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Albània Caucasica: l’Azerbaigian vuole riscrivere la propria storia?

Gli scontri della settimana scorsa ci ricordano che le relazioni azero-armene nel corso degli ultimi due anni non sono affatto migliorate e che lo spettro di una nuova guerra aperta nel Caucaso non si è mai dileguato. Si tratta di uno scontro militare ma anche propagandistico-culturale che risale a prima della nascita dei social media – dove armeni e azeri sono attivissimi nel supportare la propria causa – e persino precedente alla Prima guerra del Karabakh (1988-1994). 

Breve storia dell’Albània Caucasica

Uno dei temi preferiti sul fronte culturale di questa guerra è l’Albània Caucasica, antico regno di cui si hanno poche notizie. Grazie all’aiuto dell’armenista Marco Bais e del suo libro Albània Caucasica, è possibile però ricostruirne le fondamentali tappe storiche. L’episodio più antico in cui appaiono gli albani, citato dallo storico greco Arriano, è la Battaglia di Gaugamela del 331 a.C., quando combatterono al fianco dei persiani contro i macedoni. Ricompariranno poi negli anni sessanta del I secolo a.C. al fianco degli iberi (moderni georgiani) contro i romani nelle opere di Plutarco, Cassio Dione, Appiano e altri storici greci e romani nell’ambito delle Guerre mitridatiche di Pompeo e Lucullo. La storia dell’Albània Caucasica è caratterizzata, oltre che da una fase di dominazione cazara (un peculiare impero asiatico), da un continuo oscillare di alleanze e sottomissioni nel tentativo di mantenere un certo grado di indipendenza dai persiani e dai romani (e bizantini poi). Questo gioco di alleanze continuò fino alla scomparsa dello stato albano nel IX secolo d.C. (la morte dell’ultimo erede albano della dinastia persiana dei Mihranidi è datata 822d.C.) meno di due secoli dopo l’arrivo degli arabi nell’area caucasica (intorno alla metà del VII secolo).

Un episodio fondamentale della storia albana è sicuramente quello della cristianizzazione, avvenuta nel corso del IV secolo grazie a Sant’Elisej (I d.C.), discepolo dell’apostolo Taddeo. Le cronache narrano che Elisej abbia fondato la prima Chiesa albana nella città di Kiš, ora parte dell’Azerbaigian. L’ex ambasciatore norvegese in Azerbaigian dal 2002 al 2006, Steinar Gil, sostiene tuttavia che questa chiesa, risalente al XII secolo d.C., sia parte della Chiesa ortodossa georgiana (e quindi non di quella albana). Le ricerche condotte dalla Norwegian Humanitarian Enterprise insieme alle istituzioni azere tra il 2000 e 2002 hanno infatti rivelato che la chiesa è stata originariamente costruita secondo la tradizione del rito ortodosso georgiano su un preesistente sito pagano risalente al 3000 a.C. Gli archeologi sono stati in grado di accertare l’origine di questa chiesa in quanto in quel periodo l’unica chiesa diofisita (che riconosce la doppia natura divino-umana di Cristo) dell’area era quella georgiana mentre quella albana e quella armena seguivano la corrente monofisita (che sosteneva la natura esclusivamente divina di Cristo), dichiarata eretica in seguito al Concilio di Calcedonia del 451 d.C. Durante gli scavi è stato inoltre scoperto che nel XVII secolo la chiesa fu modificata secondo i parametri monofisiti tramite l’innalzamento del presbiterio (l’area che ospita l’altare) rispetto alla navata di circa 60-70 centimetri. La narrazione ufficiale azera ha tuttavia cercato di presentare falsamente questo edificio come la prima chiesa albana fondata da Sant’Elisej, fatto che la renderebbe la chiesa cristiana più antica del mondo, stando alle parole dell’archeologo norvegese responsabile degli scavi, J. Bjornar Storfjell.

Purtroppo, l’azione di falsificazione della storia non si è limitata alle parole e nel dicembre 2004 in una chiesa del villaggio di Niš dalle fragili pareti di arenaria sono state cancellate delle iscrizioni armene utilizzando una levigatrice. Questi dettagli sono noti perché la Norwegian Humanitarian Enterprise, coinvolta anche in questo progetto di restaurazione, ha subito segnalato il fatto, denunciato poi in un comunicato dell’ambasciata norvegese a Baku diretta in quel periodo (febbraio 2005) dallo stesso Gil. Questa pratica non si è mai fermata e, con la recente vittoria nella guerra del novembre 2020, l’Azerbaigian ha preso il controllo del monastero di Khudavang/Dadivank e ha autorizzato la nomina del primo prete della Chiesa Udi. Infatti, stando alle affermazioni del presidente della comunità albano-udi in Azerbaigian, Robert Mobili, il monastero non sarebbe assolutamente armeno ma cristiano-albano.

