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C'era una volta l'est Boban Pesov (Meridiano 13/Giorgia Spadoni)
Dopo un lungo e diabolico tam tam sui social ha finalmente fatto la sua comparsa nelle librerie italiane C’era una volta l’est, primissima graphic novel di Boban Pesov, già noto per il suo canale YouTube in cui si descrive come “illustratore, fumettista, cinefilo, accumulatore seriale di lavori e padre”. Macedone di nascita e italiano di adozione, dopo due anni di intenso lavoro Pesov ci presenta non senza una certa emozione quest’opera, pubblicata a fine aprile per i tipi di Tunuè.
C’era una volta l’est è la storia di un viaggio tra l’Italia e la Macedonia del Nord, in entrambi i sensi e non soltanto nello spazio, bensì anche nel tempo. C’è la rotta percorsa nel 1992 da Milan, il padre del protagonista, alla ricerca di una vita migliore nel nostro paese, e c’è quella inversa tracciata da Robert e Micol nel 2022, diretti a Skopje, dove la madre di lui è ricoverata in ospedale. Sullo sfondo del primo la rovinosa e brutale dissoluzione della Jugoslavia, presentata da una prospettiva inedita, quella dell’unico paese della federazione non attraversato dalle guerre civili degli anni Novanta.
Pesov combina sapientemente vicende personali e fittizie per offrire al pubblico un distillato delle complessità e sfaccettature che tuttora caratterizzano i paesi un tempo uniti dal progetto politico titino con estrema sincerità e schiettezza. Le varie linee temporali rovistano all’interno delle vite di persone comuni, in cui ogni lettore può facilmente riconoscersi, immedesimarsi, e constatare con amarezza le conseguenze del nazionalismo tuttora dilagante. Impossibile inoltre non soffermarsi sul brusco cambio di significato e conseguenze della locuzione “rotta balcanica”.
Dalle pagine di C’era una volta l’est traspare chiaramente un messaggio di denuncia contro le esaltazioni nazionali e le frontiere, ma il libro di Boban Pesov è anche e soprattutto una struggente ode a quelle caratteristiche dell’essere umano che proprio in questo momento storico paiono venir meno: la solidarietà, l’empatia, il reciproco aiuto, la generosità, la compassione. Così Nino, serbo di Bosnia, aiuta Milan e i suoi due amici ad attraversare la frontiera tra Ungheria e Slovenia prima di partire a difendere la sua amata Sarajevo; così Vera zittisce i deliranti discorsi di Jovan contro gli albanesi; così Micol riesce a trovare un dialogo con Robert preoccupato per le sorti della madre.
Con uno stile cinematografico sia nei dialoghi che nelle splendide illustrazioni, e una maniacale cura nei particolari, C’era una volta l’est è una graphic novel destinata a lasciare il segno nei cuori di lettrici e lettori, siano essi già balcanofili o meno. In occasione dell’uscita abbiamo fatto due chiacchiere con l’autore.
C’era una volta l’est è molto probabilmente la prima graphic novel in italiano ambientata in gran parte nella Macedonia del Nord, offrendo in un certo senso un punto di vista “inedito” sull’ex Jugoslavia. Puoi raccontarci com’è nata l’idea e qualcosa sul processo di creazione?
L’idea è nata nel 2016, un periodo in cui ero molto attivo su YouTube. Realizzai un video con mio padre in cui raccontava la sua esperienza di immigrato clandestino in Italia nei primi anni Novanta. In quell’occasione, mi confidò molti aneddoti inediti su quel periodo.
Io, d’altro canto, conservo diversi ricordi della mia infanzia trascorsa con mia madre e mio fratello nel nostro piccolo paese sperduto nella Macedonia orientale. Unendo i miei ricordi agli aneddoti di mio padre, ho cercato di delineare la struttura della storia, alternando il racconto con alcune mie esperienze personali più recenti.
L’opera mi ha subito fatto pensare a Odio l’estate di Kalina Muhova (Rulez, 2023), non solo per l’ispirazione autobiografica, ma anche per il riuscito e interessantissimo tentativo di raccontare e spiegare i vostri paesi d’origine – Bulgaria e Macedonia – ai lettori di un paese in cui vivete da tempo, l’Italia. È stato difficile trovare la chiave giusta? In che modo hai dosato la tua identità macedone e quella italiana?
Essendo cresciuto in Italia, non ho trovato particolarmente difficile raccontare e trasmettere le mie origini, la mia terra e la nostra cultura attraverso le architetture, le parole e il contesto in cui si muovevano i personaggi.
