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La resa del Nagorno-Karabakh, che ne sarà della popolazione armena?

Nella mattinata del 20 settembre, il governo del Nagorno-Karabakh ha annunciato di aver accettato una proposta di cessate il fuoco della forza di peacekeeping russa presente nell’area. La resa del Nagorno-Karabakh è arrivata a 24 ore dall’inizio di un attacco militare azero contro la regione.

Le clausole dell’accordo prevedono:

  • Il ritiro delle forze armate della Repubblica d’Armenia attualmente in Nagorno-Karabakh;
  • Lo “scioglimento e il disarmo completo” delle forze armate del Nagorno-Karabakh;
  • Negoziati in cui discutere “le questioni relative all’integrazione della regione nell’Azerbaigian e ai diritti e alla sicurezza della sua popolazione armena “nel quadro della Costituzione dell’Azerbaigian”.

Il cessate il fuoco è entrato in vigore alle 13 ora locale, anche se i combattimenti sono proseguiti, seppur con minor intensità. Dopo una notte di pesanti bombardamenti, gli abitanti di Stepanakert e degli altri centri abitati del Nagorno-Karabakh sono potuti uscire dai rifugi e in migliaia si sono riversati verso l’aeroporto della città, quartier generale della già menzionata forza di peacekeeping russa, con la speranza di fuggire poi in Armenia.

L’immagine simbolo della resa del Nagorno-Karabakh

Il terzo settembre di guerra in Nagorno-Karabakh

Il 27 settembre 2020 iniziava la guerra dei 44 giorni, durante la quale l’Azerbaigian riconquistava una porzione della regione del Nagorno-Karabakh sotto il controllo armeno dai primi anni Novanta. Il 12 settembre 2022, l’esercito di Baku attaccava il confine tra Armenia e Azerbaigian, occupando alcuni territori strategici. Nelle scorse settimane, movimenti di truppe in territorio azero e voli da trasporto militari da Israele all’Azerbaigian, carichi di munizioni, presagivano l’ennesima escalation settembrina.

Il 19 settembre, l’Azerbaigian ha effettivamente lanciato una “operazione antiterroristica”, un eufemismo per indicare un attacco militare verso l’area del Nagorno-Karabakh rimasta sotto il controllo armeno dopo il 2020.

Stepanakert e altri centri abitati della zona sono finiti sotto il fuoco dell’artiglieria azera. Nonostante Baku avesse dichiarato che gli obiettivi dell’attacco fossero militari, sono state colpite zone residenziali con la popolazione che ha passato la notte nei rifugi. Non è stato solo un attacco di artiglieria, l’esercito azero è anche andato all’offensiva avanzando su tutta la linea di fronte.

Difficile quantificare le vittime. Stepanakert ha parlato come minimo di 200 vittime e 400 feriti. Tanti i dispersi di cui non ci sono notizie. Il ministero della Difesa azero ha menzionato 180 morti nell’esercito. Ci sono stati caduti anche tra i soldati russi. Sono cifre che con tutta probabilità aumenteranno nelle prossime ore, la punta dell’iceberg delle migliaia di morti causati dai conflitti nella zona nell’ultimo trentennio.

Qui il contesto storico del conflitto in Nagorno-Karabakh.

Dopo la resa del Nagorno-Karabakh

Il primo ministro dell’Armenia, Nikol Pashinyan, il quale nella serata del 19 settembre aveva dichiarato che il paese non sarebbe intervenuto nel conflitto, ha preso atto della resa del Nagorno-Karabakh il 20 settembre, enfatizzando l’importanza di una piena cessione delle ostilità. In mattinata, poco prima dell’annuncio del cessate il fuoco, il presidente del Nagorno-Karabakh, Samvel Shahramanyan, aveva dichiarato che il governo sarebbe stato costretto a prendere “misure adeguate” per garantire la sicurezza fisica della popolazione.

Le critiche per l’operato del governo armeno non sono mancate con le opposizioni che sono scese in piazza a Erevan al grido di “Vergogna Nikol” il 19 e il 20 settembre. Le proteste erano dirette anche contro la Russia, alleato storico dell’Armenia che, come vedremo, non ha supportato il paese in queste ore drammatiche.

Proteste e scontri a Erevan il 19 settembre. La resa del Nagorno-Karabakh non potrà che alimentare la tensione

Da parte azera, fin dall’inizio dell’escalation è emersa una posizione massimalista: dopo aver messo in isolamento la zona per nove mesi causando una crisi umanitaria, con questo attacco Baku mirava a riprendersi l’intero Nagorno-Karabakh. Esponenti delle istituzioni azere hanno invitato il governo di Stepanakert a destituirsi. Nella serata del 19 settembre, l’amministrazione del presidente azero Ilham Aliyev ha anche annunciato che l’attacco sarebbe proseguito fin tanto che “i gruppi armati illegali armeni non avrebbero consegnato tutte le armi”.

