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La Rivoluzione delle rose in Georgia a vent’anni di distanza

– Dove sta andando, Signor Presidente?

– A CASA!

Eduard Shevardnadze, 23 novembre 2003

Uno scambio con i giornalisti rimasto famoso – una sorta di meme ante litteram – calava il sipario sugli otto anni di presidenza di Eduard Shevardnadze in Georgia. Le dimissioni del capo di Stato costituivano l’atto finale della cosiddetta Rivoluzione delle rose, le proteste che, dall’inizio di novembre 2003, animavano Tbilisi e altre città georgiane.

Sono passati vent’anni e, nonostante molte delle aspettative sulle implicazioni della Rivoluzione delle rose per la Georgia (e non solo) siano state disattese, la sollevazione di quei giorni rimane uno dei momenti storici più importanti della storia recente del paese.

La battuta conclusiva di Shevardnadze

Dalle elezioni alla rivoluzione

Le elezioni parlamentari del 2 novembre 2003 costituivano un banco di prova importante per Eduard Shevardnadze, quello che da un decennio era l’uomo più potente della Georgia.

Shevardnadze, classe 1928, era stato un politico illustre in Unione Sovietica ricoprendo, tra le altre cose, il ruolo di primo segretario del Partito Comunista della Georgia tra il 1972 e il 1985 e quello di ministro degli Esteri dell’Urss tra il 1985 e il 1990. Questo secondo incarico gli aveva dato fama mondiale, permettendogli di creare rapporti diretti con i leader occidentali dell’epoca.

Dopo il crollo dell’Unione Sovietica era tornato in Georgia, nel 1992. Il paese era nel caos, spaccato dai conflitti in Abcasia e Ossezia del Sud e dalle lotte di potere intestine. Sfruttando la sua fama e la sua influenza, Shevardnadze, prima in veste di presidente del parlamento e poi, dal 1995, in quella di capo di Stato, riuscì progressivamente a riportare l’ordine.

Se la fase calda dei conflitti in Abcasia e Ossezia del Sud si era conclusa e le bande armate che combattevano per il controllo della Georgia sciolte, la situazione nel paese rimaneva però tutt’altro che rosea agli inizi degli anni Duemila. Gran parte della popolazione viveva al di sotto della soglia della povertà, non esisteva alcun meccanismo per la riscossione delle tasse con il governo che si finanziava vendendo incarichi, mentre la fornitura di acqua, elettricità e gas era intermittente nelle città e inesistente altrove.

Shevardnadze trascorse gran parte degli anni Novanta ad affrontare il problema della corruzione, o almeno tentando di convincere le agenzie umanitarie occidentali che lo stava facendo. Nella maggior parte delle classifiche la Georgia era classificata come uno degli stati più corrotti del mondo […] Nonostante il sostegno di Shevardnadze a campagne pubbliche ben finanziate per smascherare le pratiche di corruzione – dall’estorsione da parte della polizia stradale all’appropriazione indebita di prestiti internazionali – i risultati furono meno che stellari.

Charles King, Il Miraggio della Libertà, 2014

Il fallimento di Shevardnadze nel combattere la corruzione e la modesta crescita economica durante la sua presidenza erosero progressivamente il consenso della popolazione nei confronti del governo. Proprio per questo, la tornata elettorale del 2003 erano viste dalle opposizioni come una prova per testare la volontà effettiva di Shevardnadze di riformare il paese.

Ma le elezioni del 2 novembre 2003 andarono nella direzione opposta. Brogli sostanziali vennero segnalati sia dalla missione internazionale di osservazione elettorale dell’Osce che dalle organizzazioni non governative georgiane che monitoravano i processi elettorali.

Il leader del partito di opposizione Movimento Nazionale Unito, Mikheil Saakashvili, in particolare, dichiarò di aver vinto le elezioni in base ai conteggi indipendenti e invitò i cittadini a protestare e alla disobbedienza civile non violenta. Nel corso del mese di novembre si svolsero manifestazioni a Tbilisi e nelle maggiori città della Georgia i cui i partecipanti chiedevano le dimissioni di Shevardnadze e lo svolgimento di nuove elezioni.

Il culmine si raggiunse il 22 novembre, quando i sostenitori dei partiti di opposizione, guidati da Saakashvili, fecero irruzione nella prima seduta del parlamento con delle rose in pugno – da cui il nome: Rivoluzione delle rose – interrompendo un discorso di Shevardnadze e costringendolo a fuggire accompagnato dalla sua scorta.

L’irruzione in parlamento il 22 novembre 2003

Il presidente dichiarò lo stato di emergenza e iniziò a mobilitare l’esercito, salvo poi cambiare idea. Il 23 novembre, con la mediazione del ministro degli Esteri russo Igor’ Ivanov, incontrò i leader dell’opposizione Saakashvili e Zurab Zhvania per discutere della situazione nel paese. Poco dopo Shevardnadze dichiarò le proprie dimissioni, che furono festeggiate tutta la notte dai manifestanti a Tbilisi.

A sei settimane di distanza, nel gennaio 2004, in Georgia si svolsero nuove elezioni presidenziali vinte dal trentaseienne Saakashvili con il 96,2% dei voti. Seguirono elezioni parlamentari che videro l’affermazione del Movimento Nazionale Unito.

L’eredità della Rivoluzione delle rose

In pochi giorni, la Georgia passò dall’essere governata da un anziano esponente dell’élite sovietica, vertice di un sistema irrimediabilmente corrotto, alla leadership di un giovane ed energico presidente e una classe politica educata in Occidente.

Per questo motivo, la Rivoluzione delle rose ebbe una enorme eco mediatica e venne a lungo considerata come un modello di transizione democratica nei paesi dell’ex Unione Sovietica, afflitti da problemi simili alla Georgia. Nel 2005, l’esempio georgiano ispirò la Rivoluzione arancione in Ucraina, la Rivoluzione dei tulipani in Kirghizistan e le sollevazioni contro il governo in Belarus’ e Azerbaigian.

La spettacolare – e per molti versi efficace – campagna di lotta alla corruzione, l’inglese fluente e la dialettica politica occidentale imparata alla Columbia University di Saakashvili erano poi strumenti sufficienti per ammaliare gli alleati americani. Si creò in quegli anni la rete capillare di organizzazioni non governative, finanziate per lo più dai paesi occidentali, attive ancora oggi in Georgia e causa scatenante delle proteste del marzo 2023. Il nuovo presidente aveva fatto della Georgia un modello da supportare.

Tuttavia, a vent’anni di distanza, possiamo osservare come “il faro della democrazia” descritto dal presidente americano George W. Bush in una storica visita a Tbilisi nel 2005 si rivelò un paese in cui gli oppositori politici venivano arrestati e condannati grazie a prove false e dove si ricorreva alla tortura nelle prigioni.

Nonostante questo, la Rivoluzione delle rose rimane un momento spartiacque nella storia della Georgia post-sovietica. Quello che era uno stato fallito, afflitto dalla corruzione e non in grado di fornire i servizi più essenziali ai suoi cittadini, fu rimesso in moto dalla nuova classe dirigente salita al potere nel novembre 2003.

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Aleksej Tilman
Aleksej Tilman

Laureato in scienze politiche, ha vissuto due anni a Tbilisi, lavorando e specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell'area caucasica all'Università Ivane Javakhishvili. Ha collaborato con East Journal dal 2015 al 2021.