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L’esperanto, una lingua (quasi) da premio Nobel

Duolingo lo ha lanciato come corso nel 2014 e da allora ha raccolto oltre un milione di iscritti; esistono gruppi Facebook e pagine Twitter dedicate a chi lo parla; l’app Amikumu permette di individuare i primi cento utenti in ordine di distanza con cui poter comunicare in questa lingua: l’esperanto sembra aver trovato nuova linfa vitale nel mondo del web. Sia Google che Facebook offrono da anni la versione in esperanto e gli articoli in Wikipedia sono oltre 240 mila, come quelli in turco o coreano.

Tra i parlanti di questa lingua artificiale ci sono nomi noti, quali J.R.R. Tolkien, il presidente italiano Scalfaro e quello austriaco Franz Jonas, svariati premi Nobel quali Alfred H. Fried (Pace, 1911), Linus Pauling (Chimica, 1954), Daniel Bovet (Medicina, 1957), Reinhard Selten (Economia, 1994).

Migliorini in Italia ne curò il manuale di base già nel 1923 e coniò la felice metafora che vede le lingue naturali come piedi e quelle artificiali (quale l’esperanto) come relative scarpe.

Se ti interessano le lingue puoi leggere anche: Una lingua caucasica poco conosciuta: l’abcaso, “Parole-Macedonia”: le voci della gioventù macedone  e Lingue contaminate: dal mélange ucraino-russo al dialetto cosacco.

Umberto Eco, interessatosi di esperanto, riteneva che potesse divenire “un crocevia, una specie di Hong Kong delle lingue”; al contrario di lingue naturali come l’inglese che si imparano per motivi pratici e a differenza di altre lingue artificiali, a suo avviso, l’esperanto si è mostrato un progetto forte, alle cui spalle vi è “un’ideologia”, “una religione che spinge le persone a imparare e parlare la lingua”.

Oggi Esperantujo (o Esperantio, la comunità esperantista mondiale) ha una base di parlanti che si aggira attorno ai due milioni, per quanto si possa ampliare il numero fino a cinque milioni, se si conteggiano le persone che lo hanno appreso e non lo esercitano o coloro che non si sono registrati nelle organizzazioni ufficiali. Alcuni dati per paese sono disponibili qui.

Ciononostante, ricorda Giancarlo Rinaldo, esperantista di Padova, oggi “l’esperanto rimane una lingua scarsamente conosciuta: in Italia, per esempio, fra i nuovi laureati solo il 30% circa sa che esiste una lingua internazionale effettiva; il 70% risponde che è l’inglese”.

Cenni storici

La nascita dell’esperanto è legata alla figura del medico oculista polacco Zamenhof. Nato nel 1859 a Białystok, da ginnasiale Zamenhof completa il primo progetto di lingwe uniwersala (lingua universale), il protoesperanto, assieme ai compagni di scuola. Dopo aver studiato a Mosca e Varsavia, Zamenhof lavora come medico nell’odierna cittadina lituana di Veisiejai (dove oggi si trova una bella statua in suo onore). Nel 1887, con l’aiuto della moglie, pubblica in russo l’Unua Libro (Meždunarodnyj jazyk, “Lingua internazionale”), con cui presenta al mondo la sua creatura linguistica. Come pseudonimo per la pubblicazione utilizza Doktoro Esperanto e con questo nome verrà subito identificata la lingua. La nascita ufficiale, spiega Rinaldo, si può tuttavia far risalire al 1905 con la pubblicazione della grammatica Fundamento de Esperanto.

Zamenhof non era tanto interessato a diffondere un nuovo strumento di comunicazione, quanto a promuovere una lingua che potesse favorire una pacifica coesistenza di popoli e culture diverse. Sulla stessa linea si poneva Lev Tolstoj, non a caso uno dei primi sostenitori dell’esperanto; “si dice abbia imparato la lingua in tre-quattro ore”, ricorda Enrico Gaetano Borrello, esperantista massese. Anche per questo fondamento ideologiсo Zamenhof venne candidato al Nobel per la Pace ben 14 volte, senza tuttavia vincerlo. Morì nel corso della prima guerra mondiale nel 1917.

Da allora l’esperanto si è diffuso attraverso i congressi annuali degli esperantisti nel mondo e attraverso l’azione dell’Accademia dell’Esperanto, incaricata dell’aggiornamento della lingua e della sua evoluzione in ottemperanza alle regole del Fundamento.

Una battuta di arresto nella diffusione dell’esperanto è avvenuta durante i regimi totalitari nazista e stalinista, pronti ad additare negativamente Zamenhof anche per le sue origini ebraiche. Nel Mein Kampf Hitler scriveva che lo scopo dell’esperanto era quello di fornire una lingua comune alla diaspora ebraica; Stalin lo definì “la lingua delle spie”. Anche il Giappone seguì a ruota l’alleato tedesco, parlando dell’esperanto come di un’anguria: verde fuori (colore simbolo dell’esperanto) e rosso (comunista) dentro, come racconta Ulrich Lins ne La lingua pericolosa.

Tappe importanti per l’esperanto sono state l’instaurazione di relazioni tra Unesco e UEA (Universala Esperanto-Asocio), nel 1954, e il riconoscimento da parte dell’Unesco dell’affinità tra scopi e ideali del progetto di Zamenhof e quelli dell’organizzazione. Nel 1985 l’Unesco invitava a introdurre l’esperanto nei percorsi scolastici. Due anni dopo l’UEA entrava in relazioni consultive con il Consiglio d’Europa. Nel 1990 la Chiesa cattolica ha riconosciuto l’esperanto come lingua liturgica. Nel 1993 il Pen Club International ha inserito questa lingua tra le altre lingue letterarie.

