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Monumento al poeta Taras Ševčenko danneggiato a Borodjanka, Ucraina (IOM/Alisa Kyrpychova)
L’invasione russa non ha solo lacerato i confini geografici e umani dell’Ucraina, ma ne ha profondamente trasformato anche il panorama letterario, alimentando una nuova ondata di espressione poetica e allo stesso tempo sollevando interrogativi sulla sua stessa natura in tempo di guerra.
“Normalmente, per scrivere, serve tempo per costruire una distanza emotiva e riflessiva dalla realtà di cui si scrive”, osserva la poeta Iya Kiva. “Ma noi questo tempo non ce l’abbiamo, né abbiamo le risorse emotive o la serenità mentale”.
La poesia ucraina oggi è un grido. Un grido di presenza, un grido di resistenza, un grido che è come un tentativo di gettare parole nelle fauci voraci della guerra, parole che la faranno soffocare.
Se da una parte le voci dei poeti soldati, come Maksym Kryvcov, morto a gennaio 2024, rispecchiano la durezza del fronte, c’è un’altra poesia che spesso rimane in ombra (o, per usare un termine di Kiva, “nelle retrovie”): quella degli ucraini e – principalmente – delle ucraine che hanno lasciato la propria casa per trovare rifugio all’estero. Tra queste voci si inserisce quella di Tamara Herasymenko, poeta ucraina rifugiatasi in Italia tre anni fa.
Herasymenko e lo studio letterario Zažynok
Herasymenko, classe 1956 e originaria del villaggio di Lypova Dolyna nella Sumščina (regione di Sumy), giornalista e membro dell’Unione Nazionale degli Scrittori ucraini, nel 2016 ha ridato vita allo storico studio letterario Zažynok di Sumy, che promuove la lettura e la creazione di poesie.
Nel panorama letterario della Sumščina, lo studio Zažynok (termine che indica il primo covone dell’inizio del raccolto, ma anche il gioco di parole “za-žynok”, ovvero “per le donne”) ha avuto un ruolo cruciale nella formazione di nuove generazioni di scrittori e scrittrici, tanto che fino ad ora solo ex membri di Zažynok hanno guidato la sezione di Sumy dell’Unione Nazionale degli Scrittori, tra cui la stessa Herasymenko.
Veduta della città di Sumy (Wikimedia/Maksym Bondarevs’kyj)
Fondato negli anni Settanta da Mykola Hrycenko – allora redattore del giornale giovanile regionale – e dal poeta Volodymyr Zatulivitra, lo studio è rimasto attivo fino alla fine degli anni Ottanta, quando dovette chiudere per mancanza di fondi. Durante gli anni di attività, le opere degli studenti dello studio venivano regolarmente pubblicate nel giornale regionale e da una casa editrice di Charkiv. In queste due decadi, Zažynok ha ospitato poeti e scrittori di rilievo e si è formata Herasymenko.
“Ho iniziato a scrivere poesie a 9 anni. […] Al liceo lavoravo con un insegnante di lingua e letteratura ucraina, passavo quasi ogni giorno in biblioteca, dove leggevo poeti contemporanei (allora negli anni Sessanta). Quando avevo 12 anni, una mia poesia fu pubblicata per la prima volta sul giornale del distretto e mi fu persino pagato un compenso di 12 rubli, che era una fortuna per una studentessa”.
Herasymenko racconta di come ha vissuto in prima persona le trasformazioni della letteratura ucraina nel periodo post-sovietico. “La letteratura contemporanea ucraina dei primi anni Novanta, insieme alla libertà di parola, ha ricevuto un enorme impulso allo sviluppo, con esperimenti letterari di ogni tipo”, ricorda, “ma era piuttosto un caos, non c’era una tendenza o una direzione precisa”.
Nel 2016 la poeta ha preso la guida dello studio letterario Zažynok: “In quel periodo la vita letteraria nella regione di Sumy si stava intensificando e stava emergendo un gran numero di giovani poeti e scrittori di prosa molto promettenti e di talento. Era quindi giunto il momento di riunirli sotto l’egida dell’Organizzazione regionale di Sumy dell’Unione Nazionale degli Scrittori dell’Ucraina, facendo rinascere il famoso Zažynok”.
Oggi, durante gli incontri, i membri si confrontano sui propri elaborati, condividendo pareri e critiche. Nonostante operi completamente su base volontaria e senza alcun supporto finanziario, Zažynok continua a riunirsi ogni due settimane, adattandosi anche alle sfide prima della pandemia, poi della guerra, attraverso incontri online.
Prima dell’invasione su larga scala del 2022 era un luogo di incontro “amichevole, caldo, accogliente e ospitale”, come lo descrive la stessa Herasymenko, dove giovani talenti potevano sviluppare la loro voce creativa. Anche se oggi l’attività dello studio è rallentata dalla guerra che colpisce duramente la regione di Sumy, i suoi membri continuano a creare non solo poesia ma anche prosa, mantenendo vivo quello spirito di comunità letteraria che ha caratterizzato Zažynok fin dalle sue origini.
Si può fare poesia in tempi di guerra?
“Il tempo per la riflessione poetica non c’è”, dice Kiva, eppure la poesia persiste, trasformandosi. Nelle retrovie così come al fronte, la poesia assume molteplici funzioni: diventa testimonianza storica, strumento di elaborazione del trauma collettivo, ma anche spazio di resistenza culturale.
Per Herasymenko, la poesia resta preziosa perché capace di “moltiplicare la bontà, l’umanità e la bellezza. Perché […] una persona può essere veramente felice solo nel processo di creazione. E la poesia è uno dei campi più fertili per questo”.
Ed è la sua esperienza che mostra come la scrittura poetica in tempo di guerra sia non soltanto uno spazio creativo, ma piuttosto una necessità vitale per elaborare il trauma della fuga dai bombardamenti e mantenere vivo il legame con la propria terra.
Questa necessità emerge con particolare forza in una delle poesie che Herasymenko ha scritto in Italia, rappresentando l’essenza del disorientamento e della nostalgia con la metafora del domovyk, spirito domestico che nella mitologia slava protegge la casa e l’unità familiare.
Домовичок напівпритомний в моєму рюкзаку, бездомний, – домівок скільки! – та немає хати… Пернаті біженці зимові покинули наш край чудовий – обстріляні, обпалені крилята… Італії сонця і квіти домовичку, мов лампи, світять; він засинає скрізь, куди поклали, та, мов магнітик, безупину повернутий до України усе ж очима, повними печалі…
Рiccolo domovyk, stordito nel mio zaino, senza dimora, – quante case! Ma una casa sua non ce l’ha. I rifugiati d’inverno, piumati, hanno lasciato la nostra meravigliosa terra – le ali bucate dai proiettili e bruciate… I soli e i fiori dell’Italia illuminano il domovyk, come lampade; dove lo metti, si addormenta, ma lui, come una calamita, rivolge sempre lo sguardo pieno di tristezza verso l’Ucraina.
Laureata in Scienze Politiche (Studi sull’Est Europa) e in Governance locale all’Università di Bologna, ha studiato e lavorato in Lituania, Slovenia e Ucraina, dove si è occupata di sicurezza e reti energetiche, comunità locali e IDP. Lavora nel campo dell’integrazione europea, sviluppo locale e osservazione elettorale.