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Tadej Pogačar: il prodigio sloveno del ciclismo moderno

di Laura Carletti*

Klanec, Slovenia centrale. Piccola località situata nel comune di Komenda, 30 chilometri a nord di Lubiana. Qui il 21 settembre 1998 nasce Tadej Pogačar, oggi uno dei nomi più noti nel panorama sportivo internazionale.

In pochi anni questo ragazzo è passato dall’essere una giovane promessa del ciclismo a imporsi come uno dei fuoriclasse più temuti e rispettati del gruppo. Sa vincere tutto: dalle classiche di un giorno alle grandi corse a tappe, mostrando una combinazione straordinaria di talento naturale, coraggio e intelligenza tattica. Il suo impatto nel mondo delle due ruote è stato così travolgente che persino Eddy Merckx — leggenda vivente del ciclismo — ha scelto di cedergli il proprio storico soprannome, “il Cannibale”, riconoscendo in lui la stessa fame insaziabile di vittorie e la capacità di dominare su ogni terreno.

Gli inizi: talento precoce tra le colline slovene

Tadej Pogačar scopre la passione per la bicicletta a nove anni, grazie al fratello maggiore e basta poco perché il suo talento venga notato nel vivaio della squadra Rog–Ljubljana. Sin dalle categorie giovanili mostra di avere qualcosa in più: non solo gambe leggere in salita, ma anche una visione di gara acuta e un motore cardiaco fuori dal comune.

A soli 17 anni passa tra gli juniores e, due anni più tardi, nel 2017, approda tra gli Élite Under 23, sempre con la stessa formazione. I risultati non tardano ad arrivare: regolari, convincenti, fino al trionfo del 2018 nel prestigioso Tour de l’Avenir, il Tour de France delle giovani promesse. A quel punto il salto nel professionismo con la UAE Team Emirates. Un passaggio rapido, simbolo perfetto di quella “nuova generazione” di corridori capaci di bruciare le tappe e imporsi subito tra i grandi.

Strade Bianche 2025, Colle Pinzuto (Alessandro Menegon)

Una nuova era per il ciclismo

Per inquadrare il fenomeno bisogna dire che, fino al decennio scorso, il ciclismo si reggeva ancora su un percorso tradizionale e ben scandito: si iniziava tra gli juniores, si cresceva tra gli Under 23, e solo verso i 24 o 25 anni si approdava tra i professionisti. Oggi questo modello è saltato. Sempre più spesso, giovani appena maggiorenni entrano nel World Tour – il massimo livello del ciclismo professionistico – e alcuni di questi vincono fin da subito.

Tadej Pogačar è appunto l’emblema di questa rivoluzione. Firma il suo primo contratto tra i pro a 19 anni e debutta nella stagione 2019, vincendo subito il Giro di California e chiudendo terzo alla Vuelta a España, una delle tre grandi corse a tappe. Già l’anno successivo entra nella storia conquistando il Tour de France 2020 a soli 21 anni, cosa che riuscì solo a Henri Cornet nel lontano 1904. Memorabile la rimonta nella cronometro della penultima tappa, con arrivo in salita a La Planche des Belles Filles, ai danni del connazionale Primož Roglič. Da quel giorno comincia l’era Pogačar.

Un palmarès che cresce a ritmi impressionanti

Oggi, all’età di 26 anni, Tadej ha già un palmarès da leggenda:

  • 3 Tour de France (2020, 2021, 2024)
  • 1 Giro d’Italia (2024)
  • 1 Campionato mondiale in linea (2024)
  • 4 Giri di Lombardia (2021, 2022, 2023, 2024)
  • 3 Liegi-Bastogne-Liegi (2021, 2024, 2025)
  • 3 Strade Bianche (2022, 2024, 2025)
  • 2 Giri delle Fiandre (2023, 2025)
  • 2 Freccia Vallone (2023, 2025)
  • 1 Amstel Gold Race (2023)
  • 1 Parigi-Nizza (2023)
  • 3 UAE Tour (2021, 2022, 2025)
  • 2 Tirreno-Adriatico (2021, 2022)
  • 2 Giri di Slovenia (2021, 2022)
  • 1 Giro del Delfinato (2025)

Ogni anno lo sloveno arricchisce il suo curriculum con vittorie distribuite lungo l’intero calendario ciclistico, da febbraio fino a ottobre. E questo non è affatto banale. Abbiamo conosciuto campioni del passato che si nascondevano per mesi, dedicandosi esclusivamente alla preparazione del loro unico grande obiettivo stagionale. Una corsa, magari due. Tutto era pianificato attorno a quei pochi picchi di forma, raggiunti con precisione. Con Pogačar, anche questo schema tradizionale si frantuma. Ogni gara può essere il suo palcoscenico.

