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Il Giorno Nazionale della Grande Romania

Dal 1990, il primo dicembre in Romania è indetta una festa nazionale per commemorare la nascita della ‘Grande Romania’ il giorno in cui nel 1918 l’Assemblea di Alba Iulia ha votato all’unanimità l’unione di Transilvania, Crisana e Maramureş al regno rumeno. Dopo i voti sull’unione di Bessarabia e Bucovina, avvenuti rispettivamente il 27 marzo e il 28 novembre dello stesso anno, la Romania di inizio dicembre divenne quella che i rumeni chiamano la ‘Grande Romania’.

La Grande Romania del 1918-1940
La Grande Romania tra il 1918 e il 1940

La Grande Romania ieri e oggi

Un sogno per i nazionalisti rumeni che da decenni volevano creare uno stato che comprendesse tutto il popolo rumeno, la Grande Romania fu una realtà politica fino alla Seconda guerra mondiale, quando l’Unione sovietica riprese possesso della Bessarabia, oggi Repubblica di Moldova, e la Bulgaria della Dobrugia meridionale fino al Danubio, oggi confine naturale tra i due paesi.

La Romania non conoscerà più la stessa espansione territoriale che poteva vantare tra il 1918 e il 1940, e questo sogno di grandezza continua ad essere la linea programmatica di partiti di estrema destra rumena e moldava fin dal 1990; in ultimo, dell’Alleanza per l’Unione dei Rumeni, o semplicemente AUR, che alle elezioni del dicembre 2020 ha ottenuto il 9,17% delle preferenze elettorali.

Ma la predisposizione alla ‘protezione’ di tutto il popolo rumeno continua ancora oggi attraverso il conferimento della cittadinanza rumena a tutti coloro che possono dimostrare di avere parenti che hanno vissuto nella Grande Romania. Il requisito è talmente semplice da ottenere che nel 2021 un quarto di tutti i cittadini della Repubblica di Moldova aveva due passaporti, ma si ritiene che la cifra possa raggiungere presto un terzo del totale.   

Una festa mobile

La festa nazionale rumena non è sempre stata il primo dicembre. Tra il 1866 e il 1947, il regno festeggiava il 10 maggio per commemorare la data in cui il principe Karl di Hohenzollern-Sigmaringen, da quel momento rumenizzato in Carol I, prestò giuramento davanti all’assemblea rappresentativa dei Principati rumeni uniti (di Valacchia e Moldavia) e divenne principe.

È interessante notare come la data simbolica sia stata scelta in maniera da riflettere la scelta del proprio monarca da parte dei politici rumeni. Infatti, non fu preso il 23 febbraio, data in cui nel 1862 il primo principe unico di Valacchia e Moldavia Alexandru Ion Cuza assunse il ruolo concesso dal sultano ottomano.

Tra il 1948 e il 1989, invece, la festa nazionale fu celebrata il 23 agosto, giorno in cui, nel 1944, il governo guidato da Ion Antonescu restituì le armi alla Germania nazista. Questo evento simbolico è considerato l’inizio dell’insurrezione armata antifascista e della rivoluzione popolare in Romania.

Con un voto nel 2015, però, il Parlamento ha votato a favore di re-istituire il 10 maggio festa nazionale perché rappresentativa di tre eventi fondamentali nella storia del paese: il giuramento di Carol I nel 1866; il voto favorevole all’indipendenza dall’Impero Ottomano da parte del Senato rumeno nel 1877; e il voto del Parlamento che ha decretato la transizione da principato a regno rumeno nel 1881.  

Simbolismo e nazione

Come spiegato dagli storici Eric Hobsbawm e Terence Ranger nel loro L’Invenzione della Tradizione, le nazioni si costruiscono su date simboliche come il primo dicembre rumeno. Anche noi italiani, che festeggiamo il 25 aprile e il 2 giugno, capiamo perfettamente queste iniziative. Ma è interessante notare come i governi di varie epoche storiche ‘reinventino’ le date cardine della storia di un paese per dare enfasi a quello che ritengono essere la cifra distintiva della propria storia. Se l’Italia uscita dalla Seconda guerra mondiale ha voluto essere identificata come una repubblica antifascista, i rumeni di oggi si riconoscono più nel regno liberale della Grande Romania che non nella Repubblica Socialista di Nicolae Ceaușescu.

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Gian Marco Moisè
Gian Marco Moisè

Ricercatore e divulgatore scientifico, esperto in relazioni internazionali, scienze politiche e dell'area dello spazio post-sovietico con un dottorato conseguito alla Dublin City University. Oltre all’italiano parla inglese, francese, russo, e da qualche mese studia romeno.