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Destinazione Croazia. Alla scoperta degli stati scomparsi

di Giovanni Vale *

A fine luglio, il ponte di Pelješac (Sabbioncello) sarà aperto al traffico. Quando Meridiano 13 mi ha chiesto di proporre ai suoi lettori un itinerario di viaggio per visitare la Croazia quest’estate, non ho potuto fare a meno di pensare a questa grande e controversa novità che ci aspetta sulla costa dalmata. Non si tratta certo di un must-see che vi consiglio di visitare a Ferragosto, ma rappresenta un simbolo, che mi aiuta a spiegare perché il vostro viaggio in Croazia, quest’estate, dovrebbe seguire i confini di uno stato scomparso. 

Il ponte di Pelješac è innanzitutto un’infrastruttura mastodontica che non potrete non notare scendendo tra Spalato e Dubrovnik (misura 2,4 km ed è alto 55 metri). La sua costruzione, finanziata dall’Unione europea e realizzata da una ditta cinese, ha fatto parecchio discutere nella regione e ha a lungo contrapposto Croazia e Bosnia ed Erzegovina. Perché la Bosnia? Perché lo scopo del ponte è quello di unificare il territorio croato, collegando via terra la Dalmazia croata alla regione di Dubrovnik, separata oggi da un piccolo tratto di territorio bosniaco.

Gli stati scomparsi

E qui arriviamo allo stato scomparso che vi consiglio di visitare. Perché la Bosnia ed Erzegovina ha un solo accesso al mare? E perché quel suo unico porto si trova nel mezzo della costa croata? La risposta va cercata qualche secolo addietro, all’interno delle relazioni tra due stati del passato: la Serenissima repubblica di Venezia e la Repubblica di Ragusa (oggi Dubrovnik). Non vi racconto tutta la storia, perché altrimenti Meridiano 13 mi dirà di essere andato fuori tema, e rimando i più curiosi a questo articolo, iniziando invece a descrivervi il mio itinerario di viaggio.

Incuriosito da storie intricate come quella del ponte di Pelješac, nel 2020 ho lanciato un progetto editoriale: Extinguished Countries, una serie di guide di viaggio dedicate a stati che non esistono più. L’estate scorsa è uscito il primo libro della serie, sulla Repubblica di Venezia, che in Croazia ha lasciato una grande eredità. Quella che segue è una selezione di estratti del libro, che da nord a sud vi guideranno lungo un viaggio nel tempo e nello spazio, alla scoperta di ciò che resta della Serenissima in Croazia. 

Una premessa: non c’è nostalgia né irredentismo in questo viaggio. Al contrario, partiamo con la voglia di conoscere i diversi punti di vista su quello che è, di fatto, un passato comune. Cosa pensano i croati della Serenissima? Che se ne fanno delle fortezze rimaste a guardia di porti e confini? Quali tradizioni sono sopravvissute e quali parole raccontano quel passato nei dialetti del presente? E, come in ogni viaggio che si rispetti, c’è spazio anche per un momento gastronomico.

Come avrete intuito, questo è in realtà un viaggio nel cantiere dell’identità. 

La costa dell’Istria

Umago (Umag), Parenzo (Porec), Rovigno (Rovinj)… Chi ha avuto l’occasione di visitare queste cittadine ha sicuramente notato le casette colorate in riva al mare, le finestre gotiche, i balconi rinascimentali, le piazze, le fontane, i leoni alati… questi gioielli dell’Istria occidentale sono spesso chiamati «piccole Venezie» e non a caso. Il litorale più a ovest di tutta la Croazia condivide con la Serenissima una storia lunga oltre cinque secoli, che s’interrompe soltanto con la fine della Repubblica, nel 1797.

Oggi di quei lunghi secoli veneziani rimane moltissimo sulla costa istriana. Passata la Punta Salvore, con il faro più antico dell’Adriatico (ma ottocentesco), troverete ad Umago, sulla sua bella piazza rettangolare, il duomo con il campanile e la cisterna seicentesca. Oltre Carigador – il cui nome proviene da carigar, perché qui si caricavano i tronchi di quercia alla volta di Venezia – vale la pena di fermarsi anche a Cittanova (Novigrad) per ammirare il palazzo dei conti Rigo, che dà un’idea della ricchezza di alcune famiglie nobili istriane. Fate anche due passi lungo le mura cittadine, che rasentano il mare.

