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Oggi il Vožd Padre Maresciallo Kim Il-sung ha ricevuto il presidente della Repubblica Democratica del Congo, Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga, con cui ha avuto una conversazione lunga e amichevole […]. Sempre nella serata di oggi, il Vožd Padre Maresciallo Kim Il-sung e il presidente della Repubblica Democratica del Congo Mobutu Sese Seko Kuku Ngbendu Wa Zabanga hanno visitato il luogo storico Mangyongdae dove il Vožd Padre Maresciallo ha trascorso l’infanzia ideando piani per combattere contro gli oppressori giapponesi.
Durante le spedizioni archeologiche per cui ho lavorato in varie parti dell’Unione Sovietica, con i ragazzi eravamo soliti comprare Koreja, un mensile a colori,al costo di 15 copechi. Ci piaceva scherzare citando queste sorta di formule magiche della rivista.
Quello che non ho mai detto in quelle occasioni è che la mia famiglia era in qualche modo coinvolta nella salita al potere del primo leader della Corea del Nord, Kim Il-sung. Scopriamo come, tenendo conto che, eccezion fatta per una data precisa, non sono certo della cronologia esatta degli eventi.
Dal Donbas a Vladivostok
Andiamo con ordine. Mio padre nacque nel 1912 a Jenakijeve, a pochi chilometri da Donec’k. Dopo gli studi, seguendo la moda dell’epoca, voleva intraprendere la carriera militare da carrista. E così fece, iniziando questa professione in una città poco lontano da Vladivostok, l’attuale Ussurijsk, nel 1935.
In quel periodo l’esercito decise di aprire a Vladivostok una scuola per interpreti militari di lingue orientali. Era alla ricerca, tra i militari già abbastanza istruiti, di chi fosse disposto a imparare la lingua cinese e giapponese. Lui venne scelto per imparare il cinese e iniziò a frequentare tre volte alla settimana l’università dove poi avrebbe conosciuto mia madre.
AntoninaKrupina e Il’ja Tilmane nel 1939:i genitori del narratore(dall’archivio di famiglia)
Quelli erano gli anni delle grandi purghe staliniane, di cui cadde vittima venendo arrestato. Lascio il racconto più dettagliato di questo periodo della sua vita a un’altra occasione.
Facendola breve, il 21 giugno 1941 iniziò per l’Unione Sovietica la Seconda guerra mondiale e mio padre venne liberato dalla prigionia prima di essere processato. Gli venne restituita la tessera del Partito e il titolo di sottufficiale (mladšij komandir). Gli diedero il comando di un carro armato americano e venne mandato al fronte occidentale, dimenticando in quella “scatola di latta” il cinese.
Non parlò mai volentieri di quegli anni, nonostante le ferite riportate. Quando però l’esercito sovietico iniziò a vincere (tra il 1942 e il 1943), venne richiamato dal controspionaggio militare; al tempo già ricopriva il ruolo di capitano.
Temette subito il peggio e che il sistema si fosse ricordato del suo arresto. Dal fronte europeo lo portarono su un aereo Douglas americano in tre tappe fino a Vladivostok.
Arrivato nella città dell’Estremo Oriente russo, venne convocato all’ufficio del controspionaggio militare e vi si recò spaventatissimo. Tuttavia, si accorse subito che gli davano del lei e lo chiamavano capitano.
“Compagno capitano, lei conosce il cinese?”
“Lo parlavo, ma dopo anni tra i carri armati me lo sono dimenticato”.
La risposta fu un “Glielo faremo ricordare” che non aveva niente di minaccioso.
Quella sera stessa venne portato verso il fiume Ussuri che attualmente segna il confine tra Russia e Cina e, all’epoca, quello tra Unione Sovietica e la Manciuria, regione controllata dai giapponesi fino al 1945.
Tra il 1941 e il 1942 gruppi di partigiani cinesi avevano attraversato il fiume per fuggire ai rastrellamenti dell’esercito nipponico. Venivano vestiti subito da soldati sovietici (fingendo che appartenessero a qualche etnia locale) e per inquadrarli venivano mandati sottufficiali e commissari politici sovietici.
