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Manifestazione di russi contro la guerra davanti al consolato russo di New York, 2022 (Wikimedia/Andrew)
di Simona Toci*
Con l’invasione russa su larga scala dell’Ucraina nel febbraio 2022, culmine di una crisi cominciata con l’annessione della Crimea e la guerra nel Donbas, entrambe iniziate nel 2014, si è raggiunto un nuovo punto critico nella storia recente dell’Europa orientale. Non si tratta solo di una questione geopolitica, ma anche di un nodo irrisolto che riguarda la società (che include anche cittadini russi contro la guerra) e la storia russe e il loro rapporto complesso, spesso segnato da dominio e ambiguità, con i paesi un tempo parte dell’Unione Sovietica, tra cui la stessa Ucraina.
Il dibattito nato dopo lo scoppio della guerra è stato ricco ma profondamente sbilanciato, spesso tralasciando chi direttamente e indirettamente vive la guerra ogni giorno.
Si è parlato molto della Nato, degli Stati Uniti, dell’Unione Europea, del suo sostegno ritenuto da alcuni incerto, del riarmo e delle strategie di contenimento, ma poco della Russia dall’interno: della società, dei cittadini e della loro percezione dei fatti, nonostante censura e propaganda. Pur essendo fondamentale analizzare con lucidità gli equilibri tra le potenze del globo, c’è il rischio di adottare uno sguardo esclusivamente eurocentrico e prettamente riduttivo, che riduce la guerra a un confronto tra blocchi, dimenticando coloro che la subiscono, la contestano o la rifiutano attivamente.
Scritta fatta da manifestanti russi contro la guerra a San Pietroburgo (Wikpedia/Platel)
Un altro punto fondamentale da sottolineare è la complessa identità russa: cosa possiamo definire russo? Una domanda che apre molti punti interrogativi non solo dal punto di vista religioso e culturale, ma anche linguistico. La Russia si presenta come uno stato enorme e multietnico, con all’interno lingue, etnie e religioni diverse: uno “Stato” in cui, se possiedi il passaporto della Federazione Russa, non significa automaticamente identificarsi come “russo”.
Un’altra questione cruciale è quella che coinvolge i “russi” rimasti fuori dai confini dell’attuale Federazione Russa dopo la dissoluzione dell’Unione Sovietica: queste comunità e il ruolo in cui spesso vengono strumentalizzate dallo stesso governo russo e oggetto del dibattito politico nei paesi in cui sono presenti, come nel caso dell’Ucraina nella penisola della Crimea, nelle regioni del Donbas, nel nord del Kazakhstan, nei paesi baltici come in Lettonia, aprendo un dibattito intenso sull’uso della lingua russa e dell’eredità lasciata dall’Unione Sovietica.
Inevitabilmente, la questione dell’identità nazionale dei russi, sia all’interno che fuori dai confini, si interseca con quella dei singoli paesi dello spazio post-sovietico.
Lo scopo di questa intervista, fatta a una persona che è parte della comunità russofona del Kazakhstan, che ha vissuto in Francia e in Italia e preferisce rimanere anonima, non è spiegare una guerra complessa e ingiusta, ma restituire spazio e attenzione a chi, tra i russi, ha scelto di opporsi, e raccontarci la loro visione.
Come si è evoluto nel corso degli anni il rapporto tra i russi contrari alla guerra e i vari movimenti, partiti e associazioni politiche in Europa, in particolare con i movimenti di sinistra che sono apparsi più divisi dopo l’invasione?
Nella mia esperienza di lavoro con la sezione francese di Free Russians Global Movement e con l’associazione italiana Russi Contro La Guerra, i rapporti con i partiti politici erano diversi. In Francia, l’associazione Russie-Libertés collabora principalmente con il governo (quindi, la coalizione centrista di Emmanuel Macron), ma risponde con entusiasmo a tutti gli inviti e iniziative di praticamente tutti i partiti politici. Non ci sono, tuttavia, molte proposte di collaborazione da parte della sinistra francese, né dell’estrema destra.
In Italia, ho potuto assistere principalmente alla presenza ai nostri eventi e alla collaborazione di rappresentanti di partiti che possono essere considerati centristi, in particolare +Europa e Azione. Abbiamo anche collaborato con Radicali Italiani per la nostra opera comune “Stop alla propaganda russa” e cooperiamo con il movimento Liberi Oltre.
Agli eventi più importanti, ad esempio quello dedicato al terzo anniversario dell’invasione su vasta scala, abbiamo avuto relatori provenienti praticamente da tutto lo spettro politico. Mi sono resa conto della riluttanza di alcuni movimenti di sinistra a sostenere i dissidenti russi abbastanza presto, quando ero ancora in Francia. In quanto non sostenitore né specialista di alcun movimento politico in Europa, ignoro le ragioni precise di questa riluttanza e posso solo fare delle supposizioni.
Manifestazione di cittadini russi contro la guerra a Ekaterinburg il 24 febbraio 2022 (Wikipedia/Vladisla Postnikov)
A mio avviso, ciò è dovuto principalmente alla semplice associazione di Ucraina e Russia in opposizione all’Occidente liberale, alla Nato e, fino a poco tempo fa, agli Stati Uniti. I movimenti di sinistra sono storicamente critici nei confronti di questi attori e potrebbero avere delle buone ragioni per farlo; tuttavia, attribuendo semplicemente alla Russia tutte le qualità che mancano all’Occidente nel suo complesso, semplificano un po’ troppo le cose.
