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I bambini della Securitate

Fare i conti con il proprio passato non è un’abitudine frequente, né per le persone né per i governi. Ritornata al sistema democratico liberale dopo decenni di governo monopartitico comunista, anche la Romania ha faticato a rapportarsi al proprio passato in maniera critica; tant’è che fu solo nel 2012, dopo più di vent’anni dalla fine del regime e cinque dall’ingresso nell’Unione Europea, che i parlamentari romeni approvarono una legge sulla lustrazione.

La legge non ha nemmeno prodotto risultati significativi. Infatti, il “Dossier della Rivoluzione in Romania” con cui vennero portati a giudizio figure di spicco dell’amministrazione rumena, ivi compreso l’ex presidente Ion Iliescu per la gestione della rivoluzione del 1989 che costò la vita a 862 persone, nel 2020 si è concluso in un nulla di fatto: i processi non hanno prodotto condanne e le responsabilità non sono state accertate.

La tremenda Securitate rumena

La Securitate (che in italiano si traduce semplicemente come “sicurezza”) fu il termine popolare usato per indicare il Dipartimento della Sicurezza dello Stato (Departamentul Securității Statului), ovvero la polizia segreta della Repubblica Socialista Rumena, fondata il 30 agosto 1948 sotto la direzione del Ministero della Sicurezza Statale sovietico.

Nel 1999, la Romania ha aperto gli archivi della polizia segreta alle persone che erano state sottoposte a sorveglianza durante gli anni comunisti. Decine di persone scoprirono quanto la Securitate, già sotto Gheorghiu-Dej, documentava la vita quotidiana di sospetti agitatori politici. Questa dettagliatissima documentazione si fondava sulla collaborazione, più o meno consapevole, di persone alle quali veniva chiesto di riportare informazioni sulla vita, pensieri, e intenzioni dei sorvegliati.

In una storia del 2014, per esempio, il figlio di Ion Bugan, dissidente rumeno divenuto poi rifugiato politico negli Stati Uniti, raccontò alla BBC di come la Securitate mise accanto a sua madre, all’epoca in ospedale per vegliare sul figlio, un “paziente” che aveva anch’ella un “bambino malato”. La donna divenne “amica” della madre e produsse resoconti su ciò che quest’ultima disse sul marito e sulla sua dissidenza.

Un altro esempio è la messa in scena di un “impiegato di Amnesty International” venuto a chiedere informazioni a sua madre rispetto alle persecuzioni della Securitate. L’ufficiale fu addestrato ad avere un accento tedesco, e istruito ad allontanare la donna da casa, “lontano dai microfoni”, con l’obiettivo di arrestarla per aver parlato del marito con degli stranieri.

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I bambini spia

Sul finire degli anni Ottanta, quando l’odore della liberalizzazione nel blocco sovietico spinse Nicolae Ceaușescu a rafforzare la presa sul paese, il regime reclutò anche migliaia di bambini per spiare compagni di scuola, genitori e insegnanti. La cosa più problematica è che, in mancanza di legislazione sulla lustrazione, molti degli agenti che reclutarono i bambini-spia (furono raccolte prove per non meno di 50 persone) continuarono a lavorare per i servizi di sicurezza dopo che Ceaușescu fu rovesciato e giustiziato nel 1989.

I rapporti dei bambini evidenziano sia il desiderio ossessivo di informazioni della Securitate sia la profondità della sfiducia interpersonale in Romania al tramonto del comunismo: in una lettera, l’agente-bambino “Dragu” informava il compagno di scuola Vasile di aver acquistato gomme da masticare e penne dai polacchi in visita.

In un altro esempio, “Enescu” racconta al suo referente di aver sentito i fratelli Paraliuc discutere su come fuggire oltre il confine con l’Ungheria e dirigersi verso l’Italia. In un terzo rapporto, “Cristian” rivela che la sua compagna di scuola Alina ha ricevuto un biglietto di auguri musicale da un’amica di New York. Una nota in fondo alla lettera, nelle mani adulte di un ufficiale della Securitate, dice che Alina sarebbe stata condotta a colloquio per apprendere di più sui suoi rapporti con stranieri.

Secondo Cazimir Ionescu, membro del consiglio di stato creato per studiare gli archivi della Securitate, in ogni regione esistevano reti di bambini informatori di età compresa tra i 10 e i 14 anni. Lo storico rumeno Marius Oprea scoprì che nel 1989 a Sibiu la Securitate aveva reclutato 830 informatori, 170 dei quali avevano meno di 18 anni. Se questa statistica fosse valida per tutto il paese, si potrebbe parlare del fatto che il 15% degli informatori in tutto il paese erano minorenni (si stima che la cifra si aggiri intorno a 12mila). Per gli esperti, questi dati erano noti già dal 1989, ma nessun membro del “nuovo regime” si interessò all’argomento. 

Immagine: Sede della Securitate presa d’assalto (Wikipedia)

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Gian Marco Moisè
Gian Marco Moisè

Ricercatore e divulgatore scientifico, esperto in relazioni internazionali, scienze politiche e dell'area dello spazio post-sovietico con un dottorato conseguito alla Dublin City University. Oltre all’italiano parla inglese, francese, russo, e da qualche mese studia romeno.