Il fiore all’occhiello di Parenzo è sicuramente la Basilica Eufrasiana del VI secolo (patrimonio Unesco), ma anche la Serenissima ha lasciato una grande eredità. Il palazzo Zuccato, all’incrocio tra Cardo e Decumano romani, è un buon punto di partenza. Ci sono poi i palazzi Parisi-Gonan e Sinčić, oggi sede del Museo del territorio; nella cosiddetta «casa romanica» trovate invece la collezione etnografica. Tuttavia, se preferite le attività all’aria aperta, sappiate che a Parenzo si svolge ogni anno una gara di nuoto in mare aperta a tutti: è il Porečki delfin, a inizio settembre.

Rovigno, probabilmente la città più bella di tutta l’Istria, era fino al 1763 un’isola. Potete provare ad immaginare quel periodo salendo sul campanile della chiesa di Sant’Eufemia, costruito su modello di quello di San Marco e, scendendo in città, cercate Trg na mostu, la piazza al ponte: proprio qui passava il canale che separava Rovigno dalla terraferma. Nei dintorni troverete il palazzo comunale (XVI secolo), tuttora sede del comune, e il museo civico. Incastrato tra le case c’è invece l’arco dei Balbi, un tempo principale porta di accesso alla città, e, di fronte, l’ottocentesca torre dell’orologio. Su entrambi campeggia un leone alato.

L’Istria veneta non è però solo architettura. Anzi, la bellezza di questa regione, quando si parla di lasciti veneziani, sta nel fatto che quest’eredità è sopravvissuta anche nella quotidianità. In questa regione bilingue, dove vive una minoranza italiana, sentirete infatti parlare l’istroveneto (che ha anche un festival dedicato, a inizio giugno a Buie) e il čakavski, un dialetto croato ricco di parole di origine veneta. Gli esempi sono infiniti: il bićerin (bicchierino) è la čašica croata, il marangun (falegname) sostituisce lo stolar, l’intimela (federa) la jastučnica… fino ad arrivare al dialetto di Rovigno, che fa storia a sé.

Dal punto di vista gastronomico, poi, le tante konobe (trattorie) e oštarije (osterie) non vi deluderanno: Srdele u savuru, pašta fažol, pašticada, scampi alla buzara e brudet sono tra le specialità più popolari, assieme alla pasta artigianale (fuži e pljukanci) e alle tante maneštre (ovvero le zuppe). Sulla costa la fa da padrone il pesce, con pedoci (cozze) e canoce (canocchie), ma non scordatevi di provare il rinomato prosciutto crudo istriano.

L’entroterra dell’Istria

L’entroterra dell’Istria veneta è una regione tormentata nel Medioevo, quando gli unici centri urbani si trovano sulla costa. Oggi è invece un gioiellino del turismo e della gastronomia, e figura tra le aree più prospere del paese. È la cosiddetta «Istria verde», fatta di tanti agroturizam e prodotti di eccellenza, come i tartufi, gli asparagi selvatici (c’è un festival dedicato a Castelvenere, la Sparisada o Šparogada, ogni anno ad aprile), l’olio d’oliva e il vino (ma anche la carne, con il prosciutto crudo e il celebre bovino boškarin), e di eventi ormai rodati come il festival del cinema di Montona (Motovun).

Questa zona è costellata da borghi, boschi e castelli, ma anche da città fantasma. Quattrocento anni fa, nella prima metà del Seicento, Duecastelli (Dvigrad) è gradualmente abbandonata, colpita dalla malaria, dalla peste e dalle guerre. Oggi è visitabile gratuitamente, se si è abbastanza coraggiosi da avventurarsi tra le sue rovine. L’ingresso in città è segnato da un grande arco in pietra. Alle sue spalle la strada continua in salita, fiancheggiando un muro che fa da sponda alle case e alla vegetazione che ormai straripa sotto ai tetti sfondati. In lontananza si intravede la chiesa, alta su una collina, la navata aperta al cielo e, dentro, i resti di quello che un tempo era il punto di riferimento del villaggio. 

