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“Meglio una bandiera bianca in mano che un fucile”: “Voglio vivere” e i soldati russi che depongono le armi

Anche in un conflitto sanguinoso come quello che si sta combattendo in Ucraina, non sempre la sola alternativa è fra ammazzare o l’essere ammazzati. E c’è chi, fra le fila delle forze di difesa di Kyiv, da oltre un anno cerca di fare in modo che i soldati russi possano sfuggire a questa alternativa. “Voglio vivere” (Хочу жить) è un progetto lanciato dal quartier generale del trattamento dei prigionieri di guerra ucraino, che ha come obiettivo quello di contattare e informare il maggior numero di militari appartenenti alla fazione avversa della possibilità di abbandonare le armi e aver salva la vita. Vengono raccolte le richieste di resa da parte russa e vengono date istruzioni per consegnarsi senza rischi. È attiva una hotline dedicata a chi decide di non combattere per Vladimir Putin.

Il giornalista Francesco Brusa ha intervistato per Meridiano 13 il portavoce del progetto “Voglio vivere”, Vitalij Matvienko.  
voglio vivere
Vitalij Matvijenko, portavoce del progetto “Voglio vivere” (Tara Kurushkina)
Quante richieste avete ricevuto dall’inizio del progetto? E come valutate questi numeri?

Nel corso dei dodici mesi di attività, abbiamo ricevuto più di 25mila richieste di resa o di passaggio al lato ucraino. Tali richieste sono perlopiù riferite a intenzioni di resa preliminare da parte di persone residenti nella Federazione Russa o nelle regioni occupate dell’Ucraina. Persone che non vogliono partecipare alla guerra e dunque intendono mettersi preventivamente al sicuro nel caso dovessero essere mobilitate. In casi del genere, il nostro compito è organizzare delle missioni speciali che possano prelevare chi ha fatto richiesta dalla zona di guerra e condurlo in un posto sicuro.

Ci sono poi oltre duecento persone che si sono direttamente arrese attraverso i nostri canali. Vorrei sottolineare che si tratta di persone che hanno deposto le armi volontariamente dopo averci contattato. La quantità di chi invece si arrende perché viene fatto prigioniero durante i combattimenti è chiaramente molto più alta e occorre distinguere le due cose. A ogni modo, credo sia difficile e non del tutto corretto giudicare il nostro lavoro esclusivamente dal numero di persone che si sono arrese. Anche solo un militare russo che depone le armi già significa un occupante in meno che può uccidere o ferire ucraini. Ma c’è anche un aspetto umanitario: stiamo comunque salvando persone che potrebbero diventare vittime del folle regime del Cremlino. Perciò riteniamo che il numero delle richieste di resa e le 43 milioni di visite al nostro sito da parte di utenti russi che sfidano la censura e la propaganda del loro governo rappresentino un ottimo risultato.

Quali sono le maggiori difficoltà che incontrate nel vostro lavoro?  

Come già accennato, la sfida più grande è riuscire a trasmettere il nostro messaggio. Far capire, cioè, ai cittadini russi, che davvero vivono dietro a una “cortina di ferro”, che hanno la possibilità di non diventare carne da cannone. Da un punto di vista tecnico, è abbastanza difficoltoso. Per esempio, nel corso dell’ultimo anno più di 250 copie “mirror” del nostro sito sono state bloccate in Russia. Lottiamo dunque per fare breccia nella paura e nella diffidenza del popolo russo, la maggior parte del quale – anche se magari non crede alla propaganda del governo – si sente comunque intimidito e tende a vedere in ogni cosa un potenziale trabocchetto dell’Fsb (il servizio federale di sicurezza della Federazione Russa).

Puoi descrivere l’attitudine generale delle persone che si arrendono attraverso il vostro progetto “Voglio vivere”? Qual è la loro principale motivazione per abbandonare le armi?

Ogni caso è diverso. Per la maggior parte veniamo contattati da persone che hanno assunto fin da subito una posizione contraria alla guerra (per quanto questo possa suonare strano se riferito a militari). Vale a dire che, già dall’inizio dell’invasione su larga scala, c’è chi si è reso conto che l’esercito russo stava venendo coinvolto in azioni criminali ordinate dai suoi comandanti e si è dunque messo a cercare dei modi per evitare di prendere parte a tali azioni.

