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“Šterkijada”, quando la libertà è una necessità dai risvolti amari

Šterkijada è uno dei film più apprezzati e discussi in Slovenia negli ultimi mesi. Tratta di una storia vera, che ha come protagonista il velista Jure Šterk, il primo sloveno ad aver compiuto in solitaria il giro del mondo su una piccola nave a vela nel 1991, poi scomparso tragicamente nell’Oceano Indiano nel 2009 durante una dei suoi viaggi sulla nave Lunatic. Il figlio del velista, il regista Igor Šterk, ne ha raccontato la storia sulla pellicola, mettendo in risalto le dinamiche familiari, magistralmente rappresentate dagli attori Silva Čušin, Jernej Gašperin e Janez Škof. 

Il film, della durata di 77 minuti, narra la storia di Jure Šterk (interpretato da Janez Škof) e della sua famiglia, composta dalla moglie (Silva Čušin) e dal figlio Igor (Jernej Gašperin). La narrazione è ben bilanciata nel rappresentare i rispettivi punti di vista dei tre protagonisti, tutti ben ritratti all’interno della pellicola. 

La storia si sviluppa a partire dai ricordi di Igor ancora bambino (interpretato dal giovanissimo Tito Novak), alle prese con un padre parecchio esigente e sovente assente da casa, non in grado di dargli precedenza rispetto alle proprie convinzioni e nel perseguimento dei propri obiettivi, in primis legati agli interessi sportivi.

Agli occhi di Igor il papà Jure appare un padre con un buon potenziale genitoriale, in grado di far valere la disciplina e capace di insegnare al bambino i valori dello sport quali la tenacia, la perseveranza e il raggiungimento degli obiettivi prefissati, come anche una figura genitoriale in grado di ricompensare gli sforzi del figlio. Una delle scene iniziali vede infatti papà Jure impartire lezioni di nuoto al proprio figlio, proponendogli una pallina di gelato ad ogni traguardo raggiunto, e nella sequenza successiva padre e figlio sono seduti a parlare ad un tavolo, con il piccolo Igor alle prese con un cono esagerato. 

Sin da subito nel racconto viene messo in risalto anche l’altro lato della medaglia, ovvero le convinzioni e le passioni del padre per lo sport e soprattutto per la vela, che lo rendono un genitore non di rado distaccato dal contesto familiare. La moglie, innamorata del proprio marito, non può sempre tollerare le sue assenze e talvolta le scene di conflitto e gelosia si consumano in presenza del figlio, che purtroppo subisce le tensioni tra i genitori in maniera inerme. 

Poi, nel proseguo del film, la storia fa un rapido salto nel tempo. Igor è ormai un giovane uomo in grado di cavarsela da solo. Muove i primi passi nel mondo del cinema professionale come aiuto regista. Eppure l’indipendenza e il distacco dalla famiglia che raggiunge sono solamente parziali. A Igor è demandata l’incombenza di aiutare la madre, standole vicino per poterle concedere del tempo, ascoltare le sue profonde insoddisfazioni, i propositi di lasciare una volta per tutte il papà (propositi però che mai si concretizzeranno).

Il punto di vista della madre e del figlio

Ma, soprattutto, madre e figlio sono ormai rassegnati alla sempre più frequente lontananza del padre in viaggio per gli oceani del mondo su una piccola barca a vela. Si tratta di assenze che nel tempo si protraggono anche per anni, interrotte solamente da qualche telefonata intercontinentale – breve, ma piena di significati e emozioni; oppure da qualche ritorno del padre a casa prima dell’ennesima ripartenza. 

La parte centrale del film è incentrata soprattutto sugli stati d’animo e sulle difficoltà emotive, come anche sui momenti di lucidità con cui, nonostante tutto, i protagonisti riescono a sopportare il peso della situazione che man mano si sviluppa senza una reale via d’uscita. Tutto scorre verso l’esito tragico della storia, che mette al centro una persona ben consapevole del rischio che prima o poi potrebbe perdersi per sempre nel mare aperto a bordo della sua nave a vela.

