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Rom e sinti: marginalizzazione, slur e abusi quotidiani

di Valentina di Balkanpeople*

Parlare della Giornata internazionale dei rom e dei sinti in Italia è fondamentale, ed esiste più di una motivazione. Non solo perché è giusto parlare dell’esistenza di una delle due etnie più discriminate all’interno dell’Unione Europea (insieme alle persone nere), ma anche perché in Italia siamo ancora lontani dal trattare rom e sinti come esseri umani. L’Italia, secondo il Centro europeo per i Diritti dei Rom (ERRC), è uno dei paesi più sfavorevoli.

L’odio razziale nei loro confronti tocca vari livelli. Innanzitutto, a livello nazionale, i sinti sono presenti almeno dal 1600 e sono sempre stati marginalizzati o resi invisibili attraverso una sorta di assimilazione forzata. Con l’ondata di arrivi dai Balcani durante gli anni Novanta, è stata utilizzata una vera e propria politica di segregazione e apartheid da parte delle istituzioni. La creazione di apposite aree abitative, chiamate “campi rom”, ne sono un esempio. Nel nostro Paese circa 17.500 persone (un decimo del totale) vivono nei campi, fortemente esclusi dal resto della popolazione, spesso in condizioni igieniche pessime. Un notevole numero di rom sedentari, abitanti di appartamenti o case – provenienti dai Balcani – si è ritrovato in una situazione sconosciuta, relegati nei campi per la prima volta in vita loro.

La scusa politica principale è stata quella di dare una soluzione ai popoli nomadi. I popoli rom e sinti, è importante specificarlo, non sono popoli nomadi per cultura. Fin dai tempi delle persecuzioni in India e alcuni territori dell’attuale Pakistan (da dove provengono originariamente), sono stati costretti a muoversi in svariate parti del mondo, cercando luoghi più sicuri dove fermarsi. Ricordiamo che, una volta arrivati in Romania, per loro è iniziato un periodo lungo cinque secoli di schiavitù. Il destino di questi popoli sembra esser stato esattamente lo stesso per centinaia di anni: una fuga dal resto del mondo ma mai da se stessi. Culturalmente, infatti, sono molto fieri. Anche se l’ostilità generale, trasversale, porta a nascondersi e sembra quasi che si tenda a cancellare e ripudiare l’etnia, nel profondo c’è un grosso amore per essa, per la propria comunità e per le proprie usanze.

Tornando al livello istituzionale, oggi è dalla politica che pare nascere il disprezzo, che si traduce in negazione di diritti come quelli sanitari e sociali, anche con convegni politici dove discorsi anti-rom vengono gridati a voce alta, campagne vere e proprie per accaparrarsi i voti, ma scendendo a pioggia su altri gradi, si traduce in profilazione razziale, sgomberi violenti e illegali da campi e appartamenti, impossibilità nel trovare un impiego in regola. Infine, quando l’ostilità e il razzismo sono normalizzati ai piani alti, la popolazione ne è l’esatto riflesso. Così avvengono gli insulti per strada, i messaggi d’odio online, il bullismo a scuola e le minacce al supermercato o sui mezzi pubblici.

Campo rom e sinti di Giugliano (Napoli)
Campo rom di Giugliano (Napoli)

Perché parliamo di “odio trasversale?”

L’odio razziale nei confronti di rom e sinti non è riconducibile a un prototipo di persona votante di un partito di destra o di sinistra, difatti sembra essere il comune denominatore della maggior parte degli italiani di qualsiasi credo politico e background. Solo il 6,7% degli italiani gagi (non rom) dichiara di non avere ostilità nei confronti di questi gruppi. Persino nelle altre comunità marginalizzate spesso esiste un risentimento su base etnica e il pregiudizio sembra persistere nonostante le molteplici difficoltà e sofferenze condivise.

La base di questa diffidenza estrema nei confronti di intere etnie è riconducibile a un’ignoranza di base. Basti pensare alla confusione sulla provenienza di questi popoli e sul fatto che, se non in rarissimi casi, non vengano citati in nessun percorso scolastico nella scuola dell’obbligo.

La tolleranza come parte del riconoscimento

Tutt’oggi dunque le popolazioni romanì rimangono escluse dalla narrazione dei fatti storici e culturali. L’Italia è uno di quei paesi europei che ancora non ne riconosce il genocidio nazista (Samudaripen o Porrajmos, commemorato il 2 agosto di ogni anno) e che non riconosce la lingua romanes (o romaní). Quest’ultima rimane un gran strumento di resistenza, parlato dalle famiglie che con orgoglio sono riuscite a tramandare. Per questione di sopravvivenza, di necessità di protezione o di vergogna, molti sono ancora quelli che non la parlano. Ancora peggio, molti sono coloro che omettono la loro etnia cercando di mimetizzarsi nella società “dominante” per provare a vivere una vita più serena, per trovare un lavoro dignitoso o per sopravvivere al bullismo a scuola.

