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Il gelo nelle relazioni moldavo-russe e l’ombra della guerra

“Le relazioni moldavo-russe, e, in un contesto in cui le relazioni moldavo-russe… ripeteva Lupu, prima di sospirare. Cos’è questo delirio? Perché i diplomatici non possono utilizzare un linguaggio umano? Ma esiste un linguaggio inumano? Non da un punto di vista ipotetico, voglio dire, ma concreto, e in qualche modo poco empirico…”. A quel punto, il presidente del parlamento, amante delle costruzioni linguistiche magniloquenti, perdeva completamente il filo delle sue riflessioni.

In una critica feroce quanto arguta, lo scrittore moldavo russofono Vladimir Lorčenkov, tradotto in italiano dall’editore Atmosphere Libri, non fa che equiparare i politici comunisti moldavi di allora con i propri elettori ‘paesani’, ma il libro Italia mon amour è tutto tranne che populista: il popolo moldavo, così come la sua classe dirigente, è pieno di difetti e non è certo idealizzato.

Non è un caso che per via dei suoi libri Lorčenkov fu interrogato dal regime comunista di allora e si sentì costretto ad abbandonare il paese. Oggi, la mia memoria della storia politica moldava fa sorridere al paragone del Presidente del Parlamento di allora, Marian Lupu, con il Presidente del Parlamento di oggi, Igor Grosu.

Le relazioni moldavo-russe ieri e oggi

Fatto presente ai lettori che questo libro è uno dei pochi esempi di satira politica che mi è capitato di leggere in Europa dell’Est, fatemi giustificare: non ho alcuna pretesa di mettere a confronto la presidenza quasi dittatoriale di Vladimir Voronin (capo di stato moldavo tra il 2000 e il 2009) e quella di Maia Sandu, ma le analogie sono tante.

Grazie alla legge elettorale, nel 2000 il Partito dei Comunisti della Repubblica Moldova fu eletto primo partito con la maggioranza assoluta in Parlamento. In realtà, la maggioranza fu così ampia da permettere ai comunisti di ottenere i due terzi dei seggi, cifra necessaria per l’elezione indiretta del capo dello stato, che, in quegli anni fu proprio il presidente del partito Voronin.

Voronin era alla guida della forza politica più importante del paese e tutte le istituzioni più importanti dello stato erano insediate da suoi alleati, così come succede oggi con il Partito Azione e Solidarietà di Maia Sandu. Ora, qualsiasi elettore di PAS sottolineerebbe che Sandu è stata scelta dagli elettori, mentre durante la sua presidenza sempre meno democratica Voronin arrivò a vietare le manifestazioni in piazza (misura presa di recente anche dal governo Gavrilița) e a organizzare brogli elettorali in cui anche i morti votavano per i comunisti.

Il paragone qui proposto è, tuttavia, in materia di politica estera. Infatti, sebbene ‘comunista’ e reo di aver ‘flirtato’ con Putin nei primi anni di presidenza, Voronin fu colui che rifiutò il Kozak Memorandum nel 2005. Il Kozak memorandum era la soluzione del conflitto transnistriano proposta dal politico russo Vladimir Kozak che avrebbe seriamente compromesso il funzionamento della Repubblica Moldova in favore di uno strapotere delle regioni autonome di Gagauzia e Transnistria.

Fu chiaro dal principio che il piano era un’elaborata strategia per compromettere l’autonomia moldava e facilitare l’influenza russa in politica interna attraverso le entità regionali i cui vertici dipendono ancora oggi dal Cremlino (per chi non lo sapesse, sono molto ambigui i rapporti tra il governatore regionale della Gagauzia Irina Vlah e i vertici russi a guerra in corso).

Probabilmente più per ragioni egoistiche che patriottiche, Voronin rifiutò il memorandum Kozak, tanto che gli studiosi ricordano la stizza di Putin nel definire l’autocrate moldavo “inaffidabile”. Fatto sta che, dal 2005 in poi, la Moldova intraprese il proprio percorso europeo e sulle relazioni moldavo-russe scese il gelo. Tra i due paesi c’è gelo anche oggi, perché, così come allora, si ha un presidente moldavo forte che esprime una posizione autonoma e non subalterna alle logiche del Cremlino.

Leggi anche: Cade il governo in Moldova: cosa sta succedendo nel paese di Maia Sandu?

Dopo le recenti ‘minacce alla sicurezza’ moldava di cui si è parlato nei giorni scorsi i segnali che arrivano sono piuttosto chiari. Il governo di Dorin Recean, da poco appuntato premier, farà in modo di preparare la popolazione a una possibile invasione russa o, come sembra più probabile, a una minaccia ibrida che giunga dall’altra riva del Dnestr o dai governi filo-putiniani (si legga Serbia e Ungheria).

