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“Balkan Football Club”, un viaggio per tutti i gusti

Gli appassionati di calcio, anche quando senza un elevato livello di istruzione, dimostrano spesso di avere delle ottime conoscenze geografiche. Anche senza guardare una mappa, saprebbero indicare con una discreta precisione alcune città sconosciute ai più. Magari perché la propria squadra del cuore ha incontrato in qualche match europeo una compagine di una piccola città sperduta ai margini d’Europa o perché interessati a ripercorrere la storia personale dei loro beniamini.

In tal senso, il nuovo libro di Gianni Galleri, intitolato Balkan Football Club, viaggio rocambolesco alla ricerca di utopie e rigori sbagliati, edito da Bottega Errante Edizioni, si dimostra un ottimo strumento didattico per imparare a conoscere la geografia di quella composita area che sono i Balcani. Ma non solo.

Balkan Football Club: molto più di un resoconto di viaggi

Copertina di Balkan Football Club, viaggio rocambolesco alla ricerca di utopie e rigori sbagliati (Bottega Errante Edizioni, 2024)

Il libro è il risultato di dieci anni di viaggi lungo la penisola balcanica, terza fatica della trilogia iniziata con Curva Est (Urbone Publishing, 2018) e continuata con Questo è il mio posto (Urbone Publishing, 2020). A differenza delle altre due opere, che seguivano una qualche continuità geografica, Balkan Football Club capovolge completamente l’idea di viaggio lineare, di cui si conosce già il punto di partenza e quello di arrivo.

Capita così di iniziare l’avventura dalla Romania e, dopo un passaggio in Bulgaria e Macedonia del Nord, di ritrovarsi senza soluzione di continuità in Slovenia, il paese più settentrionale e mitteleuropeo dei Balcani. Una scelta che non spiazza il lettore ma che lo trasporta, come una sorta di navicella spaziale, tra le similitudini e le differenze di una regione troppo spesso presentata come monolitica.

Ma Balkan Football Club non è un contemporaneo Grand Tour in cui un ricco esploratore europeo va alla ricerca dell’esotico, magari per rintracciare elementi di una modernità ormai superata. Con la sua penna, sempre comprensibile e mai elitaria, l’autore agisce da osservatore partecipante cercando di liberare il proprio pensiero da pregiudizi e preconcetti per immergersi totalmente nel contesto in cui si trova, ascoltando, questo forse l’elemento più significativo, la voce diretta dei tifosi-abitanti-cittadini.

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Al di là di quei gradoni

Sfogliando le pagine del libro, ci si rende infatti subito conto che il calcio per l’autore è solo un pretesto per raccontare molto di più. Non solo la storia di squadre dal passato tutt’altro che glorioso ma il rapporto che lega i tifosi alla propria città, alla propria nazione, alla propria Storia.

Perché quando si parla di club come lo Shkendija, squadra della comunità albanese di Tetovo, e del suo gruppo ultras Balli Kombëtar (“Fronte Nazionale”) è impossibile non fare riferimento a temi complessi come il rapporto tra macedoni e albanesi, prima e dopo l’esperienza jugoslava. Così come non si può far finta che l’esistenza di due squadre con la stessa denominazione come l’FK Trepča e il KF Trepça (Kosovo) non nasconda battaglie ben più grandi di quelle che si giocano sul rettangolo verde.

Attraverso il calcio quindi, Balkan Football Club ci accompagna tra le pagine di una Storia fatta di duri contrasti e scambi di maglia, di odi campanilistici e identità multiple. Di simbolismi guerrafondai e storie di fratellanza e unità, per riprendere il motto della Jugoslavia socialista.

Stadio del Fudbalski klub Sloboda Tuzla (Gianni Galleri)

Tra memoria e decadenza

E così l’incontro tra l’autore-viaggiatore e i suoi interlocutori si trasforma in una sorta di gradinata immaginaria, in cui memoria e senso di appartenenza danno vita ad una danza dal ritmo frenetico, fatta di avvicinamenti e repentini allontanamenti, riscoperte e rifiuti.

Non è un caso che in questo ballo vorticoso sia possibile rintracciare un filo conduttore rappresentato dalla passione dell’autore per gli spomenik. Gli spomenik sono monumenti, a volte di piccole dimensioni, il più delle volte enormi, eretti durante la Jugoslavia socialista per celebrare la lotta di liberazione dai nazi-fascisti e i loro collaboratori e l’unità dei popoli jugoslavi anche dopo il conflitto. Spesso abbandonati a sé stessi, gli spomenik giocano ancora oggi un ruolo centrale nell’identità dei popoli, tra chi li vede come vuoti sacrari di un periodo che si vuole dimenticare perché portatore di un’idea di superamento delle differenze etno-nazionali e chi invece li vede ancora come l’ultimo simbolo di un passato glorioso, o quanto meno rispettabile.

Nel libro, le visite agli spomenik disseminati in tutto lo spazio post-jugoslavo sono altrettanto frequenti come quelle agli stadi o ai luoghi di culto. E proprio come con gli spomenik, anche con gli stadi l’autore-viaggiatore si ritrova spesso davanti a strutture fatiscenti, lontane dai fasti del passato e incapaci di trasmettere anche solo idealmente la passione, la gioia e la condivisione di cui sono stati spesso teatro.

