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Manol Peykov: l’editore bulgaro che ha donato centinaia di generatori all’Ucraina

Intervista condotta da Joana Găndovska
Pubblicata originariamente il 07 febbraio 2023 sulla rivista Ženata dnes

Manol Peykov. La possibilità di un’isola!

Manol Peykov è editore, socio amministratore della casa editrice Janet 45 [che pubblica autori come Georgi Gospodinov e Kapka Kassabova, NdT] e direttore della tipografia digitale 2x2. È uno di quegli instancabili cittadini di Plovdiv che non si fermano davanti a nessun ostacolo nel percorso a sostegno dell’ennesima causa. È la persona che ha unito oltre 5500 donatori, i quali in meno di due mesi hanno messo a disposizione più di un milione e 200mila leva [oltre mezzo milione di euro, NdT] per l’acquisto di centinaia di generatori – di cui già oltre quattrocento sono stati consegnati in più di cento centri abitati in Ucraina. Lo ha fatto mentre conduceva anche altre battaglie – come quella per la fiera del libro di Plovdiv. Ed è sempre lui la persona che ora si trova al centro della campagna di donazioni per le vittime del fatale terremoto in Turchia e Siria.

La missione dell’editore “Elettricità per l’Ucraina” (Tok za Ukrajna) non è soltanto unica nel suo genere e davvero stimolante. È una campagna che cambia le vite. L’iniziativa di successo dell’attivista ha fatto sì che molte persone non solo simpatizzassero, ma si sentissero parte di un’autentica società civile. E per questo in tanti hanno riconosciuto in Manol Peykov una guida e un unificatore.

La nostra conversazione con lui è avvenuta poche ore dopo il suo ritorno dall’Ucraina, dov’è andato di persona a consegnare gli ennesimi generatori.
“Un cittadino di Plovdiv lavora più dell’intero stato e lo sostituisce su tutti i fronti possibili”; “Una persona che accende la scintilla della bontà facendola crescere e crescere”; “Il leader informale della gente libera”. “Attivista, donatore, ispiratore…”. Queste sono solamente alcune delle parole con cui ti descrivono molte persone. Ti senti un unificatore? E come chiameresti questa unificazione?

Ho sempre creduto che il cambiamento di cui abbiamo così tanto bisogno non scenderà dal cielo, né si paleserà magicamente. C’è un unico modo per ottenerlo: ognuno di noi deve sforzarsi di costruire attorno a sé isole di normalità, nella speranza che venga il giorno in cui queste isole pian piano si uniranno, diventando un continente.

Questo è proprio quello che cerco di fare, sia nel mio lavoro di editore e proprietario di una tipografia, sia a livello sociale. L’unica cosa sorprendente del progetto dei generatori per l’Ucraina è stata l’insolita risonanza a cui è andato incontro il mio appello: l’isola si è di colpo rivelata incomparabilmente più grande di quanto avessi immaginato.

Hai mai pensato che avresti trascinato tutta la Bulgaria nella raccolta di fondi per i generatori in aiuto alla popolazione ucraina?

No, non mi è mai venuto in mente.

Qualunque sia il progetto che si intraprende, non si dovrebbe iniziare con grandi aspettative; bisogna attenersi a obiettivi reali e realizzabili. Come dice San Francesco d’Assisi: “Cominciate col fare il necessario, poi ciò che è possibile. E all’improvviso vi sorprenderete a fare l’impossibile”.

Conduci battaglie su molti campi. Nei confronti di cosa sei più irremovibile?

Nei confronti dell’ingiustizia.

E cosa non puoi perdonare?

Quando qualcuno ti mente in faccia in maniera del tutto intenzionale per ottenere un guadagno personale. Penso sia uno dei maggiori problemi della politica bulgara, e uno dei principali motivi dello scarso interesse per la politica tra i giovani, della bassa affluenza alle urne e della crisi politica in cui ci troviamo da molto tempo a questa parte.

Se vuoi saperne di più sulla situazione politica bulgara, leggi qui e qui.
Dici di non esserti mai sentito così utile come in questo momento, sia sul piano sociale che puramente umano. Qual è stato l’ostacolo più grande sulla strada che ti ha portato a questa percezione?

Gli ostacoli sono soprattutto nella mente. La parte più difficile del viaggio nella nostra vita è combattere con noi stessi.

Quando è iniziata la guerra in Ucraina temevo che potesse arrivare un momento in cui l’orrore nelle immagini sarebbe diventato normale quotidianità, e col tempo ci saremmo abituati al dolore. Ma l’enorme esercito di volontari che si è creato da noi ha dissipato questa paura. Ti sorprende questa ondata di empatia е partecipazione?

Quando un disastro di questo calibro si trascina troppo a lungo, comincia a “cronicizzarsi”, a normalizzarsi nella mente delle persone. E così la scomparsa di un bambino in una città vicina è in cima alle notizie di tutti i media per giorni di fila, mentre la morte quotidiana di centinaia di persone in un paese vicino ha da tempo smesso di impressionarci.

