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Ultimo anno con il gas russo in Transnistria?

di Giorgio Comai *

Il gas russo in Transnistria svolge un ruolo fondamentale per l’economia locale. Entro la fine del 2024 l’Ucraina ha promesso di fermare tutti i gasdotti russi che attraversano il suo territorio: come se la caverà la Transnistria?

La questione della Transnistria è il conflitto in corso protratto da più lungo tempo nell’Europa continentale. Ad oltre trent’anni di distanza dai violenti eventi del 1992, questa regione riconosciuta a livello internazionale come parte della Moldova è governata dalle autorità de facto di Tiraspol senza attirare molta attenzione internazionale. Le occasionali tensioni con le autorità di Chișinău si risolvono attraverso negoziati, anche grazie al fatto che lo status quo, sebbene tutt’altro che ideale, alla fine serve bene entrambe le parti.

Dal punto di vista socioeconomico, la stabilità in Transnistria è stata in gran parte resa possibile dalla considerevole assistenza offerta dalla Federazione russa attraverso varie modalità, tra cui uno schema che si basa effettivamente sulla fornitura gratuita di gas da parte di Gazprom. I redditi generati dalla vendita del gas sul mercato interno coprono gran parte del bilancio di Tiraspol, consentendo comunque di sovvenzionare le forniture sia ai residenti che alle imprese della regione.

Per trasformare il gas gratuito in valuta forte serve in ogni caso un’economia locale attiva e basata sulle esportazioni, tra cui una considerevole base manifatturiera e agricola, ma anche un piccolo numero di grandi aziende energivore (come una centrale elettrica, uno stabilimento metallurgico e un cementificio). Inoltre, la Russia paga direttamente le pensioni ad una quota non indifferente di residenti locali e, in momenti diversi, ha offerto finanziamenti aggiuntivi per le infrastrutture sociali.

Chișinău ha un ruolo molto attivo in questo schema, non solo perché la stragrande maggioranza dell’elettricità consumata in Moldova è prodotta da una centrale elettrica con sede in Transnistria che brucia gas russo, ma anche perché l’acquiescenza di Chișinău è fondamentale per garantire rotte di esportazione per le merci della Transnistria, vendute a livello internazionale con i timbri doganali della Moldova. I dettagli implementativi sono cambiati nel corso degli anni con ricorrenti difficoltà, in particolare in relazione ai cambiamenti nella regolamentazione al commercio determinati da Chișinău, ma nel complesso questa soluzione si è rivelata straordinariamente stabile in quanto fornisce vantaggi a tutti i soggetti coinvolti.

Un accordo conveniente

Questo stato delle cose ha consentito alle autorità di Tiraspol di offrire ai residenti della Transnistria beni e servizi pubblici in linea con gli standard regionali, in alcuni casi a condizioni migliori rispetto ai paesi vicini (per molti anni, ad esempio, le pensioni in Transnistria sono state più generose che in Ucraina o nella Moldova della riva destra).

L’economia locale non è particolarmente fiorente, ma la Transnistria non è certo l’unica parte della regione a registrare una notevole migrazione verso l’estero e una popolazione in calo e sempre più vecchia. Mentre ai residenti tocca accontentarsi di quanto questa soluzione riesce ad offrir loro, le élite politiche ed economiche locali possono trarre vantaggio dal controllo dei flussi di risorse derivanti dai sussidi russi e dall’accesso ai mercati esterni. In altre parole, come affermano alcuni osservatori, “le elité locali operano come un ‘mediatore di monopolio‘, fungendo da interfaccia tra le opportunità di accesso a risorse esogene e la società locale”.

Chișinău non è mai stata del tutto soddisfatta dell’evidente sfida alla sua sovranità derivante da Tiraspol, ma aveva poche ragioni, politiche od economiche, per destabilizzare la situazione. Anche se Tiraspol ha denunciato come “blocco” le misure introdotte da Chișinău in diversi momenti (in particolare nel 2006) per regolare le esportazioni delle aziende con sede in Transnistria, le autorità moldave alla fine hanno sempre consentito e spesso facilitato il transito e l’ulteriore esportazione delle merci transnistriane.

