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Unione Europea e Turchia: i nodi salienti di una relazione altalenante

Che il tema dell’allargamento dell’Unione Europea verso est abbia ritrovato, dopo l’inizio della guerra in Ucraina, una certa rilevanza geopolitica è cosa nota. Sempre più spesso, infatti, nell’ultimo anno e mezzo, si è sentito parlare della possibilità (seppur ancora remota) di integrare Moldova, Georgia, Ucraina e i paesi dei Balcani occidentali nell’Unione Europea. Se si guarda la mappa dei paesi candidati, però, è molto difficile non notare quello che sembra essere un intruso. La Turchia è a tutti gli effetti un paese candidato all’ingresso nell’Ue, nonostante questo dato passi spesso sotto silenzio.

Vedere le parole Unione Europea e Turchia nella stessa frase difficilmente fa pensare al percorso di integrazione europea di quest’ultima. C’è stato recentemente solo un momento in cui la prospettiva europea della Turchia è riapparsa sui giornali: al summit dei paesi Nato che si è tenuto lo scorso luglio a Vilnius, il presidente turco Recep Tayyip Erdoğan ha affermato, in modo del tutto inaspettato, che la richiesta di adesione alla Nato della Svezia sarebbe stata accolta solo a condizione che l’Ue fosse disposta a rivitalizzare i negoziati per l’adesione turca.

Non serve però essere esperti di geopolitica per rendersi conto che, ad oggi, Turchia e Ue si trovano su posizioni estremamente distanti dal punto di vista politico e ideologico e che, prima di vedere la bandiera dell’Unione Europea ad Ankara, di acqua sotto i ponti ne passerà ancora parecchia.

Bisogna poi prendere in considerazione che il lungo e tortuoso percorso di integrazione europeo della Turchia è iniziato più di sessant’anni fa, quando l’Unione Europea per come la conosciamo adesso nemmeno esisteva. Persino la domanda di adesione ufficiale è stata presentata nel 1987 all’allora Comunità Economica Europea (Cee), ben sei anni prima che il trattato sull’Unione Europea entrasse in vigore. Da allora, i negoziati sono proceduti a dir poco a rilento. In trentasei anni, solo sedici capitoli su trentacinque sono stati aperti e, di questi, solo quello su ricerca e sviluppo è stato chiuso.

Un altro fattore da considerare è che la Turchia è un paese che conta più di 84 milioni di abitanti. Se fosse un Paese membro dell’Ue, sarebbe di gran lunga il più esteso e il più popoloso. Stando ai trattati ora in vigore, la Turchia diventerebbe il paese con il più alto numero di deputati al Parlamento europeo e il suo voto in Consiglio avrebbe un peso per nulla indifferente nelle votazioni a maggioranza qualificata, cosa che sconvolgerebbe significativamente gli equilibri dei processi decisionali.

Ma se la possibilità di una Turchia europea è così remota, allora, perché figura nella lista paesi candidati? C’è stato, evidentemente, un tempo in cui l’idea di una Turchia in Ue non appariva così fuori luogo. Vale quindi la pena di ripercorrere le tappe dei rapporti tra Unione Europea e Turchia, per quanto si tratti di un percorso tortuoso e accidentato.

Per un quadro sullo stato dei negoziati per l’integrazione nell’Unione Europea dei paesi candidati e potenziali candidati, vi rimandiamo a questi articoli.

Integrazione a singhiozzi

Istituita con l’entrata in vigore del Trattato di Roma nel 1958,  la Comunità Economica Europea intrecciò quasi fin da subito un rapporto stretto con la Repubblica di Turchia, che l’anno dopo presentò domanda ufficiale di associazione. In quegli anni la Turchia, seguendo ancora la spinta alla liberalizzazione e alla democratizzazione introdotta dalle riforme di Atatürk, aveva manifestato la volontà di integrarsi solidamente con il blocco occidentale, che si andava formando in modo sempre più netto in funzione anti-sovietica. Sempre a quel periodo, infatti, risale l’ingresso della Turchia in organizzazioni come il Consiglio d’Europa, la Nato e l’Organizzazione per la sicurezza e la cooperazione in Europa (Osce).