Prendiamo il 2024. Debutta nella stagione il 2 marzo e, con una cavalcata solitaria di 80 chilometri sugli sterrati della Toscana, domina le Strade Bianche. Si prende la sua seconda Liegi-Bastogne-Liegi ad aprile. Realizza l’accoppiata Giro-Tour, impresa riuscita solo ad altri sette nella storia — nomi leggendari come Merckx, Hinault, Coppi, Anquetil, Indurain, Roche e Pantani. Colleziona 6 vittorie di tappa nella corsa rosa e altre 6 nella Grand Boucle, monopolizzando con le sue gesta i racconti sulle due corse a tappe.

Il 29 settembre a Zurigo si aggiudica anche il Campionato del Mondo, vincendo la prova in linea con una serie di attacchi cominciati a 100 chilometri dal traguardo. Pochi giorni dopo, il 12 ottobre, vestendo la maglia iridata, chiude la stagione con un’altra fuga solitaria: 48 chilometri davanti a tutti per trionfare, ancora una volta, al Giro di Lombardia. In totale per lui 25 vittorie in sole 58 giornate di gara.

E se il 2024 sembrava un anno irripetibile, questo 2025 si è aperto con una primavera altrettanto spettacolare, alla quale lo sloveno si era preparato appositamente. Classifica finale nello UAE Tour, poi Strade Bianche, Giro delle Fiandre, Freccia Vallone, Liegi-Bastogne-Liegi. Prese, una di fila all’altra. Senza pietà. A conti fatti, sul tabellone delle classiche monumento di Tadej c’è rimasto ancora solo uno “zero”, la corsa che non riesce a vincere. E questo fatto sta diventando un caso: il caso Milano-Sanremo.

Tadej Pogacar
Giro d’Italia, 20a tappa, 25 maggio 2024 – Monte Grappa (Alessandro Menegon)

Ma a parte la Classicissima, che lui stesso considera la sua maledizione, con Pogačar non esistono sul calendario “appuntamenti cerchiati in rosso”: ogni corsa diventa un’occasione per lasciare il segno. In barba a un ciclismo che tende alla specializzazione esasperata, lui è polivalente. Vince a cronometro, sugli strappi delle Classiche del Nord, sui muri del Belgio, sugli sterrati, sulle salite alpine e nelle volate ristette. È il più vicino a quello che una volta si chiamava “corridore totale”.

UAE Team Emirates-XRG: la macchina perfetta al servizio di Pogačar

Ma per un fuoriclasse così, quanto conta la squadra? Non sembrerebbe, ma conta tanto. La UAE Team Emirates-XRG è oggi una delle squadre dominanti del World Tour. Diretta da Matxin Fernández, Mauro Gianetti e Andrea Agostini, annovera tra lo staff tecnico personalità del ciclismo come Fabio Baldato, Fabrizio Guidi e lo sloveno Andrej Hauptman e, tra i consiglieri, lo storico Beppe Saronni. Tutti lavorano con meticolosità assoluta.

Al centro del progetto, naturalmente, c’è Tadej Pogačar che, sul finire dello scorso anno, ha prolungato il suo contratto fino al 2030 per compensi che si aggirano sugli 8 milioni di euro a stagione. Cifre mai sentite prima nel ciclismo. Attorno a lui viene costruito ogni dettaglio: ritiro, calendario, scelta dei materiali e compagni di squadra.

La crescita impressionante di Tadej nel 2024 potrebbe derivare anche dal suo nuovo preparatore atletico, Javier Sola, che ha introdotto allenamenti ad alta intensità e a intervalli – in cui viene cioè alternata bassa e alta intensità per aumentare la resistenza di base. Più cardio, più sauna e specifici allenamenti contro il tempo. Gran parte dell’anno Tadej si allena in altura, spesso sul Teide a Tenerife o a Sierra Nevada, mete tra le più battute dalle squadre di alto livello. In primavera sceglie spesso la Costa Blanca, in Spagna, oppure le strade nei dintorni di Montecarlo, dove risiede, per affinare la condizione con lunghe uscite su strade tecniche e climi miti.

