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La repressione in Azerbaigian. Intervista a Cesare Figari Barberis

La repressione delle poche voci indipendenti al regime del presidente Ilham Aliyev prosegue in Azerbaigian. Le ultime settimane hanno visto, tra gli altri, l’arresto dei giornalisti Ahmad Mammadli e Ulviyya Ali e il ricercatore Igbal Abilov ricevere una lunga condanna dopo mesi di detenzione pregiudiziale. Abbiamo parlato di quanto sta avvenendo nel paese con Cesare Figari Barberis, ricercatore all’Institute of Security and Global Affairs presso l’Università di Leida, nei Paesi Bassi.

Cesare Figari Barberis, in un articolo che avevi scritto per ISPI proprio con Ahmad Mammadli (pubblicato il 6 febbraio 2024) parlavate di una doppia ondata di repressione in Azerbaigian. Una nel 2014 e una tra il 2023 e il 2024, in vista delle elezioni presidenziali del 7 febbraio 2024. Concludevate che il regime mirava a reprimere qualsiasi forma di opposizione organizzata. È corretto ritenere che, da allora, la repressione si sia allargata anche ai singoli individui?

È una cosa a cui ho pensato in questi giorni. Nel 2014 c’era una società civile molto più florida e organizzata e hanno attaccato diversi gruppi. Se si concentravano sugli individui, lo facevano con l’intento di colpire tali gruppi. Dall’estate del 2023 hanno iniziato ad attaccare gli ultimi rimanenti media indipendenti, come Toplum TV e Absaz Media, e diversi piccoli gruppi politici meno strutturati.

Adesso stanno attaccando i singoli individui. La cosa un po’ mi ha stupito in considerazione delle persone arrestate. Ahmad Mammadli non apparteneva più da tempo a nessun gruppo politico e comunicava attraverso il suo canale YouTube che raccoglieva solo circa mille visualizzazioni per video. Ulviyya Ali lavorava per Voice of America e anche lei non era affiliata a nessun gruppo politico. Igbal Abilov aveva una piccola rivista online sulla cultura dell’etnia taliscia [la maggiore minoranza in Azerbaigian, nda]. Bahruz Samadov lo conosco personalmente, e anche lui era un ricercatore non coinvolto in alcun gruppo politico.

Quindi inizialmente hanno colpito le entità più organizzate. Una volta eliminate sono passati ai singoli individui.

Adesso quello che ci preoccupa un po’ (uso il plurale perché sono questioni di cui parliamo con amici e conoscenti azeri) è che stanno davvero raschiando il fondo degli ultimissimi attivisti, magari anche relativamente marginali. E ora c’è un panico generalizzato, per cui è difficile trovare gente disposta a parlare della situazione nel paese con media stranieri, anche persone che in passato avevano scritto articoli critici contro il governo. I casi di Samadov e Abilov dimostrano che ormai arrestano anche cittadini azeri risiedenti all’estero quando rientrano in Azerbaigian.

Parlando del caso di Ahmad Mammadli, quali sono le accuse nei suoi confronti e cosa rischia?

L’accusa è quella di accoltellamento. La storia che hanno creato è che lui ha preso un taxi e ha avuto un diverbio verbale con una persona sul taxi (non il tassista) e, a causa del diverbio, ha accoltellato questa persona.

Non è la prima volta che qualcuno viene accusato di accoltellamento. È una tattica che è già stata già utilizzata con il sindacalista Afiaddin Mammadov nel 2023. Tra i movimenti repressi in quell’anno c’erano infatti anche quelli sindacali e Mammadov era coinvolto nel tentativo di sindacalizzare i conducenti di Wolt. Avevano organizzato una piccola manifestazione per migliorarne le condizioni lavorative.

Il processo nei confronti di Mammadov si è concluso lo scorso gennaio con una condanna a otto anni. Quindi è purtroppo lecito attendersi una condanna simile anche per Mammadli.

Io e i miei conoscenti azeri siamo abbastanza pessimisti perché qualche giorno fa l’accusa ha chiesto dodici anni di detenzione per i giornalisti arrestati legati ad Absaz Media. Ad Abilov hanno dato diciotto anni per “tradimento contro lo Stato” e “incitamento all’odio interetnico”. Sono condanne molte lunghe che fanno temere per Bahruz Samadov (rischia almeno dieci anni per “tradimento contro lo Stato”). 

