influente flusso migratorio degli abitanti sotto attacco.
L’Europa cristiana, almeno inizialmente, non prese in considerazione questi avvenimenti poiché la fede ortodossa praticata dagli slavi esentava quello stesso popolo dall’etnocentrismo cristiano-latino. L’imperatore dell’epoca, Federico II, era per altro occupato a fronteggiarsi con i comuni italiani, lasciando scoperte le periferie orientali dell’impero. A subirne le conseguenze furono, quindi, proprio i confini dell’Europa e tra questi vi rientrava a pieno regime il regno d’Ungheria.
Il re di quest’ultima, Bela IV, ricevette intorno al 1240 un ultimatum da parte del condottiero Batu, capo del popolo guerriero dell’Orda d’Orononché figlio di Jochi, primogenito di Gengis Khan. Tra gli altri combattenti mongoli in terra europea si citano i nomi di Baydar, Ordu, Kaidu, Büri, Böcek e il fratello di Batu, Šaiban. Tutti loro impiegavano una strategia militare veloce, caratterizzata da assalti rapidi con i cavalli, false ritirate e attacchi in luoghi inattesi.
Fu così che l’anno dopo, nel 1241, una schiera infinita di cavalieri tartari valicò il confine ungherese, dando il via a una spietata guerra. La loro forza inarrestabile fece breccia sul versante settentrionale, colpendo il confine (dell’epoca) con la Polonia, per poi spostarsi sulla parte orientale della nazione ungherese. Tra le città cominciò a circolare la voce che il re Bela fosse stato sconfitto in battaglia e, per questo motivo, si venne a creare molto sconforto tra gli animi degli ungheresi. In realtà, Bela era fuggito dai suoi incarichi e si era nascosto nelle aree del Danubio, lasciando il proprio regno a un terribile destino.
Ruggero salvaci tu
In mancanza del vescovo locale cui nome era Benedetto, Ruggero fu chiamato dai signorotti autoctoni nell’amministrazione della difesa di Nagyvárad. Egli si mosse con l’idea di restaurare la cinta muraria, costruire delle torrette che facessero da guardia e affidare un presidio continuo a un gruppo d’arme. Oltre a tutto questo, vi era da mettere in conto anche una potenziale sconfitta e, quindi, Ruggero pensò anche a un eventuale piano di fuga.
Quando l’ombra dei tartari giunse sull’odierna cittadina rumena, molti abitanti cercarono di difendersi come meglio potevano mentre altri, come Ruggero, non resistettero e si diressero verso la foresta. Proprio da quest’ultima, l’arcidiacono potette assistere alla disfatta della città, vedendo con i propri occhi lo sterminio degli abitanti senza alcun tipo di ritegno.
Una volta fuggiti, i superstiti si diressero verso una cittadella di nome Tamáshida-Thomasbruck (l’odierna Tămasda), anch’essa caduta sotto la furia dei tartari i quali avevano decapitato tutti gli abitanti della zona. Via via che Ruggero trovava dei sopravvissuti, questi si univano in una congregazione che si posizionò nei pressi del fiume Körös. A quel punto, molti abitanti decisero di opporsi agli invasori adottando il cosiddetto “metodo italiano”, ispirato ai comuni dell’Italia settentrionale e alla loro resistenza contro Federico II.
Questo metodo consisteva essenzialmente in una strategia difensiva centrata sulla protezione del proprio territorio, rafforzando le milizie in un solo punto per respingere il nemico. Il richiamo ai comuni italiani fu probabilmente un modo per risollevare il morale del popolo ungherese, poiché una realtà “più piccola” come quella della Lega Lombarda era riuscita a sconfiggere un colosso come lo Stupor Mundi. Tuttavia, Ruggero aveva ormai imparato a conoscere le modalità offensive mongole e, per questo motivo, optò per la fuga a gambe levate. Ovviamente, per chi se lo stesse chiedendo, la colonia situata sul fiume Körös venne spazzata via dai mongoli senza alcuna pietà.
Passarono i giorni e Ruggero continuò a nascondersi tra i boschi e le grotte della regione, in attesa che i tartari proclamassero una sorta di tregua. Questo avvenne alcune settimane più tardi, sebbene non in modo del tutto pacifico. I mongoli, infatti, concessero la salvezza ad alcuni dei fuggitivi, a patto che si rendessero disponibili a lavorare nei campi. Quelle terre, ormai conquistate, dovevano essere non solo occupate ma anche amministrate e rese produttive. Ruggero fu tra i pochi “fortunati” scelti per questa nuova fase: sopravvisse, ma al prezzo della libertà. Così ebbe inizio per lui una vita dura, segnata dal lavoro forzato e dalla sottomissione a un nuovo ordine imposto dai conquistatori.