La 88ª Brigata Fucilieri Separata, l’unità dell’esercito sovietico che raccoglieva ex partigiani cinesi e coreani, tra i quali Kim Il-sung (Wikipedia)
Mio padre venne dunque mandato tra questi soldati per imparare nuovamente la lingua cinese. I partigiani cinesi avevano ricevuto ranghi militari corrispondenti più o meno alle loro funzioni. I sottufficiali sovietici presero sul serio il loro ruolo, incluse le punizioni per gli indisciplinati.
Altra caratteristica particolare era che una parte dei partigiani erano giovani donne, ma qualsiasi accenno al sesso veniva punito severamente.
Mio padre passò quindi circa un mese in quello strano esercito condividendo la stanza con un parigrado, un rispettato capitano chiamato Jin Richeng. Trascorso questo periodo tornò alla scuola di interpreti di Vladivostok, dove viveva con mia madre e mio fratello (nato nel 1940).
Il corpo insegnanti della scuola di traduttori militari risalente al periodo in cui l’istituto si era giàtrasferito nella città di Kansk. Nel cerchio Il’ja Tilman (dall’archivio di famiglia)
Dopo qualche tempo lo richiamarono al controspionaggio militare.
“Compagno capitano, come è andata?”
“Bene”.
“Tra quei cinesi, c’era qualcuno di bravo di origine coreana?”
E lui disse: “Ma certo il mio compagno di stanza, il capitano Jin Richeng!”
“E questo capitano era popolare tra i partigiani?”
“Molto, lo considerano un eroe, un mitragliere di prima classe”.
La domanda seguente lo lasciò di stucco.
“Già che siete amici, Lei, compagno capitano, non potrebbe ospitarlo per qualche tempo a casa sua?”.
Mio padre pensò alla sua situazione domiciliare. Una casa di trenta famiglie di ufficiali in cui tutti condividevano una cucina comune, causa di periodici litigi tra le mogli.
Non riusciva a immaginare dove potesse starci pure il partigiano cinese, considerando che avevano un bambino piccolo, mio fratello, e lo fece presente. Gli risposero che avrebbero potuto aiutarlo e gli diedero un appartamentino da una stanza con un cucinotto: un lusso incredibile per l’epoca!
Poco dopo il trasferimento nella nuova abitazione, si unì a loro anche Jin Richeng, ovvero quello che altri non era che Kim Il-sung, il futuro leader della Corea del Nord. Il compito dei miei genitori era semplice: fargli capire come si vive in una famiglia sovietica, fargli imparare il russo, accompagnarlo in giro e via dicendo. Durante il giorno Jin/Kim andava da qualche parte con l’esercito, ma i miei non erano coinvolti e non facevano domande. Probabilmente veniva istruito e preparato al suo futuro ruolo [ipotesi confermata dai pochi documenti esistenti sulla vita di Kim Il-sung in Unione Sovietica].
Di quel breve periodo di convivenza non c’è molto da raccontare se non un aneddoto.
Mia madre era una linguista di talento (parlava diverse lingue orientali) di origini molto umili. Era molto precisa e schizzinosa rispetto a tutti i gesti che considerava “popolari” e aveva una sua idea su come si deve comportare una persona istruita.
Un giorno andarono a teatro a sentire l’Evgenij Onegin [tratto dall’opera di Aleksandr Puškin]. Mia madre sussurrava la traduzione in cinese dell’opera all’orecchio di Kim Il-sung. Lui, mentre ascoltava ridacchiando, iniziò a sfilarsi le lunghe bende che i militari all’epoca portavano come calze per… grattarsi le dita dei piedi (facendo dei versi di sollievo). Il gesto la lasciò di stucco.
Questa parentesi fu abbastanza breve. Era un episodio di vita familiare che io e mio fratello avevamo ben presente dai racconti dei nostri genitori.
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I rimedi del “grande leader” Kim Il-sung
La conseguenza di stare a lungo nel ferro del carro armato fu che mio padre si ammalò di un’artrite reumatoide deformante.
Tutti i suoi arti persero progressivamente la capacità di muoversi deformandosi anno dopo anno. Fu un calvario fatto di cortisone, cliniche e soggiorni presso i sanatori sovietici (tra i quali quelli di Tsqaltubo, in Georgia).