Nel 2019, come rivelato da giornalisti investigativi locali, sono anzi arrivate a chiedere alle autorità ucraine di rimuovere sanzioni in vigore contro un importante attore economico con sede in Transnistria. Altre volte hanno invece introdotto nuove misure che hanno reso più difficili gli affari per le società transnistriane o per il settore bancario locale; al momento sono oggetto di forte contestazione i nuovi dazi doganali sulle merci destinate alla Transnistria e i blocchi delle esportazioni legati alle sanzioni relative all’invasione russa dell’Ucraina che colpiscono alcune imprese locali.

Alla fine, tuttavia, i leader di Chișinău di tutti i colori politici hanno poco interesse a reintegrare effettivamente la Transnistria nelle condizioni attuali, poiché le soluzioni immaginabili appaiono sia politicamente che economicamente difficili. L’attuale governo ha come priorità principale l’integrazione europea e non nasconde di essere pronto e disposto a procedere su questa strada senza la Transnistria.

Lo status quo sembra per lo più servire bene anche gli attori esterni. La Russia è felice di mantenere una roccaforte che le dà influenza in Moldova, e, date le piccole dimensioni della Transnistria (meno di mezzo milione di residenti), i costi di questo patronato sembrano accessibili anche se le risorse in questa fase non abbondano.

L’Ucraina, che condivide un vasto confine terrestre con la Transnistria, preferirebbe di gran lunga non avere un’entità così strettamente associata alla Russia sul suo confine occidentale, ma per Kyiv è più importante avere un alleato stabile e filoeuropeo a Chișinău piuttosto che mettere in dubbio lo status quo.

L’Unione europea sembra contenta di favorire soluzioni pragmatiche alle questioni commerciali e doganali che coinvolgono la Transnistria attraverso i suoi partner a Chișinău, piuttosto che spingere per un cambiamento che potrebbe causare instabilità.

L’invasione russa dell’Ucraina e il gas russo in Transnistria

L’invasione dell’Ucraina da parte della Russia potrebbe scuotere irrimediabilmente alcune delle basi che hanno dato una stabilità così notevole all’attuale stato delle cose. La leadership politica di Tiraspol continua a portare l’attenzione su questioni a breve termine, come l’introduzione di nuovi dazi doganali o la carenza di gas nei mesi invernali, ma queste potrebbero essere solo un primo segnale di ciò che verrà.

Il 31 dicembre 2024, infatti, scade l’accordo quinquennale che prevede il transito del gas russo attraverso l’Ucraina verso l’Europa e, con ogni probabilità, non verrà rinnovato. I paesi dell’Ue si stanno preparando a questo sviluppo dall’inizio della guerra nel 2022, e anche la Moldova, fino a poco tempo fa fortemente dipendente dalle forniture russe, ora fa affidamento su fonti alternative; il 100% del gas che Gazprom vende alla Moldova viene trasferito alla Transnistria. L’adattamento è stato costoso per i residenti della Moldova controllata da Chișinău, e l’assistenza europea ha solo in parte attenuato il colpo, ma soluzioni praticabili a lungo termine sono ora a portata di mano.

Ma che dire della Transnistria? Il problema non risiede nemmeno tanto nelle forniture di gas in sé, ma nel loro fondamentale ruolo abilitante per la politica economica locale: se oltre la metà del bilancio delle autorità di fatto dipende direttamente dal gas russo gratuito e una parte sostanziale del resto dai profitti delle grandi imprese, che possono realisticamente essere redditizie solo con prezzi del gas sovvenzionati, una brusca fine della fornitura di gas sponsorizzata dalla Russia sconvolgerebbe i meccanismi socioeconomici prevalenti in Transnistria praticamente da un giorno all’altro.

Le autorità si ritroverebbero in breve tempo senza le risorse per pagare i lavoratori del settore pubblico, anche in settori fondamentali come la sanità e l’istruzione, e i grandi impianti energivori dovrebbero presto chiudere. La sostenibilità a lungo termine di queste aziende era comunque dubbia, ma lo shock economico avrebbe conseguenze sociali molto più ampie già nel breve termine, creando una situazione di crisi difficile da gestire.