La tragedia si consuma con la scomparsa di Jure e la cessazione delle comunicazioni a seguito di un guasto occorso alla nave Lunatic nell’Oceano Indiano, con la moglie e il figlio che alla desolante notizia sono nuovamente costretti a farsi forza – ciascuno a proprio modo – per sopportare il peso della tragedia (che, forse, avevano messo in preventivo ormai da anni). Soprattutto Igor riesce a sopportare tutto ciò con stoica forza d’animo, come se avesse ormai da anni saputo sistemare e collocare in fondo al proprio cuore l’eventualità di perdere da un momento all’altro la figura del padre. 

Anche se si tratta di una storia che in apparenza potrebbe essere un copione scritto “ad arte”, Šterkijada ci rivela con considerevole equilibrio le difficoltà che possono sorgere su un piano affettivo a conseguenza del fatto di avere a che fare con delle figure familiari apparentemente forti e dominanti, ma che alla fine si rivelano umane e pure tanto fragili nella loro individualità e nella loro fuga dall’ordinaria vita quotidiana. 

Una profonda analisi psicologica

Degna di nota è la profondità con la quale il regista Igor Šterk scava nelle personalità e negli animi delle tre figure al centro della pellicola. Pur concedendo ampio spazio interpretativo (ogni spettatore ha facoltà di farsi una propria idea sia delle personalità dei tre protagonisti sia dei rapporti di forza all’interno della famiglia) alcuni elementi emergono in modo chiaro. Il padre è una persona che ha fiducia nei propri mezzi ed è dedito a perseguire i propri obiettivi – come ad esempio portare a termine i viaggi in barca a vela senza rivolgersi ad altri in caso di bisogno se non al figlio Igor.

Nella narrazione del film appare come un uomo pronto a rivendicare a testa alta la propria appartenenza al popolo sloveno, ma non altrettanto caparbio a stringersi in modo continuativo attorno ai propri affetti familiari. Nonostante il genuino attaccamento che ha per la moglie e per il figlio, non riesce a diventare un perno stabile della sua famiglia. La moglie è una madre presente, legata e attenta al marito, ma sembra non essere mai in grado di accettare sino in fondo la complessa storia che sta vivendo e, dunque, per incidere sulle dinamiche e su un destino che risultano più grandi di lei.

Non a caso tende a rifugiarsi nell’astrologia. Cerca invano stabilità, ma alla fine del film risulta non avere i mezzi necessari per fare valere la propria volontà. Vive nella speranza che il marito al proprio ritorno possa decidere una volta per tutte di rimanere stabilmente a casa, ma deve poi rassegnarsi al carattere di Jure, sino alla sua perdita finale. Ed infine il figlio Igor, che da bambino si trova in mezzo a una famiglia con delle buone risorse, ma che nella realtà e nei fatti rischia di diventare una famiglia a tratti disfunzionale alla sua crescita. Così come da bambino anche nella vita adulta deve spesso fare i conti con gli esiti delle decisioni altrui. 

Alcune possibili interpretazioni di Šterkijada

Šterkijada è indubbiamente interessante per chi si interessa di personalità forti nel mondo dello sport e, nello specifico, della storia del velista Jure Šterk, che tra l’altro ha raccolto le memorie dei viaggi compiuti in libri quali Ruleta na Atlantiku (“La roulette sull’Atlantico”) del 1985, Nevarna igra (“Gioco pericoloso”) del 1989 e V naročju vetra (“Nell’abbraccio del vento”) del 1996. La visione del film è però altrettanto consigliata a chi è attento alle storie che si focalizzano in maniera originale, non scontata, sulle dinamiche famigliari contemporanee. Lo si può interpretare su molteplici piani. Di seguito proponiamo alcuni di essi. 

Un primo modo per comprendere la storia del film è attraverso l’analisi della perdita di significato simbolico della figura del padre nella società contemporanea – in questo caso in un contesto sloveno o mitteleuropeo. Šterkijada è una rappresentazione della crisi della struttura famigliare nelle società odierne. È un film concepito e diretto da chi ha subito in prima persona un dramma familiare, eppure il regista non scende mai in semplici sfoghi, né in alcun eccessivo risentimento. Si tratta dunque di una storia di per sé toccante, che ha però il merito di non scadere mai in una narrazione troppo malinconica. La narrazione ci spinge ad accettare lucidamente la realtà per quella che è, anche su un piano famigliare ed affettivo. 

