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Cosa ci fa un luogo di culto zoroastriano come il tempio Ateshgah a Baku, a pochi chilometri dalla vibrante capitale azera e dai suoi grattacieli e dai suoi pozzi petroliferi? Per rispondere a questo interrogativo bisogna tornare indietro nel tempo di migliaia di anni per comprendere il fenomeno culturale-religioso che è lo Zoroastrismo.
La religione zoroastriana: quali sono le sue origini?
Prima che l’Islam si diffondesse nel Caucaso, l’Azerbaigian, crocevia di culture e religioni, era già stato segnato dall’avvento di uno dei culti più antichi dell’umanità: lo Zoroastrismo.
Il culto ha radici profonde in queste terre: il nome stesso “Azerbaigian” deriva dal toponimo Atropatene, uno dei satrapi persiani dell’antico Impero achemenide. Di origine iranica, “Atropatene” significava probabilmente “terra del fuoco” in antico persiano, riferendosi al culto del fuoco che caratterizza lo Zoroastrismo. A oggi, tracce zoroastriane si ritrovano non solo nella toponomastica e nei siti archeologici ma anche nelle celebrazioni tradizionali, come il Nowruz, il Capodanno persiano festeggiato il 21 marzo, che celebra il ritorno della primavera e il rinnovamento della natura.
Nel I millennio a.C. si stabilirono sul territorio dell’odierno Azerbaigian prima gli Sciti e poi i Medi, che integrarono la regione nel loro impero e in seguito nell’Impero achemenide, favorendo la diffusione dello Zoroastrismo. In epoca Sassanide (dal III secolo) l’Albania caucasica divenne uno stato vassallo dell’Impero persiano e lo Zoroastrismo divenne religione ufficiale dell’Impero, permettendo così a questo culto di permeare ancora più profondamente e di sviluppare le sue caratteristiche generali e oggi più note: è sempre in questo periodo, infatti, che l’Avesta, il libro sacro dello zoroastrismo, venne raccolto e codificato come testo canonico, in un’opera composta originariamente da 21 libri e oggi solo parzialmente conservata in quattro sezioni principali.
Tra le primissime religioni monoteiste della storia, lo Zoroastrismo nasce all’interno del contesto indo-iranico, prendendo il nome dal suo profeta Zarathustra (o Zoroastro), vissuto presumibilmente tra il VII e il VI secolo a.C. e che svolge un ruolo di intermediario tra l’umanità e la divinità suprema, Ahura-Mazda.
Nella liturgia zoroastriana, Ahura-Mazda è il dio supremo e creatore di tutte le cose, come indica il suo nome: Ahura, ovvero “signore” e Mazda, colui “che crea con la mente”, e perciò “sapiente”. In un dualismo cosmico che rappresenta la perenne lotta tra il bene e il male, Ahura-Mazda, garante dell’ordine cosmico, si oppone ad Angra Manyu (o Ahriman), spirito maligno e portatore di caos.
Per questo lo Zoroastrismo dà grande importanza all’etica individuale, fondata sulla dottrina “buoni pensieri, buone parole, buone azioni” per proteggere la purezza e la positività dell’esistenza, minacciate da Ahriman. Ahura-Mazda era rappresentato antropomorficamente e spesso alato, e i templi a lui dedicati non erano inizialmente edifici chiusi, ma alture naturali su cui ardeva il fuoco sacro.
Nel simbolismo zoroastriano il fuoco rappresenta la purezza ed è inteso come una diretta manifestazione dell’entità divina: per questo motivo, nei luoghi sacri detti ateshgah (letteralmente “casa del fuoco”, da atesh, “fuoco” in persiano antico), le fiamme dovevano ardere perennemente, alimentate sia spiritualmente che fisicamente dalle risorse naturali del territorio (ricco di fuoriuscite spontanee di gas) senza essere contaminate da fonti esterne. Il culto prevedeva sacrifici e rituali officiati dai Magi, sacerdoti zoroastriani di una casta specifica, che si dovevano formare sin da piccoli per officiare i rituali affidandosi principalmente alla trasmissione orale.
A Surakhani, località situata 15 km a nord di Baku, sulla penisola di Absheron, si trova uno dei templi zoroastriani che raccontano come il tempo non possa scalfire alcuni legami con un importante passato spirituale. In questo luogo, il fuoco è protagonista e icona di purezza, sacrificio e legame col divino.
Il tempio Ateshgah a Baku (Chiara Luccioli)
Da fuori, il tempio risulta circondato da delle alte mura che non lasciano intravedere la struttura al suo interno. La struttura attuale è del XVII-XVIII secolo, con un complesso a mappa pentagonale che richiama i caravanserragli tipici della regione, con un cortile aperto e delle celle per accogliere i pellegrini e gli asceti. Un altare a quattro colonne si erge nel cortile, sopra una fuoriuscita naturale di gas, che un tempo alimentava una grande fiamma centrale.