Dopo il primo contatto iniziale del 1959, i rapporti tra le istituzioni europee e la Turchia seguirono un’evoluzione lenta e difficoltosa, che rispecchiò un periodo di forte instabilità politica e crisi economica della Repubblica di Turchia. Già nel 1960, infatti, l’esercito mise in atto un colpo di stato militare per fermare un governo che si stava spostando verso posizioni più filo-islamiche e meno laiche. Questi avvenimenti hanno contribuito a ritardare l’ufficializzazione dell’Accordo di Associazione con la Cee, che è avvenuto solo nel 1963.

Nel periodo successivo, gli interventi diretti dei militari in politica furono molteplici, volti sia a fermare leadership che intendevano riportare i valori religiosi al centro spazi pubblici, sia a riportare stabilità in momenti di crisi economica. Nei decenni successivi, quindi, le relazioni tra istituzioni europee e Turchia divennero seriamente instabili. Un periodo di recessione economica negli anni Sessanta sfociò nel malcontento generale e in disordini diffusi, cosa che indusse i militari a intervenire ancora una volta nel 1971 per riportare l’ordine.

Il colpo di stato non riuscì però a fermare l’instabilità politica, che continuò per tutti gli anni Settanta. L’economia rimase stagnante, gli scontri violenti tra le varie fazioni politiche continuarono e ben undici primi ministri si susseguirono in meno di dieci anni. Nel 1980, l’esercito intervenne ancora, con un altro colpo di stato militare e causò, questa volta, la formale sospensione dei rapporti tra la Comunità Economica Europea e la Turchia.

Solo al termine di questo periodo complicato dal punto di vista interno, nel 1987, la Turchia presentò la richiesta ufficiale di adesione alla Cee. Richiesta che, però, ebbe esito negativo: secondo il parere delle istituzioni europee, la cosa migliore era continuare a portare avanti le relazioni bilaterali nell’ambito dell’Accordo di Associazione del 1963. Venne constatato, infatti, che la priorità della Cee era concentrarsi sull’integrazione interna (di lì a poco sarebbe nata l’Unione Europea per come la conosciamo ora) e che la Turchia, invece, avrebbe dovuto produrre dei miglioramenti consistenti in termini economici, sociali e politici.

Un altro passaggio importante delle relazioni tra Unione Europea e Turchia fu raggiunto nel 1995, quando Bruxelles offrì ad Ankara la possibilità di formare un’Unione Doganale, già prevista come fase finale degli accordi del 1963. Questi accordi economici, seppur ormai antiquati e rimasti in gran parte invariati dagli anni Novanta sono ancora validi e costituiscono ad oggi un pilastro importante nelle relazioni tra Ue e Turchia.

Come a questo punto è facile aspettarsi, ad un passo avanti significativo dell’integrazione europea della Turchia seguì un’altra battuta d’arresto. Sempre nel 1995, infatti, vinse le elezioni il partito del Benessere, d’ispirazione nettamente islamista, di cui anche Erdoğan faceva parte. Ancora una volta con l’intento di cancellare tendenze religiose all’interno del governo, l’esercito intervenne costringendo il primo ministro a dimettersi e mettendo il suo partito fuori legge. Solo dopo che la situazione politica fu nuovamente stabilizzata, nel 1999, il Consiglio europeo riconobbe finalmente alla Turchia lo status di paese candidato.

L’ascesa di Erdoğan e il declino dei rapporti tra Unione Europea e Turchia

Dai tempi di Atatürk, nessuno ha dominato la scena politica turca come ha fatto Erdoğan negli ultimi vent’anni. Arrestato durante una protesta che fece seguito alla messa al bando del partito del Benessere, Erdoğan rientrò nella scena politica nel 2001, fondando il partito per la Giustizia e lo Sviluppo (Akp), con cui vinse le elezioni l’anno dopo. Sebbene l’Akp sia un partito che segue una linea islamista, Erdoğan si mosse inizialmente in modo da far avvicinare la Turchia alle istituzioni europee. Durante il suo primo mandato, infatti, abolì la pena di morte in Turchia e riconobbe alcuni diritti della minoranza curda, entrambi passi che contribuirono a rendere possibile, nel 2005, l’apertura dei negoziati per l’adesione all’Ue.

Nel decennio successivo, però, le tendenze autoritarie e accentratrici del presidente turco si resero sempre più evidenti, provocando così un distacco sempre più marcato dalla prospettiva europea della Turchia. È dal 2015 in poi che, in seguito a due eventi distinti, i rapporti tra Ue e Turchia cominciarono ad incrinarsi in modo definitivo.

