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“La transizione è un viaggio senza fine”. L’Albania secondo Organizata Politike

Sono passati trent’anni dalla definitiva caduta di un regime asfissiante che aveva resistito persino alla morte del suo leader, Enver Hoxha. Un regime che aveva lasciato il paese in condizioni economiche pessime e completamente isolato dal punto di vista internazionale. La transizione, a inizi anni Novanta, non convinceva molti che preferirono scappare in Italia in cerca di prospettive migliori di quelle offerte da un paese lanciato verso la guerra civile.

Trent’anni dopo, quelle tensioni sembrano ormai superate anche se non mancano accesi conflitti politici e sociali. L’Albania appare oggi come il paese giusto per le vacanze, dove poter passare un po’ di tempo tra mare e natura a costi bassissimi. Eppure, le bellezze mostrate ai turisti nascondono un paese molto più in difficoltà, tra crisi economica, guerra, aumento dei prezzi dei beni. Secondo i dati rilasciati dall’Istituto di Statistica Nazionale dell’Albania, nel 2020 il rischio di povertà o esclusione sociale era stimato al 43,4%, con il 34,7% degli albanesi che vive in condizioni di deprivazione materiale grave. Non è un caso che la popolazione continua a calare costantemente dal 1990, con i giovani che, oggi come allora, emigrano in Europa in cerca di lavoro e opportunità migliori.

Abbiamo parlato di questo e tanto altro con Organizata Politike, un’organizzazione albanese che negli ultimi anni si è contraddistinta per il sostegno ad alcune battaglie per il lavoro, come quella dei minatori della Albchrome, o la recente raccolta firme per introdurre anche in Albania un reddito minimo.

Proteste contro il carovita sostenute da Organizata Politike
Proteste contro il carovita sostenute da Organizata Politike

Negli ultimi anni in Albania, nonostante l’ormai decennale governo di Edi Rama e del Partito Socialista, non sono mancate le proteste: da quelle contro il carovita a quelle contro le violenze della polizia, passando per quelle organizzate dal Partito Democratico all’opposizione. Qual è la situazione attuale nel paese?

Nel 2021 il Partito Socialista di Edi Rama ha ottenuto il terzo mandato consecutivo per il governo, soprattutto a causa della debolezza dei partiti di opposizione. Per molti albanesi questo è stato percepito come un processo di instaurazione di un nuovo tipo di regime – facendo tornare i fantasmi del passato con il dominio del partito unico – caratterizzato da crescente debito pubblico, tagli alla spesa pubblica e privatizzazione delle istituzioni con il famigerato PPP (Partnership pubblico-privato) che incanala i soldi del budget nelle mani di investitori dubbi provenienti da paradisi fiscali attraverso progetti di centinaia di milioni di euro, e la trasformazione del paese in un hub chiave per il traffico di droga in Europa (nel 2016 per la marijuana e negli ultimi anni per la cocaina e l’eroina).

Se si aggiunge a questo contesto il terremoto del 2019 che ha lasciato centinaia di famiglia senza case, gli effetti del Covid-19 e la guerra in Ucraina, così come le occasionali brutalità della polizia, ecco che allora forse si possono considerare le recenti proteste come troppo poco.

Cosa hanno significato e che risultati hanno ottenuto le proteste di questi anni?

Le proteste sono state un modo per incanalare la frustrazione. L’uccisione di un 25enne, Klodian Rasha, da parte della polizia nel pieno della pandemia ha provocato una reazione spontanea dei giovani delle periferie di Tirana. Questo è proprio il target di persone che hanno maggiori probabilità di migrare o entrare nel mondo del crimine.

La protesta più recente è stata contro l’aumento del prezzo della benzina che ha prodotto una reazione a catena nei prezzi dei beni di prima necessità. L’Albania è stato il primo paese in Europa in cui si è protestato per questo. I ridimensionati partiti di opposizione hanno anche organizzato alcune proteste ma con un messaggio e una nomenklatura di partito che sono ormai vecchi e screditati come il loro leader, Sali Berisha. In termini reali le proteste hanno ottenuto poco o nulla, ma hanno dato coscienza sociale di un significativo malcontento popolare, non solo verso Edi Rama ma verso l’establishment politico nel suo complesso.  

Il panorama politico albanese negli ultimi trent’anni anni è stato egemonizzato dal Partito Socialista e dal Partito Democratico, come si inseriscono le lotte di realtà indipendenti e di sinistra come la vostra in un contesto politico così bloccato?

Non è stato facile, per non dire altro. In un certo senso, da più di un decennio stiamo cercando di introdurre un diverso percorso di impegno sociale e politico in un paese privo di tali esperienze nella sua memoria collettiva. Siamo stati spesso incompresi, definiti come naive utopici o come fuorviati seguaci di Enver Hoxha. Tuttavia, le persone sono frustrate e cercano risposte che vanno oltre i vecchi partiti politici. Dopo trent’anni di cosiddetto “governo democratico”, la transizione, che secondo le promesse avrebbe dovuto guidare la società fuori dagli incubi dell’economia pianificata e introdurla nella prosperità delle relazioni capitaliste, ha dimostrato di essere un viaggio senza fine. Di conseguenza, le persone sono più propense ad ascoltare quello che abbiamo da dire, comprendere le cause per cui stiamo lottando e sono meno inclini ad addossarci etichette.

Uno dei principali campi d’azione della vostra organizzazione è quello della lotta sindacale. Qual è il vostro rapporto con i sindacati?

