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Nell’Italia centrale e meridionale si trovano tre monumenti jugoslavi. Lo spomenik di Sansepolcro è uno di questi, insieme a quello di Barletta e a quello di Roma, presso il cimitero di Prima Porta. Proprio per conoscere meglio la storia del Sacrario degli slavi che si trova in provincia di Arezzo abbiamo contattato Guido Guerrini, 47 anni, ex amministratore del Comune di Sansepolcro, giornalista pubblicista, scrittore e test driver di veicoli ecologici. Protagonista di viaggi con ogni tipo di carburante in tutti i continenti del pianeta Terra e attualmente vicecampione mondiale della Bridgestone Fia Ecorally cup, da sette anni vive tra Toscana e Tatarstan (una delle repubbliche della Federazione Russa di cui avevamo parlato qui) ed è appassionato della storia di stati e popoli post sovietici e post jugoslavi.
Come nasce l’idea di uno spomenik jugoslavo in Italia e in particolare a Sansepolcro?
A cavallo tra anni Sessanta e Settanta del Ventesimo secolo i rapporti tra Italia e Repubblica Socialista Federativa di Jugoslavia (RSFJ) ebbero una forte distensione parallelamente alle discussioni politiche che sarebbero approdate agli accordi di Osimo e quindi al chiarimento definitivo di tutte le questioni rimaste aperte con la fine della Seconda guerra mondiale. Tra le cose che venivano discusse dalle delegazioni dei due paesi c’era anche quella relativa ai caduti jugoslavi in terra italiana e di quelli italiani oltre Adriatico. Vicino a Sansepolcro, esattamente in località Renicci nel comune di Anghiari, sorgeva un campo di internamento di prigionieri jugoslavi. In Toscana finivano quelli che venivano considerati più pericolosi e quindi da allontanare dal confine orientale. Di solito i prigionieri di Renicci arrivavano qui dopo aver “soggiornato” a Visco e Gonars. Molti slavi morirono di stenti a Renicci e sono stati sepolti in una fossa comune nel piccolo cimitero vicino ad Anghiari. La presenza di questa fossa comune favorì la scelta di Sansepolcro per ospitare all’interno del proprio cimitero un mausoleo destinato a numerosi slavi, quasi cinquecento, caduti nel centro Italia.
A Renicci d’Anghiari, località della Valtiberina toscana, si trovava uno dei peggiori campi di concentramento d’Italia per numero di internati e per i comportamenti tenuti dal personale di sorveglianza. Destinato ad accogliere fino a 9mila prigionieri di guerra, è adibito agli internati civili pur rimanendo sotto la competenza dell’amministrazione militare. All’arrivo degli antifascisti italiani (anarchici in gran parte) e degli slavi già confinati a Ventotene – dopo il 25 luglio 1943 – vi si trovano rinchiusi in 4.500, tutti prigionieri ‘ribelli’ deportati dalla Jugoslavia (sloveni, montenegrini, croati) catturati nelle operazioni di rastrellamento, talvolta accompagnati dalle famiglie. Ben 500 i militari addetti alla sorveglianza. Il regime di vita, secondo le testimonianze degli internati ma anche del cappellano incaricato dell’assistenza religiosa don Giuliano Giglioni, è bestiale al punto che lo stesso sacerdote riferisce nel suo diario, a proposito dei numerosi decessi per freddo, scarsa igiene, fame, dissenteria e altre malattie [...]. Alla fine il conto dei morti ammonta a 157.
(da Toscana Novecento - Portale di Storia Contemporanea)
Quando viene inaugurato lo spomenik e come fu accolta la proposta dai cittadini?
Venne inaugurato il 15 dicembre del 1973 e il terreno su cui sorge fu donato dal Comune di Sansepolcro alla RSFJ. All’inaugurazione erano presenti molte persone e la cosa ebbe grande risalto nella comunità locale. Ricordiamoci che Sansepolcro aveva una amministrazione comunista e l’occasione del Sacrario degli slavi permise alla cittadina di aprire importanti canali politici, culturali, economici e sociali col mondo jugoslavo.
Mi hai parlato di un parallelismo fra Sansepolcro e Sinj, vuoi spiegarmi nei particolari?
Un vero e proprio gemellaggio nascerà nel 1981 e la vicenda del sacrario è il primo capitolo di questa storia. Nel 1973 l’ambasciatore jugoslavo a Roma era un croato di Spalato che colse una serie di parallelismi tra Sansepolcro e Sinj. Geograficamente parlando le due cittadine hanno la stessa latitudine, stessa distanza dai due capoluoghi di provincia Arezzo e Spalato, posizione simile all’interno delle due valli di cui sono capoluogo, due importanti fiumi che le attraversano e due importanti tradizioni folkloristiche come la giostra dell’Alka e il Palio della Balestra. Perfino il colpo d’occhio delle due valli arrivando da Arezzo o Spalato è davvero simile.