Nel frattempo, i mongoli proseguirono la loro avanzata verso sud-ovest, puntando le armi contro alcuni centri strategici come Esztergom. Tuttavia, le fortificazioni ungheresi in quelle aree si rivelarono meglio preparate rispetto ad altre regioni precedentemente colpite. A Spalato, ad esempio, le difese riuscirono a resistere con successo, respingendo l’attacco mongolo. Bela, nel mentre, continuava a fuggire per non cadere nelle mani nemiche, giungendo addirittura fino in Dalmazia, cercando di trovare degli alleati che potessero aiutarlo in questa situazione tanto delicata.
Fu solo nel 1242 che i tartari abbandonarono il loro sogno di conquista europea, ritirandosi verso le terre dell’attuale Ucraina e della Russia. Con loro portarono tutto ciò che avevano accumulato durante le incursioni: ricchezze, bottini e prigionieri. Tra questi figurava anche Ruggero, ormai ridotto in servitù, che fu costretto a seguire l’esercito invasore. Il suo viaggio fu lungo e faticoso: attraversò a piedi l’intera Transilvania, fino a raggiungere le vaste pianure ucraine.
Resosi conto che una volta varcate quelle lande non avrebbe fatto più ritorno, Ruggero preferì mettere a repentaglio la propria pelle. Come in un film, grazie a una scusa come quella di un bisogno corporale, Ruggero intraprese una corsa disperata, riuscendo a penetrare nella macchia e scampare al terribile destino (Grillo, p. 44). Le guardie lo inseguirono ma lui, incredibilmente, riuscì a sotterrarsi vivo, nascondendo il suo corpo sotto il manto delle foglie, rimanendo per ben due giorni fermo e immobile.
A quel punto, uscì dal nascondiglio e con altri due evasi imboccò la strada del ritorno. Ruggero, per molti giorni, si nutrì di cipolle, porri e spicchi d’aglio che trovava lungo gli orti devastati dagli invasori. Raggiunse, finalmente, il centro abitato di Fràta ove incrociò un gruppo di sopravvissuti che era riuscito a mettersi in salvo grazie a un riparo sulle montagne. Indelebile alla mente di Ruggero fu la possibilità di riassaporare il gusto e il sapore del pane.
La conclusione dell’odissea vissuta dal chierico più pazzo del mondo
Come si suol dire con l’espressione toscana “arrivare dopo i fuochi”, Bela IV fece ritornò in patria ormai troppo tardi per cambiare le sorti dell’invasione mongola. Rientrò con un esercito ottenuto a Spalato, ma i mongoli si erano già ritirati, lasciando dietro di sé distruzione e macerie. Ad ogni modo, Ruggero fu finalmente soccorso e poté, a quel punto, redigere una cronaca – intitolata Carmen miserabile – destinata a far comprendere all’Europa la reale portata della minaccia proveniente dall’ignoto Oriente. Il suo racconto, impregnato dalle sensibilità tipiche del medioevo latino, avrebbe dovuto contenere tutte le tappe dell’invasione tartara in Ungheria.
A differenza degli arabi o degli ultimi pagani del nord, ormai ben inquadrati dalla cristianità dell’epoca, i mongoli rappresentavano una realtà completamente sconosciuta al popolo europeo. Proprio questa alterità radicale contribuì ad alimentare un senso di terrore misto a smarrimento, che la cronaca dell’italiano cercò di tradurre con un linguaggio comprensibile per i lettori del tempo.
“Non è tutto tartaro quel che invade”
Come in ogni storia, è bene saper inquadrare e contestualizzare l’ordine degli avvenimenti. Perché i mongoli hanno attaccato quella regione? Veramente la popolazione dei tartari aveva intenzione di sottomettere l’intero continente europeo? Per rispondere a queste domande, esistono tantissimi casi di studio che si sono interessati sulle vicende di quell’affascinante popolo che, nel XIII secolo, destò il panico in ogni parte del mondo allora conosciuto. Tuttavia, i fatti che riguardano le incursioni nell’area ungherese non sono dettati dal caso e, infatti, esistono delle congetture che fanno avanzare qualche dubbio.