La lunghezza delle condanne è cresciuta nel corso degli anni.

Guardando alla situazione internazionale, pensi che sia corretto dire che l’invasione russa dell’Ucraina abbia messo il regime di Aliyev in una posizione di forza per cui può ignorare completamente (e anche smettere di far finta di considerare) i diritti umani nel paese o ritieni che fosse un processo in ogni caso in corso?

Aliyev è realista e conduce molto abilmente una politica multivettoriale. La guerra in Ucraina ha sicuramente cambiato i suoi calcoli sulla questione del Nagorno-Karabakh. Si è reso conto che la Russia sarebbe stata più impelagata altrove, e avere duemila uomini in Nagorno-Karabakh iniziava a essere scomodo. Inoltre, ha capito che a Vladimir Putin sarebbe servito l’appoggio turco soprattutto per la mediazione con l’Ucraina. Quindi un po’ a detrimento della Russia un po’ con appoggio di Mosca è riuscito via via a portare avanti la questione fino alla piena conquista della regione nel 2023.

La quasi totale assenza di condanne da parte dal mondo occidentale ha avuto effetto sulla repressione interna all’Azerbaigian. Andiamo per tappe.

La guerra del 2020 si è conclusa di fatto senza conseguenze per Baku. Nel 2022 la presidente della Commissione Europea Ursula Von Der Leyen ha visitato Baku per firmare un memorandum d’intesa e aumentare l’importazione di gas dall’Azerbaigian (da 10 a 20 bcm l’anno). Si tratta di un traguardo impossibile senza investimenti aggiuntivi. L’aumento effettivo sarà 1-2 bcm e per me è una strategia poco lungimirante nel breve e nel lungo termine e una legittimazione per Aliyev.

Possiamo dire che la guerra in Ucraina ha aiutato in modo indiretto il presidente azero. L’Unione Europea ha bisogno di gas azero per compensare la mancanza di quello russo e quindi questo ha spinto tutti i paesi membri a chiudere un occhio sulle questioni dei diritti umani in Azerbaigian.

Dopo le elezioni presidenziali del 2024 il presidente del Consiglio Europeo, Charles Michel, si è congratulato con Aliyev legittimando un processo elettorale che tutti sanno che è stato una farsa. Recentemente l’alto rappresentante per la politica Estera Ue, Kaja Kallas, è andata a Baku e leggendo la trascrizione del discorso ha definito l’Azerbaigian un “partner importante” che ha aiutato l’Ue a diversificare l’approvvigionamento di energia.

Kallas ha anche parlato di infrastrutture, logistica e trasporto. Questo è avvenuto anche dopo la visita in Asia Centrale. Una possibilità è che stiano puntando sull’Azerbaigian sia per avere più gas (1-2 bcm) che per collegare l’Asia Centrale in termini di beni e merci, ma anche energia. Anche in questo caso in ottica antirussa. Si tratta però di un piano veramente di lungo termine.

Quindi la reazione occidentale a quanto sta avvenendo in Azerbaigian è quella di nessuna critica e anzi supporto completo da parte di tutte le istituzioni europee con l’esclusione del Parlamento.

L’Italia poi è quella che ha più interesse al gas azero (l’Azerbaigian copre meno del 3% del fabbisogno di gas Ue, e più del 15% di quello italiano) e, dalle mie fonti a Bruxelles, so che tendenzialmente si muove attivamente per fermare le discussioni sui diritti umani in Azerbaigian in seno alle istituzioni europee. Parallelamente i media italiani sono molto poco interessati a coprire la questione dei diritti umani in Azerbaigian.

Avevamo parlato con Bahruz Sammadov immediatamente dopo la fine della guerra del 2023 e ci aveva menzionato la grande popolarità di cui gode Aliyev in virtù della riconquista azera del Nagorno-Karabakh. Pensi che il presidente stia ancora godendo dei frutti della vittoria o iniziano a esserci crepe?

Sono vere entrambe le cose. La popolarità di Aliyev è ancora molto alta perché lui, agli occhi degli azeri, è quello che ha liberato il Karabakh.