Fatto salvo che Dorin Recean non è Natalia Gavrilița, il nuovo esecutivo moldavo formatosi in fretta e furia all’indomani delle dimissioni della premier non è tanto diverso dal suo predecessore. Ci sono stati, tuttavia, cambiamenti importanti: il ministero della Difesa è oggi guidato da Anatolie Nosatîi, militare di carriera, ma a cambiare sono stati anche il ministro delle Finanze Veronica Sirețeanu e quello delle Infrastrutture Lilia Dabija.

È nato, inoltre, il ministero dell’Energia, guidato da Victor Parlicov, per far fronte all’emergenza energetica nata in seguito al danneggiamento delle infrastrutture energetiche ucraine. Restano, però, alcuni punti saldi del governo Gavrilița: Dumitru Alaiba è divenuto vice-premier oltre che ministro dello Sviluppo Economico e Informatico, mentre Nicu Popescu è stato confermato ministro degli Esteri. Come già discusso da altre fonti, il governo Recean cercherà di dare un assetto più sicuro al paese a fronte del deterioramento delle relazioni moldavo-russe.

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Arco di trionfo e palazzo del governo a Chișinău (Meridiano13/Gian Marco Moisé)

Fine della neutralità moldava?

Nelle scorse settimane, la presidente moldava Maia Sandu è stata in televisione per dire che, forse, la Repubblica di Moldova dovrebbe riconsiderare la sua posizione di neutralità, al momento prevista dalla Costituzione. Non a caso, a differenza dell’Ucraina, la Moldova non ha mai manifestato interesse per la Nato o una qualsivoglia alleanza di difesa militare.

Nei circoli diplomatici si è spesso ragionato su quanto la neutralità di un paese possa garantire l’inviolabilità territoriale: d’altronde il Belgio era neutrale prima dell’invasione tedesca avvenuta durante la Seconda guerra mondiale e la Federazione Russa, al pari della Germania nazista, nell’ultimo anno ha dimostrato di non avere alcun interesse a rispettare i confini territoriali dei paesi limitrofi.

Questo messaggio il capo dello Stato moldavo l’ha voluto mandare alla propria popolazione, avvertendo rispetto al fatto che nei prossimi mesi il governo potrà cercare di cambiare alcune norme considerate restrittive dal punto di vista difensivo. Un’altra cosa che ci si può aspettare è che l’amministrazione pro-europea possa richiamare il personale che abbia fatto servizio di leva in epoca sovietica, i partecipanti alla guerra del Dnestr del 1992 e addestrare le forze di polizia. D’altronde il budget per la spesa militare, ancora molto basso (circa lo 0,55% del PIL del paese), previsto per il 2023 ha avuto un’impennata dell’85% rispetto al 2022.

Un altro messaggio Sandu lo sta mandando ai vertici del Cremlino con le sue recenti visite negli Stati Uniti e in Romania: se attaccherete ci troverete pronti. Tuttavia, quello che ci si può aspettare in Moldova non è molto diverso da quello avvenuto in Ucraina: per quanto sia stretto il rapporto tra vicini, non ci si può aspettare che il presidente rumeno Klaus Iohannis possa fare più di ciò che il premier polacco Mateusz Morawiecki ha fatto per l’Ucraina. In quanto paese Nato, anche la Romania sarebbe difficile da coinvolgere in un conflitto aperto, posto che ondate di volontari unionisti farebbero di tutto per aiutare i ‘fratelli’ in difficoltà.

L’anno scorso ci si chiedeva se la Moldova sarebbe stata in grado di affrontare la Transnistria in un conflitto aperto: i numeri danno ragione alla piccola Repubblica post-sovietica, si tratta infatti di 6.500 attivi nell’esercito moldavo contro i 2mila soldati “pacificatori” di stanza nel territorio transnistriano, ma gli equilibri cambierebbero drasticamente nel caso in cui la Russia decidesse di entrare apertamente in guerra con la Moldova. Perché, come dimostrato nelle scorse settimane, il Cremlino è perfettamente in grado di colpire il paese dalle posizioni che già occupa. Non resta che sperare che i segnali restino solo segnali e che il gelo nelle relazioni moldavo-russe non sia causato dall’ombra della guerra.

Foto di Gian Marco Moisé

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Gian Marco Moisè
Gian Marco Moisè

Ricercatore e divulgatore scientifico, esperto in relazioni internazionali, scienze politiche e dell'area dello spazio post-sovietico con un dottorato conseguito alla Dublin City University. Oltre all’italiano parla inglese, francese, russo, e da qualche mese studia romeno.