L’autore dell'opera è Jovan Kratohvil, un importante artista jugoslavo di origine serba. Fu anche un notevole atleta, partecipando alle Olimpiadi di Helsinki. Dopo i primi anni di lavoro in cui prediligeva lo stile figurativo, a metà degli anni Cinquanta, cambiò il suo modo di intendere l’arte sposando tendenze moderniste e di rottura rispetto al passato. Fra le sue opere più importanti si ricordano il “Monumento ai combattenti caduti” di Zemun (ancora appartenente al suo primo periodo), il “Monumento all'incidente del volo sovietico” sul Monte Avala, nei pressi di Belgrado, il “Monumento all'Unità e alla Fratellanza” a Pirot in Serbia e, naturalmente, lo spomenik di Sansepolcro.
Altro triste legame tra Sinj e Sansepolcro è relativo al massacro di Treglia (oggi Trilj), località a circa 15 chilometri da Sinj e dove furono giustiziati dai tedeschi 49 ufficiali italiani che dopo l’8 settembre 1943 esitarono nell’arrendersi ai tedeschi.
Un gemellaggio tra una cittadina italiana e una di un paese comunista suscitava interesse. Nel decennio prima dell’inizio delle guerre jugoslave gli scambi tra le due città furono intensi coinvolgendo scuole, realtà culturali, sportive e furono avviati perfino collaborazioni economiche. Tra il 1991 e il 1995 non si ebbero più contatti ufficiali mentre proseguirono quelli privati tra cittadini, culminati con un carico di aiuti umanitari organizzato dalla Diocesi di Sansepolcro e destinato a Sinj. Dopo la guerra e con la nascita della nuova Croazia con un orientamento politico decisamente diverso si fece fatica a ripartire con un gemellaggio che a Sinj veniva percepito come legato al passato jugoslavo. La testardaggine di molti cittadini di Sansepolcro e Sinj e perfino qualche legame sentimentale è servito a riaffermare un rapporto di amicizia che oggi è vissuto più nell’ottica dei rapporti tra gli stati facenti parte dell’Unione Europea dimenticando le vere origini.
Nel corso degli anni come si sono sviluppati i rapporti fra lo spomenik di Sansepolcro, la città e la Jugoslavia?
Sì, abbiamo già ricordato il gemellaggio con Sinj anche se poi le delegazioni croate non hanno più visitato il Sacrario, nonostante buona parte dei caduti abbiano proprio origini croate. La città e il Comune hanno sempre mantenuto una forte attenzione per il Sacrario occupandosi anche della manutenzione e conservazione dopo che dal 1991 per un lungo periodo nessuno si è più fatto vivo. La toponomastica attorno al cimitero (via Osimo, via Sinj, via Città Gemellate) si ricollega alla vicenda del Sacrario. Recentemente l’amministrazione comunale ha sentito l’esigenza di dedicare un importante spazio nel centro cittadino, davanti al monumento ai caduti di tutte le guerre, ai “Caduti delle Foibe”, vicenda che con la storia di Sansepolcro ha poco a che fare. I due Sindaci di Sansepolcro degli anni Settanta, Ottorino Goretti e Ivano Del Furia, ebbero entrambi uno dei massimi ordini che la Federazione Jugoslava assegnava alle persone amiche. Per metà dicembre è in preparazione un evento gestito dall’Anpi in occasione dei cinquant’anni dall’inaugurazione del Sacrario. Probabilmente saranno esposti oggetti degli internati a Renicci e parte dei materiali relativi alla inaugurazione del 1973.
Parlando del presente, sul monumento si trova una grande targa della Repubblica Slovena. Quale è il rapporto delle repubbliche post-jugoslave con il Sacrario degli slavi?
La Slovenia ha posto negli anni Novanta una propria targa a fianco di quella jugoslava a ricordo dei propri caduti che sono circa un quarto di quelli ospitati nella struttura. In ogni caso le autorità slovene hanno mantenuto una presenza costante annuale nel visitare il Sacrario. Oggi è in vigore un accordo tra Slovenia e Comune di Sansepolcro per un concorso di spese per manutenzione da parte di Lubiana. Più volte presente e interessata a concorrere alle spese è stata anche la Serbia. Non si è mai registrato alcun interessamento da parte di Croazia, Bosnia-Erzegovina, Montenegro e Macedonia se non sporadiche visite di associazioni di combattenti o di privati.
Targa della Repubblica slovena (Meridiano 13/Gianni Galleri)
Oggi, chi sono i visitatori del monumento? Associazioni? Turisti? Stranieri? Se sì, da dove?
Annualmente viene sempre una delegazione slovena, solitamente attorno alla data del 2 novembre. Spesso, seppure senza una precisa ricorrenza, delegazioni ufficiali serbe visitano il Sacrario degli slavi. Ricordo visite di associazioni di reduci montenegrini e naturalmente in più di un’occasione anche i discendenti delle persone che riposano nel Sacrario. Non mancano l’Anpi locale e quelle della vicina umbra di omaggiare annualmente lo spomenik di Sansepolcro. Recentemente in occasione del “Giorno del Ricordo” alcuni cittadini di Sansepolcro hanno voluto ricordare anche le azioni commesse dagli italiani nei confronti della popolazione jugoslava portando fiori al Sacrario.
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.