Nonostante gli inviti allo scioglimento delle autorità armene del Nagorno-Karabakh non siano presenti nell’accordo di cessate il fuoco, Baku pare aver raggiunto i propri obbiettivi.

Le reazioni internazionali

La Russia è il paese terzo più coinvolto nel conflitto, avendo mediato il cessate il fuoco del 2020 che aveva istituto la forza di peacekeeping in Nagorno-Karabakh. Proprio l’inazione dei soldati russi durante i lunghi mesi del blocco della regione aveva inasprito le relazioni con Erevan e le cose si sono aggravate nelle ore del conflitto. Il 19 settembre Baku aveva annunciato di aver avvisato la Russia dell’attacco, informazione non pervenuta a Erevan, ma Mosca ha negato. Dopo la firma del cessate il fuoco, il portavoce del Cremlino Dmitrij Peskov, ha poi dichiarato che il conflitto del Nagorno-Karabakh è una questione interna all’Azerbaigian. 

I media di stato russi hanno subito incolpato l’Armenia dell’escalation, mentre personaggi mediatici quali l’ex presidente Dmitrij Medvedev e la giornalista Margarita Simon’jan si sono scagliati contro Pashinyan. Nella narrazione del Cremlino il premier armeno è reo di aver provato ad allontanare il paese dall’orbita russa.

La Turchia, alleata storica dell’Azerbaigian, ha esplicitato il proprio sostegno per le azioni di Baku il 19 settembre, nonostante l’Armenia avesse provato a scongelare i rapporti con Ankara nei primi mesi dell’anno per non trovarsi in questa situazione.

Da parte occidentale, lo stesso 19 settembre, la Francia, paese vicino all’Armenia per via della numerosa diaspora armena che ospita, ha richiesto una sessione speciale del Consiglio di Sicurezza dell’Onu per discutere la questione (svoltasi infruttuosamente il 21 settembre). Sul fronte di Bruxelles, il presidente del Consiglio europeo Charles Michel ha invitato Baku a fermare l’attacco. Simili dichiarazioni sono arrivate anche da parte americana.

Quelle occidentali sono state quindi reazioni deboli, non in grado di cambiare la situazione sul campo.

Il futuro incerto della popolazione armena del Nagorno-Karabakh

La moda della geopolitica influenza la narrazione del conflitto in Nagorno-Karabakh. Ma quanto avviene da ormai più di trent’anni è, in primo luogo, una storia interna all’Armenia e all’Azerbaigian. Una storia fatta di traumi e sofferenze intergenerazionali.

Nei prossimi giorni, le parti discuteranno del futuro della popolazione armena del Nagorno-Karabakh. Molto difficile prospettare una convivenza con le autorità azere, le stesse che non hanno esitato ad affamare per lunghi mesi e a muovere guerra contro quelli che dichiara suoi cittadini.

Lo scenario più drammaticamente realistico è che per i circa 120mila abitanti del Nagorno-Karabakh si prospetta un esilio in Armenia, un ulteriore trauma che di certo non migliorerà le prospettive di pace e stabilità nella regione.

Articolo in aggiornamento

Fonti locali sul Nagorno-Karabakh (in lingua inglese):

  • OC Media. Sta seguendo gli avvenimenti in e intorno al Nagorno-Karabakh con una diretta sul sito. Pubblica solo aggiornamenti accuratamente verificati.
  • Marut Vanyan (@marutvanian) e Siranush Sargsyan (@SiranushSargsy1) su Twitter/X. Sono due giornalisti di Stepanakert, gli autori della maggior parte delle immagini del conflitto che girano online. Nonostante la difficile situazione nella capitale del Nagorno-Karabakh li coinvolga personalmente, riportano passo passo quanto sta avvenendo.
  • Cavid Ağa (@cavidaga) su Twitter/X. Aggiorna e traduce quasi in diretta gli sviluppi in Azerbaigian e le dichiarazioni delle autorità del paese.
  • Olesya Vartanyan (@Olesya_vArt) su Twitter/X. Senior South Caucasus Analyst presso il Crisis Group. Segue da anni in prima persona i conflitti del Caucaso del Sud. Da seguire per avere una visione più analitica di quanto sta avvenendo.

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Aleksej Tilman
Aleksej Tilman

Laureato in scienze politiche, ha vissuto due anni a Tbilisi, lavorando e specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell'area caucasica all'Università Ivane Javakhishvili. Ha collaborato con East Journal dal 2015 al 2021.