Se ti interessa il ciclismo, leggi anche: Giro d’Italia 2025: un racconto da Tirana

In ogni gara la squadra viene modellata in funzione del capitano, per proteggerlo da ogni rischio sempre nella parte alta del gruppo e poi, eventualmente, fare la corsa dura nei momenti chiave, prima dei suoi attacchi. Viene data sempre dimostrazione di grande compattezza, soprattutto nella gestione delle grandi corse a tappe, grazie a corridori esperti come ad esempio Rafał Majka, Adam Yates, João Almeida, Tim Wellens, Marc Soler. Pogačar è il primo a riconoscere che, senza di loro, nessuna delle sue vittorie sarebbe stata possibile. I compagni, dal canto loro, lo descrivono come un leader umile, sempre sorridente e come un gran motivatore.

L’altra grande formazione del World Tour, con la quale allo scattare dei grandi giri vengono spesso fatti confronti soppesando le forze in campo, è la Visma – Lease a bike, capitanata dal maggiore rivale di Pogačar, il danese Jonas Vingegaard. Da quest’anno però nella UAE si è concretizzato anche un problema in casa, quello della gestione interna di più leader.

Infatti, si sono affacciati alla ribalta con prepotenza altri due giovani, Juan Ayuso e Isaac Del Toro, 22 e 21 anni, i quali, approfittando dell’assenza del Cannibale, all’ultimo Giro d’Italia si sono già presi a sberle tra loro per cercare di emergere. Soprattutto il messicano Del Toro, vera rivelazione, ha sovvertito gli ordini iniziali di scuderia e c’è mancato poco che vincesse il Giro, sfuggitogli di mano solo nell’ultima terribile tappa in salita, sul Colle delle Finestre. I loro contratti scadono rispettivamente nel 2028 e nel 2029. Ma quanto sarà difficile trovare spazio in questa formazione votata al 100% al campione sloveno?

Il campione che uccide le corse

Fatto sta che, dal 28 settembre 2021, Pogačar è ininterrottamente in testa al ranking UCI, la classifica mondiale a punti gestita dall’Unione Ciclistica Internazionale. E tocca qui obbligatoriamente prendere in considerazione l’altra faccia della medaglia.

Se guardiamo al ciclismo di questi anni con gli occhi degli appassionati, essere il corridore più forte al mondo, paradossalmente, potrebbe essere anche il suo limite più grande perché, quando lo sloveno della UAE Team Emirates-XRG si presenta al via di una corsa, spesso si ha la sensazione che il finale sia già scritto. La sua superiorità tecnica e fisica è talmente evidente da appiattire l’agonismo. Soprattutto nelle ultime due stagioni, ha dimostrato di non avere alcun punto debole, non c’è una specialità in cui sia vulnerabile e lascia agli altri solo le briciole.

Quando un corridore è così dominante, il rischio è che ogni corsa diventi prevedibile. Le fughe non partono, gli attacchi si spengono, i rivali rinunciano prima ancora di provarci.  Certo, non è colpa sua. Tadej fa il suo mestiere in modo impeccabile.

Chi può fermare Pogačar?

Tutto l’onere di rendere le competizioni meno scontate è sulle spalle di un manipolo di campioni che nel corso della stagione cercano di tenergli testa: il già citato danese Jonas Vingegaard, due volte vincitore del Tour (2022, 2023), suo avversario diretto nelle corse a tappe, più calcolatore, implacabile in salita, ma meno versatile; Wout van Aert, il belga esplosivo, potentissimo nelle corse di un giorno e nelle cronometro; l’olandese Mathieu van der Poel, dallo spunto fantasioso, fuoriclasse del ciclocross e delle classiche monumento.

Quando i rivali sono in giornata sì e i pianeti si allineano nel modo giusto, se si accende la miccia, nove su dieci sarà spettacolo. Pogačar, Vingegaard, van Aert, van der Poel: i media li hanno ribattezzati “i fantastici quattro”.

Per la verità esiste almeno anche un quinto incomodo, più maturo, dal carattere determinato, vincitore di ben quattro Vuelta a España, un Giro d’Italia e oro a cronometro nei giochi olimpici di Tokyo: lo sloveno Primož Roglič, che milita nello squadrone tedesco della Red Bull – Bora – Hansgrohe.

Slovenia, la piccola grande potenza del ciclismo

Oggi la Slovenia è a tutti gli effetti una superpotenza del ciclismo mondiale. Pogačar, Roglič, Mohorič – quest’ultimo brillante specialista delle classiche – ne sono la prova vivente. Tutti e tre sono emersi da realtà ciclistiche solide e ben organizzate: Pogačar, come detto, dalla Rog di Ljubljana, Roglič dall’Adria Mobil e Mohorič dal KK Kranj.