Il primo è la crisi migratoria del 2015, che aveva già messo a dura prova il traballante sistema di accoglienza europeo. In questa occasione, anziché provvedere a trovare una soluzione interna per la gestione dei flussi migratori, l’Ue firmò un accordo con la Turchia che di fatto scaricava su di essa la responsabilità della gestione dei migranti. L’accordo del marzo 2016 prevedeva il versamento di sei milioni nelle casse della Turchia destinati alla gestione dei migranti in territorio turco che avrebbe dovuto impedirne l’ingresso in territorio europeo.

A seguito dell’accordo, la Turchia ha quindi potuto gestire il dialogo con l’Ue da una posizione di forza, minacciando a più riprese di fare entrare in territorio europeo i milioni di migranti che ospitava sul suo territorio, tra l’altro in condizioni ampiamente discutibili dal punto di vista del rispetto dei diritti umani. L’accordo prevedeva anche un aggiornamento dell’Unione Doganale e un’accelerazione dei negoziati di adesione all’Ue, aspetti che però sono rimasti sulla carta.

Il secondo evento chiave è, com’è noto, il colpo di stato fallito nel luglio 2016. Non è questa la sede per stabilire se il tentativo di golpe sia stato reale o orchestrato da Erdoğan per accrescere il suo potere. È però un dato di fatto che, a seguito di questo evento, il presidente turco abbia mostrato un volto ancora più autoritario, anche attraverso l’arresto di numerosi oppositori politici. Con un referendum del 2017, poi, Erdoğan riuscì a ridimensionare notevolmente il ruolo dell’esercito turco, da sempre garante dell’identità laica della Turchia. A seguito di questi eventi, nel 2018, il Consiglio dell’Ue prese atto dell’impossibilità di proseguire i negoziati di adesione e decise di sospenderli.

Candidata da ventiquattro anni, con quali prospettive?

Dati tutti questi presupposti, e considerata soprattutto la situazione politica attuale, è chiaro che le prospettive europee della Turchia siano praticamente inesistenti. Forse l’immagine che negli ultimi anni ha meglio trasmesso questa lontananza è quella dell’episodio divenuto poi celebre come sofagate: nell’accogliere il presidente del Consiglio europeo Charles Michel e la presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen in visita ufficiale in Turchia, Erdoğan costrinse la Presidente, in quanto donna, a sedersi su un divano in disparte.

L’incidente diplomatico ebbe una grossa rilevanza mediatica e sottolineò come, in questo momento storico, Unione Europea e Turchia non potrebbero essere più distanti su questioni quali parità di genere e, in generale, diritti sociali.

A dire il vero, alla vigilia delle elezioni di maggio 2023 c’è stato un momento in cui è stato possibile credere che le relazioni tra Unione Europea e Turchia potessero intraprendere un nuovo corso. Il leader dell’opposizione Kemal Kılıçdaroğlu è stato a tutti gli effetti uno sfidante credibile e le sue posizioni più nettamente democratiche e liberali avrebbero con ogni probabilità causato un riavvicinamento ideologico ai valori dell’Unione Europea. Come sappiamo, però, questa possibilità non si è concretizzata ed Erdoğan resta oggi saldamente al potere.

Cosa resta, quindi, di oltre mezzo secolo di rapporti tra Ue e Turchia? Sicuramente, resta la dipendenza reciproca sulla politica migratoria, almeno fino a quando l’Unione Europea non sarà in grado di riformare il proprio sistema di accoglienza. Resta l’Unione Doganale che, per quanto non aggiornata, è ancora funzionante. Resta, infine, la candidatura della Turchia all’adesione all’Ue, vecchia quasi un quarto di secolo. Oggi altro non è che un simbolo di rapporti tesi, ambivalenti e altalenanti che, chissà, potrebbero essere rivitalizzati in futuro come d’altronde è già successo più volte nel corso degli anni.

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Giulia Lisdero
Giulia Lisdero

Laureanda in Studi Interdisciplinari e Ricerca sull’Europa Orientale, ha vissuto un po’ ovunque nei Balcani occidentali. Si interessa di tutto quello che è successo e succede al di là del muro di Berlino. Lentamente, sta imparando il serbo-croato.