Ricordate i cumani? Ebbene, è possibile che Bela IV nutrisse interessi di natura militare nei loro confronti, analoghi a quelli dei mongoli. È altrettanto plausibile che la natura nomade dei cumani avesse infastidito la nobilitas ungherese, alimentando il distacco tra il ceto dirigente e la stessa corona di Santo Stefano. Il fatto che pochi abbiano aiutato Bela durante i raid mongoli si ricollega anche all’approfittarsi della situazione, come fece il duca d’Austria Federico II il Litigioso, che occupò alcuni territori situati lungo la frontiera con il Regno d’Ungheria.
Ad aggiungere carne sulla brace, è il fattore “ritirata” da parte degli stessi invasori. Tra il 1241 e il 1242 tutti gli abitanti dei khanati mongoli dovettero riunirsi per via della scomparsa del gran khan Ogodei. L’Occidente, che inizialmente era all’oscuro di questo fatto, associò il gesto dell’improvvisa ritirata all’avvento della provvidenza.
Importante poi sottolineare come tra il 1241 e il 1242 la stagione invernale fu rigidissima tanto che il letto del Danubio divenne una lastra di ghiaccio. Le condizioni difficili di sostentamento, soprattutto per i cavalli e il loro foraggio, potrebbero aver indotto i mongoli nel fare dietrofront. Questo episodio rimarrà probabilmente un punto interrogativo per la storiografia, ma, come accennato in precedenza, esistono numerose pubblicazioni e ricerche approfondite sulla storia mongola, che invito ancora una volta a esplorare per farsi un’idea più chiara sugli eventi di quel periodo.
Come se non bastasse, gli anni esaminati nel testo sono cruciali per comprendere il processo che portò alla nascita degli scambi e delle interazioni tra il Vecchio Continente e l’Asia. Mentre i mongoli dell’Orda d’Oro minacciavano le terre europee, molti viaggiatori – tra cui numerosi italiani – intrapresero quel cammino affascinante e misterioso che sarebbe poi passato alla storia come Via della Seta. Per questo, è importante ricordare come il profilo del popolo mongolo non sia caratterizzato solo da razzie, atti di violenza e crudeltà.
Al contrario, esso comprende anche aspetti straordinari, come quelli descritti da viaggiatori e missionari dell’epoca, tra cui Guglielmo di Rubruck, Odorico di Pordenone e Giovanni da Pian del Carpine. Questi testimoni oculari ci hanno lasciato resoconti preziosi che offrono uno spunto per comprendere non solo la ferocia, ma anche la complessità e la ricchezza culturale tramandata dai mongoli.
Mentre Ruggero, che fine ha fatto? Egli trasformò quella che inizialmente sembrava una vita sfortunata in una vera e propria carriera. Ruggero venne promosso nel 1244 come canonico di Zagabria, ebbe modo di raccontare la sua intera storia al concilio di Lione davanti a papa Innocenzo IV e Vincenzo di Beauvais (autore dell’enciclopedico Speculum historiale) e, nel 1249, divenne vescovo di Spalato. Passò a miglior vita vent’anni più tardi, precisamente nel 1266, poiché il suo corpo, sepolto nella sopracitata città croata, soffriva ancora per quella vicenda che lo avrebbe fatto conoscere alle generazioni future.
Libri impiegati e consigliati
Fara, L’impatto delle invasioni mongole nelle terre ungheresi: la guerra e la carestia attraverso il Carmen miserabile di Ruggero di Puglia (1244), in Guerra y carestía en la Europa medieval, Lleida, Editorial Milenio, 2014, pp. 65-86.
P. Grillo, Le Porte del Mondo, l’Europa e la globalizzazione medievale, Milano, Mondadori, 2019.
Maestro Ruggero, Carmen Miserabile, l’invasione dei mongoli in Europa, a cura di G. Andenna, Traduzione di J. Raduvolić, Bologna, Marietti1820, 2012.
G. Ortalli, Dall’Europa a scoprire l’Oriente, Da Gengis Khan a Marco Polo,Roma, Viella Libreria Editrice, 2021.
L. Petech, Introduzione, in Storia dei Mongoli (di Giovanni da Pian del Carpine), Spoleto, Centro Italiano di Studi sull’Alto Medioevo, 1989.
L. Pubblici, Dal Caucaso al Mar d’Azov, L’impatto dell’invasione mongola in Caucasia fra nomadismo e società sedentaria (1204-1295), Firenze, Firenze University Press, 2018.
Laurea triennale in Storia e Tutela dei Beni Culturali e magistrale in Scienze Storiche presso l’Università degli Studi di Firenze. I suoi interessi principali vertono sulla storia medievale con una corsia preferenziale per quella scandinava e normanna, caratterizzata da un’impronta medievalistica.