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Tra lotta di classe e solidarietà interetnica

Gli stadi del periodo socialista, esattamente come accade oggi, erano lo specchio della società. E se la lotta di classe era tra le questioni centrali del sistema jugoslavo, il calcio non faceva eccezione. Il caso più emblematico è forse rappresentato dalla rivalità, poco sportiva e tutta politica, tra il Radnički (letteralmente “lavoratori”) e lo Sport Klub Šumadija di Kragujevac:

“con i colleghi [il Radnički], fondati nel 1903, c’è sempre stata una rivalità di classe. Lavoratori contro classi agiate, dopolavoro aziendale contro studenti che praticavano lo sport nelle ore di educazione fisica”

Le guerre jugoslave degli anni Novanta, però, resero ormai anacronistica la lotta di classe e ricacciarono l’Europa nell’incubo dell’etno-nazionalismo. Popoli che avevano convissuto pacificamente per quarant’anni, dando vita ad uno degli esperimenti più riusciti del dopoguerra europeo, presero le armi in una guerra fratricida capace di provocare centinaia di migliaia di vittime e milioni di profughi.

Nonostante la politica continui a soffiare sul fuoco del nazionalismo e dell’odio tra i popoli, esistono ancora oggi alcune squadre e gruppi ultras che hanno fatto della solidarietà interetnica la loro bandiera. Come il caso dei Marinci o Blue Marins, tifosi dello Spartak Subotica (Serbia), che annoverano tra le loro fila “serbi e ungheresi”. O i nostalgici del Velež di Mostar (Bosnia ed Erzegovina) il cui nome, Red Army, mostra chiaramente l’appartenenza politica del gruppo. In una città letteralmente divisa in due tra croati e bosgnacchi e teatro di tragici eventi non è affatto poco.

Il gruppo ultras Red Army del Velež Mostar (Red Army Mostar – Old School)

Quando la periferia si fa centro

Tra le pieghe degli incontri ravvicinati con semplici tifosi o appartenenti a gruppi ultras locali, non potevano mancare i racconti di grandi imprese sportive. Di quelle che fanno ancora brillare gli occhi ad anziani tifosi o che alimentano l’orgoglio delle giovani leve e di chi non vuol piegarsi al dominio, in campo e sugli spalti, delle quattro grandi del calcio balcanico (Dinamo Zagabria, Stella Rossa, Partizan e Hajduk Spalato).

Ma si sa, nel calcio spesso intervengono poteri che hanno la forza di stravolgere quanto succede in campo. Lo sanno bene i tifosi del Vardar, squadra di Skopje che negli ultimi anni “se la passa veramente male”. Proprio i rossoneri possono però vantare un primato tutt’altro che invidiabile: aver vinto un campionato jugoslavo sul campo e averlo perso in estate, col torneo finito da un pezzo.

Era la stagione 1986/87 e tutte le grandi squadre jugoslave, che ai tempi giocavano in un unico campionato, erano state penalizzate per una compravendita di partite durante l’anno precedente. Nel Vardar giocava un certo Darko Pančev, meteora interista ma eroe in patria. Alla fine del torneo la squadra macedone si ritrovò al primo posto, vincendo il titolo. Qualche mese dopo però, la giustizia civile annullò la penalizzazione al Partizan che si vide così assegnato lo scudetto. I macedoni giocarono comunque la Coppa dei Campioni 1987/88 ma nell’albo d’oro non c’è traccia della loro vittoria.

Ci sono poi le eroiche gesta internazionali sfumate per un soffio, o per un fischio dell’arbitro. Chiedere ai tifosi del Rijeka che ricordano ancora il furto subito ad opera del Real Madrid ai sedicesimi di Coppa Uefa 1984/85. All’andata i croati si imposero per 3-1 contro la corazzata spagnola, ma al ritorno dovettero subire la remuntada (3-0 al fischio finale) anche a causa di un arbitraggio piuttosto discutibile, con il direttore di gara che mostrò il cartellino rosso per proteste a Damir Desnica, un giocatore… sordomuto.

Anche lo stomaco vuole la sua parte

In un viaggio nei Balcani, tra le cose che non possono mai mancare ci sono le degustazioni delle decine di varianti della rakija e dei piatti locali. Tra questi, i famosi ćevapi, salsicciotti accompagnati da cipolla e ajvar (salsa di peperoni, peperoncini, melanzane e aglio). Per l’autore (e non solo) quelli di Travnik, in Bosnia ed Erzegovina, restano ancora oggi tra i migliori in assoluto. Nella città natale del premio Nobel per la letteratura Ivo Andrić è possibile gustarli a due passi dalla Moschea colorata, a poco distanza dai murales dei Gerila, il gruppo ultras dell’NK Travnik, e del loro simbolo: “un misterioso visir dall’abbigliamento ottomano che minaccia il passante con uno sguardo cattivo”.

Balkan Football Club è quindi un libro per tutti i gusti. Per gli appassionati di calcio non mancano curiosità, ricostruzioni storiche e nomi. I viaggiatori incalliti possono trovare indicazioni dettagliate su percorsi da intraprendere, monumenti da visitare, accortezze da tenere in considerazione quando si visitano paesi di cui si sa poco. Per gli amanti del buon cibo e del bere, alcune dritte sui prodotti locali. Tutto questo è Balkan Football Club, un ottimo strumento per imparare a conoscere il mondo a due passi da casa nostra, oltre l’Adriatico.


Balkan Football Club, Gianni Galleri, Bottega Errante Edizioni, 2024

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Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.