Gli udi in Azerbaigian: tolleranza o tornaconto?

Gli udi sono una minoranza etnico-religiosa cristiana dell’Azerbaigian e vivono principalmente nel villaggio di Niš e nel villaggio di Oguz, prima conosciuto come Vartašen, dove si trovano rispettivamente 4mila e 100 abitanti di lingua udi. Questo popolo ha sempre dichiarato di discendere dagli albani, facendo riferimento a un appello dei loro antenati allo zar russo Pietro I risalente al 1724 che recita: 

“Siamo gli uti, un popolo di origini Albane: i nostri antenati credevano in Dio, avendo l’apostolo Elisej come predicatore, e viviamo vicino a dove i Santi Apostoli soffrirono il martirio.” 

Questa loro rivendicazione è stata confermata dalle recenti scoperte dei linguisti tedeschi Schulze e Geppert che hanno decifrato un palinsesto (manoscritto in cui la scrittura primitiva sia stata raschiata e sostituita con un’altra) ritrovato a Santa Caterina del Sinai in Egitto, permettendo la lettura dei frammenti rimasti della lingua albana. Tuttavia, il semplice fatto di parlare di una “lingua albana” fa sorgere diversi problemi: se questa lingua è l’antenata della lingua degli odierni udi in Azerbaigian, da chi veniva usata nel passato? A questo punto, si possono solo fare ipotesi: si tratta della lingua di una delle popolazioni del Regno albano (una confederazione di ventisei popoli secondo Strabone), era la lingua di un’etnia che rappresentava l’élite religiosa e politica del regno oppure costituiva la lingua ufficiale del Regno albano. 

Un’altra caratteristica rilevante del popolo udi è sicuramente il loro stretto rapporto, quasi un’interdipendenza, con le istituzioni azere; pur essendo di religione cristiana, gli udi non subiscono alcuna discriminazione. Questo potrebbe essere dovuto alla tolleranza religiosa degli azeri che, come ricorda Steinar Gil, sono decisamente più secolarizzati dei loro vicini iraniani (anch’essi musulmani sciiti) a causa dell’esperienza sovietica. Tuttavia, la vera ragione appare decisamente più strumentale. Se gli udi hanno bisogno di buoni rapporti con lo stato per salvaguardare le proprie tradizioni e la propria cultura, lo stato azero ha invece bisogno di legittimazione. A differenza dei vicini georgiani e armeni infatti l’Azerbaigian non possiede né una storia né una letteratura millenaria. La prima entità statale propriamente azera apparve solo nel 1918, dopo una guerra con l’Armenia, ma venne ben presto trasformata nella Rss Azera, parte dell’URSS. Il desiderio quindi di pareggiare i conti coi vicini è forte e il mito dell’Albània Caucasica come progenitrice ideale dell’Azerbaigian suscita certamente interesse. Non casualmente gli sforzi della storiografia azera sono concentrati nel risalire all’origine albana di qualunque chiesa in territorio azero (o nei territori contesi come il Nagorno-Karabakh) anche quando si tratta chiaramente di edifici armeni. A volte questa teoria viene portata al parossismo, come in un articolo di “Caspian News” dove si afferma che nel monastero di Khudavang/Dadivank sono state ritrovate iscrizioni con nomi di chiara origine turcica, dimenticandosi di fatto dell’Albània Caucasica. Gli azeri, ma non gli albani, sono infatti uno dei tanti gruppi etnici di origine turcica insieme ai turchi, ai tatari e alle popolazioni dell’Asia Centrale. 

La storia dell’Albània Caucasica è sicuramente uno dei tanti elementi che compongono la ricchezza culturale del Caucaso ma che allo stesso tempo ne dimostrano le contraddizioni. La conseguenza è spesso l’uso strumentale (quando non paradossale) di una storia ancora poco conosciuta e circondata da miti che solo un lavoro di ricerca intellettualmente onesto potrà sfatare.

Foto di copertina: Wikimedia

Questo articolo è stato pubblicato nel numero 42 di Scomodo col titolo “Riscrivere la storia del Caucaso

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Luca Zucchetti
Luca Zucchetti

Studente di Russian and Eurasian Studies alla Università Carolina di Praga, ha anche studiato presso la NSPU di Novosibirsk. Si interessa principalmente di ambiente, attivismo politico, diritti umani, società civile e libertà di informazione in Russia e Asia Centrale. Ha collaborato con Scomodo e East Journal.