Uno scenario realistico o inverosimile?

Se, come sottolineato, tutti gli attori chiave sono soddisfatti della situazione attuale, sembrerebbe logico trovare a tempo debito una soluzione per preservare lo status quo. Le cose, tuttavia, potrebbero non essere così facili, poiché sono in gioco dinamiche molto più grandi della Transnistria.

In definitiva, la fornitura di Gazprom a Tiraspol rappresenta solo una piccola parte degli enormi flussi di gas che fino a poco tempo fa andavano dalla Russia, attraverso l’Ucraina, verso l’Europa centrale e occidentale. A meno di dodici mesi da questa importante scadenza, non è ancora molto chiaro quale sarà la situazione il primo gennaio 2025. Anche se alla fine si troveranno soluzioni pragmatiche a breve termine, non è inverosimile immaginare che, per motivi politici o tecnici, la fornitura di gas russo in Transnistria possa essere interrotta con poco o nessun preavviso.

Le bandiere di Russia e Transnistria a Tiraspol
Una bandiera della Russia a Tiraspol. Cosa succederà senza il gas russo in Transnistria?
(Meridiano 13/Giulia Lisdero)

Cosa fare allora? La questione emerge ripetutamente nei media locali e regionali da quando l’invasione russa dell’Ucraina ha reso questo risultato sempre più plausibile (ad esempio quiquiquiquiqui), ma né le autorità di Chișinău né altre sembrano avere davvero un piano. I contorni di alcune misure tampone potrebbero essere chiari (ad esempio, la centrale elettrica con sede in Transnistria che produce la maggior parte dell’elettricità della Moldova potrebbe operare utilizzando carbone), ma gli eventi potrebbero presto portare in breve tempo ad una crisi sia politica che umanitaria a meno che non vengano messe in atto adeguate misure di mitigazione.

Queste circostanze potrebbero in linea di principio essere viste come una “finestra di opportunità” per una soluzione negoziata. Eppure, gli eventi di forza maggiore potrebbero non essere sufficienti per trasformare il 2024 in un momento maturo per una soluzione pacifica del conflitto in Moldova.

Oltre a pensare a iniziative di mitigazione della crisi, è necessario pensare di più non solo alle élite di Tiraspol, ma anche ai residenti della Transnistria, ai loro mezzi di sussistenza, così come ai loro cuori e alle loro menti. In alcuni circoli politici e mediatici, potrebbe essere forte la tentazione di descriverli, semplificando eccessivamente le variegate narrazioni, come centinaia di migliaia di tirapiedi del Cremlino e una minaccia intrinseca alla democrazia e al percorso europeista della Moldova.

Con le giuste garanzie in atto e un serio piano di sviluppo a lungo termine, tuttavia, i residenti della Transnistria di tutti i gruppi etnici e linguistici potrebbero rappresentare un pubblico più ricettivo di quanto ampiamente ritenuto. Dovrebbero essere attivamente coinvolti, e i loro bisogni e preoccupazioni esplicitamente riconosciuti e affrontati.

Potrebbe essere allettante sia per Chișinău che per Bruxelles concentrarsi sul dialogo in corso relativo al percorso di integrazione europea e fingere che un approccio “business as usual” nei confronti di Tiraspol possa procedere indefinitamente. Tuttavia, questo è un lusso che non possono permettersi, poiché la situazione potrebbe cambiare improvvisamente e non in un momento di loro scelta.

Questo articolo è stato pubblicato dal nostro partner Osservatorio Balcani Caucaso e Transeuropa. È stato scritto nell’ambito del progetto “Analisi di contesto e di scenario di crisi in Moldavia e Transnistria”, realizzato in collaborazione con l’Agenzia per il Peacebuilding e con il sostegno del Ministero degli Affari Esteri e della Cooperazione Internazionale ai sensi dell’art. 23 bis, D.P.R. 18/1967. Tutte le opinioni espresse nell’ambito di questo progetto rappresentano l’opinione dei loro autori e non quelle del Ministero.

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Redazione
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