Al contempo, ci sono un po’ di criticità, in particolare legate al trattamento dei veterani. Non tutti hanno ricevuto assistenza sufficiente dopo la guerra con, ad esempio, tanti casi di suicidi coperti anche da qualche media locale. Si parla del fatto che i veterani non abbiano ricevuto abbastanza assistenza psicologica ed economica dopo la guerra. Inoltre l’inflazione c’è e si sente in Azerbaigian. La gente si rende conto che i soldi non sono investiti bene in Karabakh. I piani di rilocazione vanno a rilento anche perché spendono magari in infrastrutture grandi come l’università di Stepanakert/Xankəndi e così ad andare in Karabakh sono perlopiù giovani studenti e non i rifugiati interni della guerra degli anni Novanta. Anche queste notizie girano.

Inoltre, molti azeri vorrebbero un trattato di pace e c’è quindi una differenza tra quello che vuole il governo e i desideri della popolazione. La gente era favorevole alla guerra nel 2020. Già nel 2023, in base alle interviste che ho condotto in Azerbaigian tra il 2021 e il 2023, molte persone non vedevano molto bene la prospettiva di un’altra guerra per la parte rimanente del Karabakh. L’idea era che fossero morti abbastanza giovani azeri e non volevano che ne morissero altri per un qualcosa che non consideravano così importante (l’aspetto più importante per gli azeri erano i sette distretti intorno al Nagorno-Karabakh occupati dalle forze armene negli anni Novanta e la città di Shusha).

Per questo la guerra del 2023 non è poi stata così festeggiata, anche se tutto sommato erano contenti. Adesso la gente vuole la pace, anche persone non attiviste di opposizione. In linea di massima ora sono contrari a una guerra per lo Zangezur [la regione più meridionale dell’Armenia che divide l’Azerbaigian dal Nachicevan, la sua exclave occidentale, nda].

Quindi Aliyev è visto come il liberatore del Karabakh che ha restituito l’onore alla nazione, ma al contempo c’è malcontento da parte della popolazione normale soprattutto per inflazione, veterani e ricostruzione. E perché la gente vuole un accordo di pace.

Parliamo del vicinato dell’Azerbaigian. Partirei dall’Armenia. Siamo da mesi in questo limbo per cui da una parte si dice che il testo dell’accordo di pace è pronto, anche se ci vogliono prerequisiti per la firma (tra i quali emendare la costituzione armena), dall’altra ci sono dichiarazioni piuttosto aggressive da parte azera. Qual è l’obbiettivo di Baku?

Secondo me, Aliyev non vuole firmare la pace che aprirebbe una nuova fase post conflittuale della storia dell’Azerbaigian. A quel punto quale sarebbe l’utilità dell’attuale presidente azero? Sarebbe come se avesse finito il suo compito. Fino a quando siamo in questa fase di post conflitto, ma non di pace il suo potere è legittimato.

Quindi secondo me sta cercando qualsiasi scusa possibile per non firmare il trattato di pace. Prima hanno allungato i tempi per definire i testi del trattato e adesso hanno questa richiesta folle sul cambio della costituzione armena. Il nocciolo della questione è che il preambolo del documento costituzionale fa riferimento alla dichiarazione di indipendenza del 1990, e quest’ultima menziona la decisione congiunta del Soviet Armeno e del Consiglio del Karabakh di riunificare il Nagorno-Karabakh con il Soviet Armeno. L’accusa azera, quindi, è che la costituzione armena contenga rivendicazioni territoriali contro l’Azerbaigian.

Penso che Aliyev, una persona intelligente, sia consapevole di quanto sia difficile in quanto un cambio di costituzione richiede l’approvazione tramite referendum popolare. Non è detto quindi che la popolazione armena approvi questo cambiamento.

In base ai sondaggi la popolarità del primo ministro armeno, Nikol Pashinyan, è in diminuzione. Alle recenti elezioni amministrative a Gyumri, la seconda città dell’Armenia, pur avendo vinto, il partito del premier non ha ottenuto una maggioranza assoluta in consiglio municipale in quella che è stata vista come una mezza sconfitta per la forza di governo. Anche se Pashinyan non ha ancora un vero sfidante, col tempo potrebbe emergere.