Proprio la malattia ci riporta al “grande leader”. Mancavano pochi mesi al mio diciottesimo compleanno (1968) e vivevamo ormai a Domodedovo, vicino a Mosca.
Mio padre si incontrava periodicamente con un gruppo di ex insegnanti della scuola di Vladivostok, tra i quali c’erano diversi coreani e cinesi. Gli raccomandarono un coreano dell’Asia centrale che praticava illegalmente le tecniche dell’agopuntura nell’hotel Metropol’ di Mosca.
Una sessione gli portò un enorme sollievo, ma purtroppo l’agopuntura era una pratica proibita. Il coreano dovette tornare a Taškent (Uzbekistan) e lo invitò a raggiungerlo promettendogli che lo avrebbe rimesso in sesto. Ma la cosa non era fattibile.
Fu allora che a me e mio fratello venne in mente: “Papà, perché andare in Asia centrale, quando conosci il coreano numero uno?”.
Ingenuamente gli suggerimmo di contattarlo e lui, altrettanto ingenuamente, si fece convincere. Scrisse una lettera in cinese, la loro lingua di comunicazione, ricordando senza troppi dettagli i trascorsi insieme, raccontando dei propri problemi di salute e chiedendo l’ausilio dell’agopuntura.
Mandammo la lettera a Pyongyang e passarono mesi senza che ricevessimo una risposta.
Finché un bel giorno, non un giorno qualsiasi, arrivò una lettera in cinese dalla cancelleria di Kim Il-sung!
“Gentilissimo compagno Tilman, ci dispiace che lei abbia questa malattia […]. Siamo sicuri che la miglior medicina del mondo della grande Unione Sovietica la aiuterà”.
Nello stesso giorno ci venne recapitato all’ufficio postale un pacco dalla Corea.
Era una scatola oblunga di cartone, su ogni lato aveva delle tigri disegnate in stile orientale. La aprimmo e mio padre estrasse una bottiglia da un litro di un alcol marrone. Era il 29 giugno 1968, il giorno del mio diciottesimo compleanno.
Si trattava di una vodka da cinquanta gradi; mio padre disse: “Vabbè, oggi diventi maggiorenne e ti avevo promesso che ti avrei insegnato a bere la vodka” (anche se in realtà avevo già esperienza in materia, senza che lui lo sapesse).
Arrivarono due miei amici e un amico di mio fratello. Quando provai la vodka quasi la sputai. Aveva un gusto di bruciato ed era assolutamente imbevibile: “No, questa vodka la bevete senza di me”.
Mio padre, mio fratello e il suo amico erano meno schizzinosi di me e i miei amici e si scolarono tutta la bottiglia. E solo dopo, mio padre guardò dentro la scatola che la conteneva e vide un foglietto sul fondo che recitava: “Medicina tradizionale coreana. Vodka con ossa di tigre tritate e bruciate. Rimedio per le malattie delle ossa, prendere un cucchiaino la sera tre volte alla settimana”.
Mio padre allora disse: “Il maresciallo mi guarirà velocemente”.
E cosi finì la storia della mia famiglia con Kim Il-sung!
* Jurij Tilman è uno scultore di origine russa nato a Vladivostok. Dopo aver trascorso l’infanzia in Siberia, si trasferisce con la famiglia a Mosca. Ottenuta la laurea all’Università Lomonosov, lavora al Museo del Cremlino come conservatore di icone e successivamente al Museo Puškin, restaurando sculture e reperti archeologici. Dal 1976 si dedica esclusivamente alla scultura, prendendo parte a movimenti non conformisti. Nel 1984 emigra a Milano. Ha organizzato numerose mostre sia in Italia che all’estero.
Nato a Milano, attualmente abita a Vienna, dopo aver vissuto ad Astana, Bruxelles e Tbilisi, lavorando per l’Osce e il Parlamento Europeo. Ha risieduto due anni nella capitale della Georgia, specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell’area caucasica all’Università Ivane Javakhishvili. Oltre che per Meridiano 13, scrive e ha scritto della regione per Valigia Blu, New Eastern Europe, East Journal e altre testate.