Ho semplicemente agito con la consapevolezza che molti avrebbero empatizzato con i personaggi e, di conseguenza, avrebbero compreso e forse anche assorbito il background culturale, senza nemmeno trovare strano leggere una graphic novel con dialoghi in italiano e mappe dettagliate scritte in cirillico.
Tra i tanti pregi del volume è impossibile non notare la cura nei dettagli in ciascuna tavola, dall’insegna della pompa di benzina alle etichette, dalle targhe alle peculiarità architettoniche dell’area ex jugoslava (i chioschi K67, la torre Genex, i ponti di Belgrado). Riguardo queste ultime, negli ultimi anni si è risvegliato un grande interesse nei confronti del modernismo jugoslavo (spomenik, complessi residenziali…) e socialista in generale al di fuori dai Balcani, che sta portando le persone a voler visitare e vedere questi luoghi e probabilmente a farli “rivalutare” dagli abitanti locali. Cosa ne pensi di questa tendenza e come percepisci tu in quanto artista questi edifici?
Nonostante le numerose tendenze discutibili sui social media, devo ammettere di trovare molto affascinante l’amore, seppur “contorto”, per il brutalismo jugoslavo e, in generale, di tutta l’Europa dell’Est. Anch’io talvolta mi perdo nella visione di foto, reel o documentari dedicati a questo tema.
Essendo laureato in architettura, sebbene non abbia mai esercitato la professione, questo mondo mi ha sempre attratto. Ricordo che, durante gli anni al Politecnico di Torino, scoprii che Kenzo Tange, uno dei più grandi architetti e urbanisti brutalisti della metà del Novecento, aveva riqualificato metà di Skopje dopo il tragico terremoto del 1963. Questa scoperta mi entusiasmò enormemente e iniziai a documentarmi sulla storia dell’architettura moderna jugoslava, acquistando volumi di architettura di seconda mano che riuscivo a reperire sul posto.
I chioschi, invece, rappresentano una mia fissa fin dall’infanzia. Nelle rare occasioni in cui visitavo città più grandi, li percepivo come astronavi spaziali. Mi hanno sempre affascinato a tal punto che non potevo fare a meno di disseminarli lungo tutto il libro.
Nella graphic novel torna più volte inevitabilmente il tema della guerra e soprattutto del nazionalismo, che la madre del protagonista condanna chiaramente nelle ultime pagine del libro, mentre rimprovera un compaesano. Negli ultimi mesi stiamo assistendo, nonostante la lacunosa copertura da parte dei media mainstream, alle enormi proteste che scuotono la Serbia dopo il crollo della pensilina della stazione a Novi Sad il 1 novembre e alle manifestazioni in Macedonia del Nord a seguito della strage a Kočani il 16 marzo, tra le altre. C’è secondo te un collegamento tra nazionalismo e corruzione? Come percepisci la situazione sociale e politica in Macedonia del Nord a oltre trent’anni dalla dissoluzione della Jugoslavia e come ci si sente a osservarla dall’Italia?
Come si nota, il tema dell’architettura ricorre costantemente. Anche nel libro, il deterioramento degli edifici nel corso degli anni simboleggia il declino di una società “jugoslava” rimasta come congelata per trent’anni. È probabile che molte cose siano cambiate nel frattempo, ma certi vizi e difetti sembrano radicati e difficili da estirpare.
I tragici eventi di Novi Sad e Kočani illustrano la stagnazione di una società che non ha saputo evolversi, preferendo affidarsi a scorciatoie a ogni livello. Si parte dal singolo cittadino che cerca la “raccomandazione” dell’amico al comune per ottenere facilmente un permesso edilizio abusivo, si passa al poliziotto che accetta tangenti per chiudere un occhio sulle infrazioni, fino al politico che si arricchisce spudoratamente con le mazzette per approvare qualsiasi cosa. Siamo tutti complici di questo sistema malato, inclusi noi emigrati che, pur avendo lavorato all’estero per anni, costruito nuove vite e assorbito culture diverse, quando torniamo in vacanza nel nostro paese tendiamo a manifestare i nostri difetti balcanici, contribuendo, nel nostro piccolo, a peggiorare la situazione.
Nessuno può considerarsi esente da responsabilità in questo processo di incancrenimento. Nel mio piccolo, cerco di raccontare tutto questo con la potenza espressiva di un libro, attraverso le sue immagini e i suoi personaggi. Mi auguro di esserci riuscito.
Traduttrice e interprete. S’interessa di letteratura, storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, dove si è laureata presso l’Università di Sofia “San Clemente di Ocrida”. Collabora con varie case editrici e viaggia a est con Kukushka tours. È autrice della guida letteraria “A Sofia con Georgi Gospodinov” (Giulio Perrone Editore).