I sindacati “ufficiali” in Albania hanno avuto due scopi principali: allinearsi a uno dei principali partiti politici, assicurando voti dei loro membri; l’altro è stato quello di vedere gli interessi dei datori di lavoro contro quelli dei lavoratori in tutti i settori industriali chiave in cui esistono tali sindacati. Inoltre, hanno svolto un ruolo attivo cercando, oltre che di intimidire i lavoratori, di screditare i nuovi sindacati che abbiamo contribuito a creare nelle industrie minerarie e di raffinazione del petrolio. Per il breve momento in cui sono stati attivi, i nuovi sindacati hanno delineato la divisione tra i lavoratori militanti che erano impegnati nella lotta e quelli che hanno scelto il compromesso con i vecchi sindacati.

Organizata Politike
Raccolta firme per la legge sul reddito minimo (Organizata Politike)

L’Albania è uno dei paesi con il salario medio più basso d’Europa (514 euro). Come organizzazione, state portando avanti una raccolta firme per una legge sul reddito minimo. Di cosa si tratta e qual è la condizione dei lavoratori e delle lavoratrici albanesi?

Proverò a dare qualche cifra per dipingere un quadro: l’Albania è il terzo paese più povero d’Europa dopo la Moldova e il Kosovo (recentemente anche l’Ucraina), dove un terzo della popolazione vive al di sotto della soglia di povertà di 5,5 dollari al giorno. Con la guerra in Ucraina l’inflazione è salita dell’8,3% e il prezzo dei beni di prima necessità come pane, uova, olio e latte è salito fino al 24%. Il disegno di legge per il quale ci stiamo battendo mira a stabilire un reddito di base minimo di 20.000 lekë (170 euro), simile a quello che in Italia chiamate reddito di cittadinanza. Se dovesse essere approvato, avrebbe effetti anche sul salario minimo, sulle pensioni, ecc.

La condizione dei lavoratori in Albania è precaria; potrebbero essere licenziati senza preavviso, i salari possono essere ritardati indefinitamente, sono costretti a lavorare durante i fine settimana e gli straordinari senza un adeguato compenso, sono spesso pagati meno del salario minimo ecc. Per “lavoratori” intendo anche impiegati “colletti bianchi” della classe media. La differenza principale con gli operai è che questi ultimi mettono ogni giorno in pericolo la propria vita in lavori come l’edilizia, l’estrazione mineraria, il lavoro in fabbrica ecc. Per questo la nostra lotta sindacale sarà lunga.


Il paese registra tassi di emigrazione tra i più alti al mondo. Oggi, circa un milione e mezzo di albanesi, specialmente giovani, vive all’estero, perché? Quali prospettive hanno i giovani che restano?

Il motivo per cui i giovani lasciano l’Albania non sono solo le condizioni di lavoro e i bassi salari di cui ho parlato, ma anche una generale mancanza di speranza per un futuro migliore. In un paese dove l’economia si regge su tre pilastri principali – aumento del debito pubblico, rimesse dall’estero e investimenti di denaro della droga – non ci sono molte opportunità di lavoro per le nuove generazioni. Il costo dell’istruzione in Albania è alto come in alcuni paesi dell’Ue, senza chiare prospettive di occupazione. D’altra parte, i grandi signori della droga che lavano i loro soldi nelle infrastrutture albanesi (Edi Rama si è scontrato con i funzionari dell’Ue su una legge che vuole introdurre per l’amnistia fiscale del denaro della droga) attirano anche giovani ragazzi dalle periferie del Regno Unito, Paesi Bassi, Germania ecc. dove vengono nutriti con la promessa di soldi facili e veloci. Per chi resta in Albania, la speranza va trovata attraverso la lotta; oltre alla manifestazione del 2020 per l’uccisione del 25enne, una grande protesta studentesca nel dicembre 2018 ha scosso le fondamenta del potere.

Guardando al passato, cosa salvereste del periodo comunista e cosa vorreste che non succedesse ancora?

La mia è una generazione che è venuta dopo la morte del dittatore, sul ciglio dei cambiamenti sociali, non posso parlare per esperienza. Tuttavia, quello che salverei del regime è una società più egualitaria, un senso di comunità, la sicurezza lavorativa, i servizi sociali, l’istruzione e la sanità gratuite, cosi come un più generale senso di lavorare per un futuro migliore (parlo specialmente del periodo dopo la guerra). Quello che non vorrei più vedere è il comando del partito singolo del regime stalinista che si mantiene al potere tramite persecuzioni e ondate di purghe.


Volgendo lo sguardo al presente e al futuro. Quest’anno il vostro paese ha ottenuto il via libera alle negoziazioni per l’adesione all’Unione europea. Qual è la vostra posizione nei confronti dell’Ue?

Penso che l’Unione europea sia un meccanismo cristallizzato ormai morto su principi neoliberisti. In tempi di prosperità generale è servito ad alimentare il “sogno europeo” in Albania per molti decenni dopo la caduta del regime. Ma con gli eventi del 2015 in Grecia, la Brexit, la risposta al Covid in Italia, le sue regole tecnocratiche e la completa assenza di processi decisionali democratici, le sue frequenti giostre geopolitiche verso l’Albania e il Kosovo, credo che molti albanesi siano rimasti delusi dalla speranza di entrare nell’Ue, così come dalla prospettiva complessiva di un’unione nel futuro.

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Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.