A sud, non lontano dall’enclave ortodossa di Peroj, si trova il bellissimo borgo di Valle, con il poderoso castello-palazzo Soardo-Bembo (XV secolo), tra i monumenti più belli di tutta la Croazia. Dall’ultimo piano c’è una vista imperdibile sulla costa che va da Pola a Rovigno. Sedetevi poi al piccolo jazz bar e ristorante Kamene priče per pianificare il vostro itinerario. Le pietre (kamen) sono un filo rosso che unisce tutta l’Istria e qui potrete degustare anche un primo bicchiere di Malvasia, uno dei vini più noti dell’Istria. 

Risalendo verso nord, oltre Canfanaro (Kanfanar) e Duecastelli, vi aspetta un susseguirsi di borghi arroccati sulle colline. Montona, un villaggio pittoresco in pietra che sovrasta la vallata, è probabilmente il più celebre, anche grazie al festival del cinema che si tiene ogni anno tra luglio e agosto. Situata su un promontorio vicino al fiume Quieto, questa cittadina presenta una delle cinte murarie meglio conservate di tutta l’Istria. Le fortificazioni risalgono al Medioevo ma furono ampliate a più riprese dai veneziani (e sono oggi percorribili). 

Le isole croate

Più di 1.200 isole e isolotti sono disseminati lungo la costa della Croazia. Si passa da quelli più settentrionali, situati nel golfo del Quarnero, a quelli più meridionali, al largo di Spalato e Ragusa. Una cinquantina sono abitati tutto l’anno, ma si animano soprattutto d’estate, quando da queste parti arrivano milioni di turisti. Il modo migliore per visitarle? Naturalmente  in barca a vela! Dimenticate dunque le strade e seguite le rotte marittime alla scoperta della Dalmazia.

In generale, le isole rappresentano un universo a parte in Croazia. Cambiano non solo la mentalità (chiedete in giro cosa significano pomalo e fjaka), ma anche le problematiche del quotidiano: dal rifornimento d’acqua potabile ai collegamenti con la terraferma. Piccole o grandi che siano, tutte le isole abitate hanno una loro identità, con tanto di campanilismi locali. D’estate le fešte (sagre) danno uno spaccato della vita isolana, ma un soggiorno d’inverno vi farà guadagnare il rispetto degli abitanti. Se volete tentare l’esperienza, considerate che le isole meridionali sono le più soleggiate.

Curzola (Korčula), ad esempio, segna non solo l’ingresso in Adriatico per chi arriva da Corfù o dall’Albania veneta, ma è anche al confine con la Repubblica di Ragusa, i cui territori iniziano con la penisola di Sabbioncello. Nel corso dei secoli Venezia incentiva qui la viticoltura, tanto che nel 1525, cent’anni dopo il suo ingresso nella Serenissima (1420), due terzi dell’isola erano ricoperti da vigneti (una situazione simile, anche se su scala minore, si realizza sull’isola di Lesina, altra grande produttrice di vino). Dall’isola di Curzola arrivano anche mandorle, fichi e pece per l’Arsenale.

Lasciata Curzola, potete visitare Lesina (Hvar), Brazza (Brač) e Solta (Šolta) lasciandovi guidare da Petar Hektorović. Il poeta croato pubblicò nel 1568, a Venezia, il suo celebre La pesca e i discorsi dei pescatori, un diario di viaggio in versi che costituisce uno dei primi testi di letteratura laica in croato. A Cittavecchia di Lesina rimane il palazzo Hektorović con delle iscrizioni in latino, italiano e croato scolpite dal poeta. Sulla stessa isola, ma nella città di Lesina, va inoltre visitato l’arsenale del 1612, che contiene al suo interno uno dei teatri più antichi d’Europa, da poco ristrutturato (al suo ingresso c’è la polena della nave di Lesina che guerreggiò a Lepanto).

In Dalmazia

Essendo stato una linea di confine per molti secoli, il litorale croato è costellato di fortezze e opere difensive. Le più impressionanti sono a Sebenico (Šibenik), ma se ne trovano lungo tutta la costa e l’entroterra. Tra i centri culturali che meritano una visita c’è il museo di Zaravecchia, che racconta la storia di una nave mercantile veneziana affondata nel 1583 al largo dell’isolotto di Gnalić e rinvenuta nel 1967. Per quanto riguarda gli eventi culturali contemporanei, ci piace menzionare il Festival del cinema mediterraneo di Spalato, da cui è nato Kino Mediteran, un progetto per rianimare i piccoli cinema delle isole.