Un po’ di grammatica

Tra i criteri fondamentali per il successo di una lingua ausiliare artificiale ci sono sicuramente la regolarità grammaticale e la vicinanza lessicale a lingue naturali più diffuse. Entrambi aspetti che l’esperanto rispetta. La grammatica di base strutturata da Zamenhof si compone di 16 regole e non considera alcuna eccezione.

A livello alfabetico, l’esperanto conosce 28 caratteri (manca la Q), di cui 5 vocali e 2 semivocali (la J e Ŭ consonantiche che fanno dittongo con vocali vicine). Il criterio fonetico è quello un fonema = un grafema, la pronuncia è pertanto univoca. L’accento cade sempre sulla penultima vocale.

A livello di grammatica, come riassume Nicoletta Marcialis, “fatti salvi i casi in cui si limita ad applicare i suoi due principi guida (l’invariabilità dei radicali e la trasparenza della derivazione), l’esperanto accoglie in sé di preferenza tratti che siano comuni ad almeno due famiglie linguistiche (slavo-germanica o romano-germanica). Quando sia necessario scegliere tra tratti che appartengono a un’unica famiglia linguistica, l’esperanto si orienta su modelli preferibilmente romanzi o germanici per il lessico, preferibilmente slavi per la sintassi”.

I verbi non si declinano; le parole non hanno genere (il femminile si ricava con un suffisso); l’articolo è unico (vale per maschile, femminile, neutro, singolari e plurali). Il morfema finale vocalico dà alla radice il carattere grammaticale: -o per i sostantivi, -a per gli aggettivi, -i per i verbi all’infinito, -e per gli avverbi. Prendendo come esempio la radice san-, ‘salute’ (sostantivo) si dirà sano, ‘sano’ (aggettivo) si dirà sana, ‘star bene’ (verbo) sani, ‘salutarmente’ (avverbio) sane.

Il lessico si basa su radici a cui prefissi e suffissi vengono applicati per modificarne il significato. Il vocabolario del 1905 consisteva di 883 radici e 45 affissi. Oggi l’Accademia dell’Esperanto ha ampliato la lista delle radici ufficiali, che ora sono 4500; il più strutturato vocabolario esistente riporta 17000 parole che, con relativi affissi, danno luogo a quasi 50000 lemmi.

Nella Grammatica del 1887 le radici sono quasi esclusivamente riconducibili alle lingue romanze o germaniche: sedtamenludi (dal latino), ĉarmo (dal francese: fascino), hundo, tago, monato, jaro (dal tedesco: cane, giorno, mese, anno), librokandelokankrokapo (dall’italiano), lerni, tanko (dall’inglese: imparare, carro armato), horo (dallo spagnolo: ora).

Tornando alla radice san-sanulo è una persona sana, malsanulo è un ammalato, sanulejo è un sanatorio e malsanulejo è l’ospedale (l’affisso -ej- indica un luogo).

Per quanto riguarda l’interferenza linguistica, spesso l’esperanto ricorre ai calchi come nel caso di air bag > aersako, air bus > flugbuso, air terminal > flugstacio, apartheid > rasapartigo, argent de poche > poŝmono, atelier > manlaborejo, autostop > petveturo, baby-sitter > infanvartistino, biberon > suĉbotelo. In altri casi, l’Accademia dell’Esperanto ha preferito acclimatare dei prestiti: aids > aidoso, aplomb > aplombo, avenue > avenuo, bazar > bazaro, bebè > bebo, boulevard > bulvardo.

Esperanto oggi

Con oltre 30000 pubblicazioni conservate alla biblioteca internazionale dell’esperanto di Vienna e gli oltre 350 nuovi libri stampati ogni anno, la letteratura in esperanto si fa sempre più ricca. Esistono traduzioni di classici antichi e moderni (da Omero al Piccolo Principe), di testi sacri come Bibbia e Corano, di atti ufficiali come costituzioni, trattati e dichiarazioni, ma anche opere scientifiche e letterarie nate direttamente in esperanto. “Alla facoltà di biologia di Padova si studiano ancora gli originali trattati scientifici su funghi e licheni in esperanto (su cui vige il divieto di traduzione!)”, ricorda ancora Rinaldo. Qui una lista di autori in lingua esperanto. Borrello cita tra questi in particolare il poeta sudafricano Edwin de Kock, il quale ha dichiarato di scrivere in esperanto “per non essere condizionato dalla poetica in lingua inglese”. Il padre di George Soros, inoltre, Tivodar Soros è stato un grande esperantista, autore del romanzo storico Ballo in maschera a Budapest (Maskerado ĉirkaŭ la morto), poi tradotto in molte lingue.

Studiare questa lingua si fa, grazie alla tecnologia, sempre più semplice. C’è un crescente interesse verso l’esperanto, una lingua che, nata per la pacifica convivenza di culture e popoli, può anelare al “superamento delle egemonie economiche, politiche e linguistiche e dei nazionalismi”, spiega Rinaldo.

La più importante biblioteca di esperanto in Italia è ospitata presso l’Archivio di Stato di Massa. Il catalogo è consultabile qui (8000 volumi). Per ulteriori informazioni su corsi, manuali e sul movimento esperantista si rimanda al sito ufficiale della FEI (Federazione Esperantista Italiana) e al sito informativo  internazionale sull’Esperanto. Qui invece il sito (in esperanto) ufficiale dell’UEA, l’Associazione Universale d’Esperanto.

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Martina Napolitano
Martina Napolitano

Dottoressa di ricerca in Slavistica, è docente di lingua russa e traduzione presso l’Università di Trieste, si occupa in particolare di cultura tardo-sovietica e contemporanea di lingua russa. È traduttrice, curatrice di collana presso la casa editrice Bottega Errante ed è la presidente di Meridiano 13 APS.