E no, questo non è un rimprovero, bensì una constatazione: la psiche umana è progettata in maniera tale da non poter funzionare in regime di stress per mesi di fila. Perciò, in periodi di guerra o di altri disastri di massa, la nostra soglia di sensibilità alla sofferenza degli altri si alza drasticamente. Altrimenti non riusciremmo a sopravvivere, perché il nostro cuore scoppierebbe, il nostro cervello esploderebbe.

Proprio per questo mi aspettavo che dopo il secondo o terzo mese di guerra la gente avrebbe gradualmente perso interesse per qualsiasi iniziativa di beneficenza. Solo che è successo l’esatto contrario: da marzo a novembre avevo raccolto per varie campagne legate all’Ucraina circa 270mila leva (una cifra di per sé piuttosto impressionante!), ma dopo il lancio della campagna per i generatore il 26 novembre nel giro di due mesi scarsi si sono riversati sul mio contro oltre un milione e 200mila leva. Le donazioni individuali (finora) sono oltre 5500. E senza una sola pubblicità a pagamento, solo con messaggi organici.

Non ho altra spiegazione per questo fenomeno se non che è un segno molto chiaro della nascita in Bulgaria di una vera società civile. E come tutti sappiamo molto bene, i migliori (e più desiderati!) luoghi in cui vivere sul pianeta Terra sono quelli con un’attiva e implacabile energia civica. Perché è l’antidoto più sicuro contro l’autocrazia e l’arbitrarietà statale.

Aiuta l’Ucraina. Proteggi la Bulgaria.
Seguendo le orme dei generatori che hanno già raggiunto più di cento località in Ucraina, incontriamo molte storie. Qual è quella che vorresti venisse ricordata quando tutto questo sarà finito?

Quella del sindaco della minuscola cittadina di Netišyn, situata nelle immediate vicinanze della centrale nucleare di Chmel’nyc’kyj. L’uomo aveva fatto richiesta per ben quarantatré generatori e l’ho chiamato personalmente per capire perché gliene servissero così tanti.

Me l’ha spiegato in tutta semplicità: anche con una minima perdita di combustibile nucleare l’intera città sarebbe dovuta scendere sottoterra – e restarci solo dio sa per quanto tempo. Dei sessantaquattro rifugi antiaerei esistenti, solo ventuno sono dotati di generatori.

Quando dopo un rapido calcolo gli ho promesso che avremmo cercato di inviarne almeno quindici, mi ha risposto che se ne avessimo inviati anche uno soltanto sarebbe stato per loro un aiuto inestimabile.

Poi è rimasto in silenzio per un attimo e ha aggiunto piano: “Voglio che sappia che se lei o qualcun’altro si trovasse in una situazione simile, anche noi vi aiuteremo”.

Come immagini il punto finale di questa guerra che ha aperto e aprirà molte altre ferite ancora? Potranno mai essere guarite ed è possibile il perdono?

Qualche giorno fa ho incontrato il rettore dell’Università pedagogica di Odessa Andrej Krasnožon, storico e archeologo di professione. “Negli ultimi duecento anni tutti gli eventi importanti in Russia sono accaduti all’improvviso e non possono essere previsti”, ha sottolineato. “Sarà così anche stavolta”.

Ritengo che abbia ragione. Penso che la fine ci sorprenderà: non arriverà quando ce lo aspetteremo e nemmeno nel modo in cui ce lo aspettiamo.

Per quanto riguarda le ferite, non c’è dubbio che per rimarginarsi ci vorranno anni. Temo che le croste del sangue coagulato rimarranno visibili lungo corpo e anima non solo dell’Ucraina, ma di tutta l’Europa per decenni a venire.

Le persone hanno chiavi diverse per la salvezza delle anime. Tutto quello che fai è una sorta di possibile salvezza?

C’è un vecchio detto ebraico che dice: “Prima sii un uomo, poi sii ciò che vuoi”.

Quando ci fermiamo un attimo e ci guardiamo attorno, le cose in realtà sono molto semplici. Ma siamo eccessivamente presi dalle nostre battaglie quotidiane per la sopravvivenza e la supremazia, e troppo spesso ce le complichiamo da soli.

Ti senti un salvatore?

No, più un’ispiratore.

L’enorme energia sociale che si è scatenata non è merito mio. È abbastanza ovvio che era già lì da dio sa quanto tempo, a testa bassa, in attesa che qualcuno si mobilitasse e la indirizzasse.

Il carburante viene dalle migliaia di donatori, a me è semplicemente capitato di essere la persona che ha acceso il fiammifero.

Manol Peykov con Žanna Suslina e Jana del Centro per la cultura, il turismo e lo sport di Bolhrad, gennaio 2023
Quando hai sentito per la prima volta di voler aiutare? E cosa ti dà il coraggio di non rinunciare?