Il segreto del successo sloveno risiede in un vivaio curato con attenzione, alimentato da investimenti mirati e intelligenti nella formazione giovanile. Un sistema che non lascia nulla al caso e che continua a rinnovarsi. Emblematico è l’impegno di Pogačar stesso, che oggi sostiene economicamente il “Pogi Team Gusto Ljubljana” – nuovo nome della squadra in cui è cresciuto – per offrire opportunità ai giovani talenti del paese. In una nazione di appena 2 milioni di abitanti, il ciclismo è diventato lo sport nazionale e una passione collettiva che unisce e ispira.

Il confronto con l’Italia è impietoso. Noi abbiamo una tradizione enorme, ma viviamo un presente fragile. Manca una rete di squadre giovanili, i vivai sono in difficoltà, gli sponsor non ci credono, non c’è più neanche una squadra italiana nel World Tour e molti talenti nostrani si perdono. E, come abbiamo visto, il ciclismo moderno non aspetta nessuno: o ti fai trovare pronto a 19 anni, o resti indietro.

Oltre le epoche, oltre i paragoni

Ovviamente, i paragoni tra Pogačar e i grandi del passato sono inevitabili, ma anche poco pertinenti. Il ciclismo di oggi non è quello dell’epoca di Coppi e Bartali, è distante anni luce anche da quello di Merckx e Hinault e persino da quello più recente, pure malato, che abbiamo conosciuto negli anni Novanta e primi Duemila. Oggi le corse sono più brevi, le tecnologie avanzatissime, i materiali ultra-leggeri, l’aerodinamica studiata in galleria del vento. Si corre con i misuratori di potenza, con nutrizionisti e biomeccanici al seguito e ogni atleta ha il suo bel passaporto biologico.

Ma in questa cornice quasi robotica, Tadej Pogačar è l’eccezione che ridà senso all’epica sportiva. Anche se applica a pieno questi metodi della modernità, è rimasto antico nello spirito e mantiene un’aura quasi romantica: attacca da lontano, corre per vincere, non per gestire. Non ha paura di perdere e questa è la sua forza.

Lo sloveno non è solo un campione per quello che fa in sella, ma anche per come vive e interpreta il ciclismo. Amatissimo dal pubblico, scatena ovunque un entusiasmo contagioso: i tifosi lo acclamano con affetto chiamandolo semplicemente “Pogi”, o “il ragazzo col ciuffo”, per quella ciocca ribelle che spunta sempre dal casco e che è ormai un suo segno distintivo.

La sua attitudine solare, il sorriso mai forzato e la capacità di divertirsi anche nelle gare più dure lo rendono un’icona genuina e accessibile. Sempre pronto a fermarsi per firmare autografi, regalare borracce o piccoli gadget ai bambini lungo le strade delle corse, Pogačar è un campione che non ha perso il gusto semplice del pedalare. E forse alla fine è proprio questo, oltre alle vittorie, a farlo amare da tutti.

Il 2025 entra nel vivo: obiettivo Tour, Vuelta, Mondiali

Per il 2025 Pogačar ha fatto una scelta chiara: dopo la primavera spumeggiante, niente Giro d’Italia per puntare invece tutto sul Tour. L’obiettivo è ambizioso: centrare il poker in Francia e poi tentare l’accoppiata con la Vuelta. Ma la stagione del fuoriclasse sloveno non finirebbe nemmeno lì. Nel suo mirino c’è anche il Campionato del Mondo di Kigali, in Ruanda, su un percorso durissimo, a 1400 metri sul livello del mare, tecnico, con salite secche e finale di circuito in pavé: il terreno ideale per uno come lui.

Ora si entra nel vivo. Pogačar e Vingegaard, in preparazione del Tour, si sono rincontrati sulle strade del Giro del Delfinato, breve corsa a tappe francese, e hanno dato vita alle prime scaramucce. Un antipasto che è stato indigesto per il danese, finito secondo nella generale alle spalle di un Tadej già scalpitante. L’edizione 112 della Grand Boucle scatterà il 5 luglio da Lille e, dopo un percorso duro, con sei tappe di alta montagna e arrivi in salita storici come Mont Ventoux, Courchevel, La Plagne, Hautacam, una crono di 33 Km, una cronoscalata a Peyragudes,il 27 luglio arriverà a Parigi, sugli Champs-Élysées, ma con un circuito che include l’insolito passaggio sullo strappo di Montmartre.

Tadej è pronto. Gli appassionati di ciclismo sono pronti. Questa estate francese promette scintille.


*Appassionata di Balcani, ciclismo ed età medievale. Giornalista ed esperta di comunicazione, collabora attualmente con la testata Liguriaday dove si occupa di sport, arte e storia romana.

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