Un’altra maniera per interpretare il film è quella storica, considerando che le imprese di Jure Šterk sono avvenute in un periodo che si incrocia con la conquista dell’indipendenza della Slovenia, un periodo che per molti sloveni – nel corso degli anni Novanta – ha rappresentato una forte fiducia nei propri mezzi con uno sguardo propositivo di sfida verso il futuro. Il neonato paese sloveno aveva bisogno di nuovi “eroi” e Jure Šterk sembra incarnare tutte queste attese, probabilmente caratteristiche di quegli anni.

Ma le aspettative sembrano essere prese talmente alla lettera dal protagonista Jure da diventarne parte integrante del destino, senza la possibilità di un ritorno alle origini – un po’ come la scelta della Slovenia che, una volta presa la via dell’indipendenza dall’ex Jugoslavia, ha dovuto rimarcare negli anni le necessità che hanno portato a tale scelta, senza però mai volgersi al proprio passato e (forse) senza la lucidità necessaria per preservare quanto di buono si sarebbe potuto conservare dal precedente sistema socialista. 

Una terza possibile linea interpretativa è quella romantica o filosofica. Jure Šterk nella sua decisione di andare incontro all’avventura nel mare aperto rievoca in qualche maniera le vicende di figure romantiche, come se si trattasse di un Percy Bysshe Shelley dei giorni nostri.

Questa linea interpretativa viene però stroncata dallo stesso regista Igor Šterk in una delle scene conclusive, la quale ci mostra il figlio di Jure che si reca nell’ufficio degli affari esteri sloveni per ritirare il pacco con i beni appartenuti al padre. Nella scena il giovane viene accolto da una funzionaria che, intenta a onorare la memoria del padre, spontaneamente ipotizza che probabilmente la fine del padre è stata proprio com’egli l’aveva voluta. La risposta di Igor è però secca:

mio padre avrebbe desiderato una fine del genere, stremato in mezzo al mare aperto, lontano dai propri cari, in mezzo all’acqua gelida senza nessuno intorno a tendergli la mano… Lei personalmente la vorrebbe una fine così?

La funzionaria del ministero viene così zittita. 

A guisa di conclusione 

Il film che abbiamo recensito è senz’ombra di dubbio interessante perché getta luce sulla storia del velista di Jure Šterk e della sua famiglia. Šterkijada è un film capace di indirizzare gli spettatori a una riflessione in merito a quelle che possono essere le dinamiche familiari complesse e di come in certe occasioni occorre trovare il coraggio per superare i traumi affettivi e andare avanti, senza timori.

Non per ultimo, il racconto ci mostra in modo elegante anche la trasformazione della società slovena, che da un sistema socialista è passata in poco tempo ad un sistema capitalistico di mercato, capace di garantire alle persone più benessere e libertà individuali, ma anche di creare un diverso contesto sociale in cui i rapporti familiari e gli affetti stretti risultano essere più fragili e maggiormente frammentati.

Il regista Igor Šterk ha dedicato la prima proiezione del film alla madre Vojka Šterk, scomparsa da poco. Noi vorremmo concludere questa recensione dedicandola a quel ragazzino che è protagonista della parte iniziale del film, il quale, avendo imparato a nuotare sotto lo sguardo del padre, ha imparato sin da subito a cavarsela nella vita.

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Mitja Stefancic
Mitja Stefancic

Nato a Trieste, dopo gli studi conseguiti all’Università dell’Essex e all’Università di Cambridge, è stato cultore in Economia politica all’Università di Trieste. È stato co-redattore della rivista online di economia “WEA Commentaries” sino alla sua ultima uscita. Si interessa di economia, sociologia e nel tempo libero ha seguito regolarmente il basket europeo ed in particolare quello dell’ex-Jugoslavia nel corso degli ultimi anni. Ha tradotto per vari enti ed istituzioni atti e testi dallo sloveno all’italiano e dall’italiano allo sloveno.