Quindi secondo me è una scusa per non firmare il trattato di pace, sapendo bene che è una richiesta molto difficile per il governo e piena di incognite. Nello scenario in cui si andasse a un referendum e la popolazione armena rigettasse il cambiamento si avrebbe la scusa perfetta per dire: “L’Armenia non vuole la pace, l’Armenia è piena di revanscismo”.

Questo si allinea perfettamente con i discorsi sui media locali azeri in cui si sentono tantissimi messaggi sul tono che l’Armenia non vuole la pace perché nella costituzione ha rivendicazioni territoriali contro l’Azerbaigian e loro non vogliono cambiare la costituzione. Poi menzionano sempre un incremento del nazionalismo e del revanscismo armeno, affermazioni false.

A quel punto si aprirebbe anche uno scenario di guerra per lo Zangezur. Io non lo escludo del tutto, anche se ovviamente è difficile prevederlo, ma a priori non è da escludere.

Anche perché anche a quel punto non avrebbe poi così tanta condanna se facessero un’operazione abbastanza mirata senza uccidere nessuno della missione europea che monitora il lato armeno della frontiera tra Armenia e Azerbaigian (e che Aliyev vuole fuori dall’Armenia).

Quindi Aliyev vuole rimanere in questo capitolo post conflitto per essere lui la persona al timone e utilizzare questi messaggi contro l’Armenia a cui la gente in Azerbaigian crede ormai di meno. La gente vuole un trattato di pace che non è però sinonimo di riconciliazione con gli armeni. Non vogliono più vedere giovani morire ormai non si capisce per che cosa.

La seconda domanda concerne la Georgia. Il discorso mediatico si focalizza sulle interferenze russe, ma l’appoggio di Aliyev per Sogno Georgiano è evidente, così come è evidente la presenza di una minoranza azera in Georgia. Cosa puoi dirci delle interferenze azere nelle elezioni?

Le interferenze da parte dello stato azero nelle regioni che ospitano le minoranze azere in Georgia sono provate. Sappiamo anche che Aliyev ha un buon rapporto con Sogno Georgiano a cui fa comodo discutere con una controparte sempre più autocratica che, come lui, ma senza riuscirci altrettanto bene, prova a portare avanti una politica estera multivettoriale.

In questo contesto la Georgia per gli attivisti azeri è sempre meno un luogo sicuro, con estradizioni e rapimenti di attivisti azeri e le istituzioni georgiane che hanno lasciato fare.

Per l’Azerbaigian la Georgia è importante come corridoio di transito nel caso non si sbloccasse lo Zangezur.

Un disegno in una scuola di un quartiere di Tbilisi in cui vive una numerosa comunità azera (Meridiano 13/Aleksej Tilman)
Chiudiamo con la Russia. I rapporti tra Mosca e Baku si sono guastati soprattutto a partire dall’abbattimento dell’aereo dell’Azerbaigian Airlines lo scorso dicembre. Pensi che questa rottura dei rapporti sia soprattutto una questione di ego tra leader autoritari o ci sono altre motivazioni dietro che predatano l’incidente?

Aliyev applica la sua politica multivettoriale. Come abbiamo visto ha incontrato i partner europei e quindi si mostra più ostile nei confronti della Russia. Quando verrà il momento si riavvicinerà a Putin che peraltro ha visitato Baku recentemente.

Aliyev è madrelingua russo e ha insistito che si continuino ad aprire scuole in lingua russa in Azerbaigian (che sono più di 300).

Secondo me, l’incidente aereo di dicembre è stato una rogna per Aliyev. Non può apparire debole agli occhi del suo popolo. Riguardo al non andare a Mosca il 9 maggio, è parte della sua efficace politica multivettoriale.

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Aleksej Tilman
Aleksej Tilman

Nato a Milano, attualmente abita a Vienna, dopo aver vissuto ad Astana, Bruxelles e Tbilisi, lavorando per l’Osce e il Parlamento Europeo. Ha risieduto due anni nella capitale della Georgia, specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell’area caucasica all’Università Ivane Javakhishvili. Oltre che per Meridiano 13, scrive e ha scritto della regione per Valigia Blu, New Eastern Europe, East Journal e altre testate.