Senza alcun tentativo di comprendere le complessità della società russa, vedono erroneamente Putin come un leader carismatico che difende la sovranità e l’eredità del suo paese, comprese le conquiste sociali dell’era sovietica.
Ma la realtà non è netta, e se i partiti di sinistra hanno il diritto di criticare una parte in questo conflitto, ciò non significa necessariamente schierarsi automaticamente con l’altra. Infine, vorrei sottolineare ancora una volta che, se tutto questo è vero per i partiti di sinistra, è altrettanto vero per alcuni movimenti di destra e di estrema destra che a volte sono altrettanto restii a criticare Putin; quindi, non si tratta solo di un problema della sinistra in Europa.
Quando si discute del nazionalismo russo (spesso criticando anche figure dell’opposizione come Naval’nyj per alcune delle sue posizioni) e, in particolare, dell’uso strumentale della storia da parte del regime di Vladimir Putin, pensi che sia necessario aprire un dibattito sul rapporto che i russi di oggi hanno con la loro storia e, inevitabilmente, con i loro “vicini” (intendendo i Paesi dello spazio post-sovietico come l’Ucraina, l’Asia Centrale e il Caucaso)?
Assolutamente. Come persona che ha vissuto una parte significativa della sua vita in Kazakhstan, una repubblica dell’Asia Centrale ancora oggi fortemente soggetta all’influenza predominante della Russia, so bene cosa possano significare il paternalismo dei russi.
Pur non sostenendo la disintegrazione dell’attuale Federazione Russa in repubbliche più piccole – poiché ciò creerebbe molto caos e instabilità nella vita di popolazioni che, anche quando non sono etnicamente russe, hanno un legame profondo con questo paese – penso fermamente che, se la Russia vuole davvero tornare a essere libera e “normale”, dovrà necessariamente riconsiderare la propria storia e identità nazionale.
Questa idea è ben illustrata nel libro Internal Colonization: Russia’s Imperial Experience di Alexander Etkind, il quale sostiene che la Russia ha praticato una forma di colonialismo non solo verso l’esterno, ma anche all’interno, nei confronti delle sue stesse regioni e popolazioni diverse, applicando un dominio imperiale sui propri territori interni. Sarà un cambiamento di atteggiamento senza precedenti e molto difficile da realizzare, ma non riesco a immaginare una Russia che possa mai riabilitarsi dai suoi crimini senza rimettere in discussione i propri valori fondamentali e le politiche nei confronti delle sue molteplici nazionalità.
Secondo te, l’eredità dell’Urss come regime dittatoriale e sistema di repressione del dissenso ha influenzato anche le generazioni nate dopo il suo crollo, ostacolando lo sviluppo di un dibattito pubblico aperto e la costruzione di una democrazia?
Senz’altro. Se si guarda a chi ha ereditato il potere nelle repubbliche post-sovietiche, si nota che quasi sempre è stato trasmesso a ex comunisti: El’cin in Russia, Nazarbayev in Kazakhstan, e così via. Questi leader sono stati educati e formati nell’Unione Sovietica, è ovvio quindi che abbiano ereditato le strategie politiche, le manovre e gli strumenti tipici di quel sistema.
La presenza di cittadini russi in Kazakhstan (Wikipedia)
Oltre a ciò, anni di repressione politica hanno sviluppato nelle nostre popolazioni un senso di passività e una sorta di infantilizzazione politica molto difficile da superare. Inoltre, il modo in cui il potere è ancora oggi estremamente centralizzato nella maggior parte di questi paesi aggrava la situazione. Le persone sentono di non avere alcuna voce in capitolo, soprattutto al di fuori della capitale. I governi locali sono spesso solo decorativi, privi di vera autorità. Per questo motivo, molti non vedono nemmeno il senso di partecipare: perché impegnarsi, se tanto non cambia nulla?
Anche le nuove generazioni, cresciute dopo il 1991, ne subiscono ancora le conseguenze, poiché mancano di modelli alternativi radicati nella cultura politica quotidiana.
Da membro della comunità russa in Kazakhstan cosa pensi dell’impatto dell’invasione dell’Ucraina nel paese e specialmente sulla minoranza russa?
Ho potuto osservare sia la percezione del popolo kazako sia quella del governo riguardo alla guerra in questi tre anni, e quello che posso dire è che, mentre il governo mantiene un certo livello di neutralità (anche se il presidente, Qasym-Žomart Tokaev, ha dichiarato qualche anno fa che non riconoscerà le repubbliche popolari di Donec’k e Luhans’k), una neutralità che può essere considerata indispensabile per la sicurezza del paese, la popolazione, fin dai primissimi giorni del conflitto, ha sostenuto in modo inequivocabile l’Ucraina.
Ho visto volontari kazaki di tutte le etnie affollare l’ambasciata e i consolati ucraini per donare aiuti umanitari e offrire il proprio aiuto in qualsiasi modo possibile, un gesto che trovo molto ispirante ma, allo stesso tempo, frustrante, perché non si traduce in politiche governative a causa della natura autoritaria del regime.
Inoltre, direi che i cittadini del Kazakhstan di etnia kazaka sono generalmente più apertamente solidali con gli ucraini rispetto alla parte della popolazione di lingua russa, ma non esistono statistiche ufficiali su questo punto: è solo una mia percezione.
* Simona Toci è laureanda in relazioni internazionali e specializzata in sicurezza internazionale. Appassionata di Balcani e spazio post sovietico, attualmente svolge ricerca sui rapporti tra Kosovo, Serbia e Bosnia.