Il mimetismo sociale è un atto di protezione, e nessun individuo ha l’obbligo morale o di altra natura di fare il cosiddetto coming out etnico. Tuttavia, sarebbe fondamentale “uscire” allo scoperto e mostrare che il popolo rom e sinti non è un’accozzaglia di gente ammassata in mezzo alla spazzatura e che nella vita ruba di professione. Per questo sempre più realtà che lavorano sulla sensibilizzazione di questo tema invitano le persone facenti parte di queste etnie ad abbracciarsi con orgoglio, perdonarsi per aver pensato di non valere nulla, e mostrare al mondo la propria esistenza e la richiesta di riconoscimento.

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Gli slur e gli abusi quotidiani

La parola z*ngaro” è uno slur. Etimologicamente potrà non significare schiavo, ma il significato semantico acquisito durante i secoli di schiavitù in Romania e altrove ha condotto il termine stesso a tale significato. Sostenere che sono le stesse comunità romaní a utilizzare lo slur non giustifica le persone gage (non romaní) al suo utilizzo (vale lo stesso per la parola g*psy o le altre traduzioni). Le persone romaní scelgono in autonomia di rivendicare il termine o meno, nessun altro è legittimato a utilizzarlo, neppure altre persone di differenti comunità razzializzate e marginalizzate.

Partire dalle basi del modo con cui le persone si rivolgono ad altre, è il minimo indispensabile e mai abbastanza per cercare di riparare all’odio e alle persecuzioni di cui sono vittime rom e sinti. Gli abusi quotidiani che questi vivono giornalmente, se riconosciuti come tali, sono altamente deumanizzanti e denigranti. Ogni giorno una persona rom può essere verbalmente attaccata in luoghi pubblici o privati da parte di persone comuni che si trovano casualmente nello stesso luogo, oppure subire profilazione razziale da parte delle forza dell’ordine. L’Errc negli ultimi anni ha iniziato a condurre delle indagini sulla brutalità della polizia nei confronti delle persone rom e sinti, e con l’ascesa di partiti politici sempre più intolleranti, in cui la propria agenda sembra far leva sull’odio razziale, la situazione italiana sembra essere sempre più grave.

Un grande passo può quindi essere, da parte di ogni individuo, cominciare a utilizzare termini non escludenti e razzisti, per arrivare a una consapevolezza sempre più orizzontale nelle comunità, che favorirebbe un sentimento di inclusione nell’opinione pubblica e porterebbe gli elettori a domandare narrazioni e prese di posizioni differenti da come è stato finora. Possiamo sostenere che sfera istituzionale e non si alimentano e condizionano a vicenda.

La Giornata internazionale

L’8 aprile del 2021 si celebra la ricorrenza della Giornata internazionale dei rom e dei sinti, istituita in ricordo dell’8 aprile del 1971, quando a Londra si riunì il primo Congresso Internazionale delle popolazioni e si costituì la Romaní Union, la prima associazione internazionale riconosciuta dall’Onu nel 1979.

In occasione di questo momento storico e decisivo, è nato anche l’inno del popolo rom, Gelem Gelem, scritto da Žarko Jovanović nel 1949.

Per celebrare questa giornata ne riportiamo il testo

Gelem, gelem, lungone dromensa
Maladilem bakhtale Romensa
A Romale katar tumen aven,
E tsarensa bahktale dromensa?
Sono andato, sono andato per lunghe strade
Ho incontrato rom felici
Oh rom, da dove vieni
con le tende su queste strade felici?
A Romale, A ChavaleOh rom, oh fratello rom
Vi man sas ek bari familiya,
Murdadas la e kali legiya
Aven mansa sa lumniake Roma,
Kai putaile e romane droma
Ake vriama, usti Rom akana,
Men khutasa misto kai kerasa
Una volta avevo una grande famiglia
La Legione Nera li ha uccisi
Venite con me rom di tutto il mondo
Per i rom si sono aperte strade
È il momento, alzatevi ora
Saliremo alti se agiamo
A Romale, A ChavaleOh rom, oh fratello rom

Ci auguriamo che la progressiva presenza di informazione su questo popolo sia l’inizio di una grossa consapevolezza individuale e collettiva, a beneficio di tutti.

Opre Roma!


* Fondatrice di Balkan People in Italy, si occupa di sensibilizzare su temi che riguardano la diaspora balcanica.

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Redazione
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