La partecipazione e il desiderio di aiutare sono profondamente radicati negli istinti umani; rifiutarsi di aiutare una persona (oppure un animale) in difficoltà è pura patologia.

Da un punto di vista storico i regimi più misantropici sono stati quelli che sono riusciti a coltivare nei sudditi questa patologia e a farne uno stato d’animo permanente. È proprio questo che ha reso possibile sia la follia a sangue freddo del nazismo nella Germania di Hitler, sia le continue furie del comunismo nella Corea del Nord fino al giorno d’oggi.

Cosa mi dà il coraggio di non rinunciare? Il sostegno della gente. La sensazione di non essere solo, che dietro di me, accanto a me, intorno a me ci siano migliaia di persone che condividono gli stessi valori.

Ma la semplice verità è che non è necessario il supporto di migliaia di persone per andare avanti. Spesso ne basta una sola.

Qual è il prezzo che paghi per tutta questa energia che va a beneficio della società?

Mi resta meno tempo per i miei affari personali, i quali hanno anch’essi bisogno di cure. Ma questo di per sé non è per forza un aspetto negativo: la mancanza di tempo mi insegna a delegare, a dare fiducia alle persone. E con il mio stile di lavoro (e visto che da tempo tendo a correre lungo più piste contemporaneamente) questa è forse l’unica formula vincente.

Sei riuscito a unire migliaia di persone attraverso le tue cause, ma in generale, soprattutto negli ultimi anni, la nostra società è molto divisa. Come siamo arrivati a vivere in più realtà parallele e capirci sempre meno?

L’istruzione e la cultura sono la chiave di tutto. Mi permetto di citare ancora una volta Andrej Krasnožon: “Dopo l’inizio della guerra il nostro governo ha capito improvvisamente l’importanza della professione di insegnante”, mi ha confidato durante il nostro recente incontro a Odessa.

Poi ha spiegato:

“È di grande importanza se le persone nella regione di Zaporižžja, dove fino a poco tempo fa passava il confine, hanno una coscienza filo-russa o filo-ucraina. Perché se sono di concezione filo-russa, semplicemente non opporranno resistenza.

E dove viene insegnato questo? Alla scuola materna. In altre parole, se non fosse per gli insegnanti, i ragazzi in prima linea non avrebbero nessuno da proteggere”. Ha concluso in modo più che eloquente.

“Il governo ci ha insegnato questa lezione” ha detto, “anche se nel modo più duro”.

E ha aggiunto che, secondo lui, nei prossimi anni tre professioni saranno di particolare importanza per il futuro dell’Ucraina: quella del militare, quella del medico e quella dell’insegnante.

Peccato che apprezziamo il ruolo fondamentale dell’insegnante solo quando ci troviamo in situazioni così al limite.

Vedi speranza nel futuro? O il futuro è un luogo solitario?

In uno dei miei libri preferiti, La strada di Cormac McCarthy, un padre e suo figlio di dieci anni camminano attraverso una terra straziatamente desolata dopo un’apocalisse senza nome, presumibilmente nucleare. Superano migliaia di ostacoli, sopravvivono giorno per giorno, trovare cibo e acqua è una sfida a tempo pieno. Dietro ogni angolo si nascondono i mangiatori di uomini.

Ahimè, la speranza non si vede da nessuna parte: tutto è distrutto e ridotto in cenere. Alla fine, il padre muore per la polvere cancerogena che ha inalato.

«Dove vado? Cosa devo fare?» chiede il figlio prima che il padre si spenga.

«Devi andare avanti», mormora il padre con le sue ultime forze.

«Perché? Che senso ha?»

«Perché tu porti il fuoco».

Questo è davvero tutto. Non c’è altro.

Sei un editore, ma se dovessi scrivere un libro sui tempi in cui viviamo, come si intitolerebbe?

Per dare un titolo adeguato a un dato testo o epoca, è necessario prima viverlo, e poi ripensare e filtrare l’esperienza. Perciò aspettiamo che le cose si sistemino e il titolo arriverà da solo.


Foto tratte dal profilo Facebook di Manol Peykov

Traduzione dal bulgaro di Giorgia Spadoni

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Giorgia Spadoni
Giorgia Spadoni

Traduttrice, interprete e scout letterario. S'interessa di storia e cultura est-europea, in particolar modo bulgara. Ha vissuto e studiato in Russia (Arcangelo), Croazia (Zagabria) e soprattutto Bulgaria, specializzandosi all'Università statale di Sofia. Tra le collaborazioni passate e presenti East Journal, Est/ranei, le riviste bulgare Literaturen Vestnik e Toest, e l'Istituto Italiano di Cultura di Sofia. Nel 2023 è stata finalista del premio Peroto per la migliore traduzione dal bulgaro in lingua straniera e nel 2024 vincitrice del premio Polski Kot.