Basta guardare una foto della fortezza di San Nicolò, un triangolo di pietra chiara in mezzo al blu del mare Adriatico, per sgranare gli occhi e desiderare di visitare Sebenico. Eppure, questa cittadina dal recente passato industriale è rimasta per molto tempo al di fuori dei grandi circuiti turistici in Croazia. Un miracolo – diremmo oggi – perché la città slava per eccellenza della Dalmazia può ora imboccare la strada di un turismo ragionato, in cui il patrimonio culturale gioca un ruolo di primo piano (a cominciare dalle fortezze). All’interno di una vecchia cisterna veneziana, a pochi passi dal lungomare di Sebenico, si trova un centro culturale sorprendente, il café Azimut. L’idea di Hrvoje Jelković, il responsabile del locale, è che la cultura possa essere oggi la linfa vitale di Sebenico, così come lo è stata l’acqua nel Rinascimento.

Gastronomia dalmata

Jelena Ivanišević è l’autrice del Dizionario storico della gastronomia croata e ricercatrice all’Istituto di Etnologia e Folklore di Zagabria. Le abbiamo chiesto di guidarci alla scoperta della gastronomia della Dalmazia, tra influenze veneziane, ottomane e particolarità locali.

«Comincerei dai dolci, che in Dalmazia raccontano bene l’epoca senza frigoriferi. Si tratta di dolci secchi, a base di mandorle, miele, cannella, chiodi di garofano… I pandoleti (o cantuccini) sono l’esempio più noto, ma ci sono anche i rafioli e i klašuni, col ripieno aromatizzato all’arancia e al limone, la torta makarana di Macarsca e gli cviti di Lissa. Infine, i biscotti paprenjaci e medenjaci, che si trovano però anche nell’entroterra. La pasticceria Cukarin a Curzola è un buon punto di partenza. Passando al salato, ritroviamo molti dei piatti già menzionati in Istria, dalla pašticada con palenta alla pašta fažol. Le sardine sotto sale (slane srdele) sono una specialità di Lissa e Lesina, tant’è che si dice che la cattedrale di Lesina sia stata costruita con i soldi delle sardine. Il dolče-garbo si trova invece un po’ ovunque in Dalmazia e ricorda il fegato alla veneziana», afferma Ivanišević.

Tra le specialità locali la peka è assolutamente da non perdere: una campana coperta di braci sotto cui si cuoce il polipo, il vitello o l’agnello. L’agnello è poi l’ingrediente usato a Brazza per preparare il vitalac (uno spiedino di interiora) e rappresenta anche una sorta di ponte gastronomico con l’entroterra balcanico, dove l’allevamento era l’attività più importante ai tempi della Serenissima. Durante la guerra di Candia (1645–1669), infatti, molti rifugiati dalla Bosnia furono accolti sulle isole, portando con sé nuove ricette. Infine, la vicinanza della frontiera è testimoniata anche dalle tante influenze ottomane. Non solo gli harambašici di Signo/Sinj (delle piccole sarme) o il soparnik di Almissa (una pita con bietola), ma soprattutto la džezva, in cui si prepara il caffè anche nelle case dalmate.

Per partire alla scoperta della cucina della Dalmazia e delle isole, Jelena Ivanišević suggerisce di cominciare dai mercati ortofrutticoli e da una visita al Museo della pesca di Vrboska (Lesina) o al piccolo Museo dell’olio a Škrip (Brazza).

* Giovanni Vale è nato nel 1987 a Gemona del Friuli (Udine). Ha studiato Scienze Internazionali e Diplomatiche a Gorizia e a Parigi, prima di cominciare a lavorare come giornalista presso le redazioni francesi di Euradio e Toute l’Europe. Dal 2014 si occupa di Balcani, scrivendo come corrispondente da Zagabria per Il Piccolo, OBC Transeuropa e altre testate italiane ed internazionali. Negli ultimi anni ha contribuito alla realizzazione di diverse guide turistiche sulla regione per gli editori Gallimard, Touring Club Italiano e Petit Futé. È l’ideatore del progetto Extinguished Countries (Stati scomparsi) e l’autore della guida sulla Repubblica di Venezia.

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