C’è poi chi ha fatto richiesta da civile per arrendersi preventivamente, perché temeva di assumersi la responsabilità di evadere la leva. È impressionante per me osservare come i russi abbiano più paura di finire in prigione che di essere spediti incontro a morte quasi certa. Sono talmente intimiditi dalle minacce dei propri superiori, che promettono chissà quali ritorsioni se non ci si presenta al reclutamento, da lasciarsi mandare al fronte senza protestare. Eppure, a un anno dall’inizio della mobilitazione in Russia non si sono verificate conseguenze per chi ha evaso la leva.

In altri casi ancora, ci troviamo di fronte a richieste di resa che sono in realtà mosse astute per ottenere “legalmente” un profitto economico. Fra le persone che hanno abbandonato le armi attraverso il nostro progetto, c’è infatti chi si è arruolato volontariamente per poi rivolgersi immediatamente a noi con l’obiettivo di continuare a ricevere la propria paga militare restando però al sicuro in prigionia. Il fatto è che tutti coloro che si arrendono attraverso “Voglio vivere” vengono registrati ufficialmente come persone catturate in combattimento. Tale status di prigionieri di guerra consente dunque loro di continuare a ricevere un salario dallo stato russo mentre si trovano in Ucraina, che, come minimo, si aggira attorno ai 2mila dollari al mese. Per la maggior parte dei russi, è una cifra davvero appetibile.

Dormitorio di “Voglio vivere” (Tara Kurushkina)
Ci sono state fasi della guerra in cui il numero di richieste è diventato più alto?

Di solito questo avviene quando si verifica un successo militare da parte delle forze ucraine. Abbiamo anche osservato un significativo sbalzo nelle richieste in primavera, prima che l’Ucraina lanciasse la propria controffensiva nel sud-est del paese. Allora abbiamo ricevuto un numero di richieste di 1,5-2 volte maggiore della media e al nostro call center arrivavano più di cento richieste di contatto al giorno.

Di recente avete annunciato di voler lavorare anche con cittadini russi incarcerati per le loro posizioni contrarie alla guerra…       

Stiamo ragionando sulla possibilità di scambiare cittadini russi e collaborazionisti ucraini che si trovano nelle prigioni ucraine con persone russe detenute per le loro opinioni contrarie alla guerra. Vale a dire, civili con civili. I motivi di questa decisione stanno nel fatto che l’Ucraina è una nazione europea, dove vige lo stato di diritto, che porta a termine i propri impegni, inclusi quelli di natura umanitaria. Le persone che sono state messe dietro le sbarre per la loro contrarietà alla guerra, e cioè per sostenere il nostro stato, hanno bisogno del nostro aiuto.

Stiamo combattendo una guerra contro un nemico crudele, privo di principi e talvolta inumano. Le autorità russe hanno ripetutamente mostrato come per loro gli accordi non valgano niente. Dunque, relativamente a questi casi, possiamo solo garantire che alle nostre parole corrisponderanno delle azioni. Garantiamo che faremo tutto ciò che è in nostro potere per prestare assistenza a coloro che aiutano e sostengono l’Ucraina in questa guerra.

In tal senso, collaboriamo con organizzazioni di difesa dei diritti umani legalmente riconosciute che si trovano in Russia così come con attivisti dell’opposizione russa. Cerchiamo ed elaboriamo continuamente dei modi per aiutare i prigionieri politici “pro-Ucraina”. Da quando abbiamo dato vita all’iniziativa, abbiamo ricevuto quasi mille richieste da parte di difensori dei diritti umani russi e comuni cittadini.

Un prigioniero accolto da “Voglio vivere” al lavoro come saldatore (Tara Kurushkina)
Siete mai stati criticati per il vostro lavoro al progetto “Voglio vivere”?

La stragrande maggioranza del popolo ucraino capisce perfettamente quanto sia necessaria l’esistenza di una possibilità per il nemico di arrendersi in maniera volontaria. Dopotutto, è meglio avere in mano una bandiera bianca che un fucile. D’altra parte, è impossibile evitare che arrivino commenti negativi sulla nostra attività. Ma spesso non si tratta nemmeno di critiche, quanto di reazioni emotive al trattamento talvolta inumano che viene riservato dai russi ai prigionieri di guerra ucraini.

È comprensibile, sul piano delle emozioni. Ma in termini di umanità e di uno stato di diritto civile è inaccettabile. Fortunatamente, la maggior parte degli ucraini continua a dimostrare un atteggiamento umano, nonostante le atrocità che sono state commesse e che ancora vengono commesse sul nostro territorio. E questo è ciò che innanzitutto ci distingue dal nemico che abbiamo di fronte.

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Redazione
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