In passato era un centro di pellegrinaggio e di culto per gli adoratori del fuoco provenienti da Multan, nell’odierno Pakistan. Questi, percorrendo la celebre “Grand Trunk Road”, la strada attraversata anche da Kim nell’omonimo romanzo di Rudyard Kipling, raggiungevano le regioni intorno al Caspio per intrattenere scambi commerciali con le popolazioni locali.
Il tempio fu anche tappa del viaggio nel Caucaso del romanziere francese Alexandre Dumas (padre) nel 1858 ed è ancora oggi visitato da migliaia di turisti ogni anno, oltre che a essere al centro di un dibattito sulle sue origini, a causa della presenza di elementi architettonici che rimandano sia alla tradizione zoroastriana sia a quella induista, rendendo difficile dire con certezza di quale fede fosse inizialmente. In ogni caso, l’interpretazione più accreditata sostiene che il tempio ha origini zoroastriane e che si sia trasformato solo in seguito in un centro di culto induista.
Nonostante il sito mantenga sempre un certo fascino, legato a pratiche antichissime e misteriose, il tempio venne abbandonato del tutto nel XIX secolo, probabilmente per via dell’installazione di impianti di petrolio nella zona, ricca di gas naturale, che spinse la popolazione indiana del luogo ad andarsene. È proprio a causa dello sfruttamento intensivo dei giacimenti petroliferi di epoca sovietica che, nel 1969, la fiamma originale si esaurì; oggi, infatti, il fuoco è alimentato dal gasdotto cittadino di Baku, il sito è stato convertito in museo nel 1975 e candidato a patrimonio UNESCO nel 1998.
Nell’Azerbaigian contemporaneo, i simboli di un’eredità culturale riconducibili allo Zoroastrismo sono visibili nello stesso panorama urbano di Baku, dove svettano le brillanti Flame Towers che riprendono il motivo del fuoco, orgoglio nazionale di un’identità post-sovietica che si riallaccia ad antiche tradizioni.
Tuttavia, anche se il governo azero espone fieramente le proprie radici spirituali, oggi in Azerbaigian non c’è una grande comunità zoroastriana, probabilmente per due motivi principali: il primo, per l’arrivo degli arabi e della conseguente islamizzazione del Caucaso nel VII secolo, che spinse i fedeli zoroastriani a fuggire verso l’Iran e l’India, che infatti conta la comunità zoroastriana più numerosa al mondo, con quasi 60mila fedeli.
Inoltre, la lunga dominazione sovietica ha lasciato un segno profondo nei paesi che sono stati sotto la sua influenza, tra cui l’Azerbaigian, a causa delle politiche ateiste e delle conseguenti repressioni del credo religioso. A oggi, anche se la maggior parte della popolazione azera si dichiara di fede musulmana, secondo alcuni studiosi sembra essere più per un senso di appartenenza etnico-culturale che per un vero e proprio sentimento religioso.
Nel periodo post-sovietico, l’Azerbaigian ha avviato un processo di riscoperta delle proprie radici culturali e religiose, rivendicando elementi antecedenti all’avvento dell’Islam e della dominazione russa e sovietica per formare una narrazione nazionale azera. In questo senso, il paesaggio urbano contemporaneo di Baku offre una grande combinazione di stili architettonici che riflettono le sue diverse identità storiche e ambizioni future: da un lato, la Città Vecchia, che conserva monumenti storici in pietra, come la Torre della Vergine e il Palazzo degli Shirvanshah; dall’altro, i quartieri sovietici con loro blocchi abitativi ed edifici brutalisti.
Inserite in questo insolito panorama, le Flame Towers, icone della nuova Baku, celebrano il legame identitario con il simbolo del fuoco e la ricchezza energetica. Costruite tra il 2007 e il 2012 e visibili da ogni angolo della città, i tre grattacieli proiettano un’immagine cosmopolita della città, ma secondo alcuni critici evocano anche un’idea di potere e spettacolarità che è propria dell’urbanistica sovietica. La città appare così sospesa tra desideri di modernità e una memoria che, pur rimossa, sembra ritornare proprio nei codici stessi della sua trasformazione.
Questo processo di riappropriazione culturale solleva quindi una riflessione più ampia: quale ruolo gioca oggi la memoria spirituale in un contesto laico e globalizzato, che si vuole staccare da un lungo passato di dominazioni esterne?
In questo contesto, l’Ateshgah, il “tempio del fuoco”, appare come un luogo emblematico, in quanto non solo attrazione turistica, ma anche monumento storico che mostra la grande stratificazione culturale e religiosa del Caucaso.
*Laureata al MIREES, svolge un master in diritti umani presso il Global Campus of Human Rights. Ha vissuto a Tbilisi, Parigi e Francoforte e si occupa principalmente di diritti umani e identità nello spazio post-sovietico. Parla inglese, francese, russo e un po’ di georgiano e farsi (livello base).