Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:
IBAN IT73P0548412500CC0561000940
Banca Civibank
Intestato a Meridiano 13
Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.
La spedizione bosniaca a Barcellona 1992 (autobiografia dell'atleta, p. 331)
Ai Giochi olimpici di Barcellona 1992 parteciparono per la prima volta alcune nazioni nate dalla dissoluzione del blocco socialista. I paesi nati dal crollo dell’Unione sovietica decisero di partecipare assieme, con la cosiddetta “Squadra unificata”, alla quale però non presero parte le repubbliche baltiche, che gareggiarono singolarmente. Per l’Estonia e la Lettonia fu la prima presenza a una manifestazione iridata, mentre la Lituania aveva già partecipato nel 1928.
La situazione jugoslava fu più complessa. La nazione che portava il nome del dissolto stato e che era composta ormai soltanto da Serbia e Montenegro non poteva partecipare in quanto oggetto delle sanzioni Onu. Il Comitato olimpico internazionale, inoltre, riconobbe la federazione macedone solo nel 1993. Presero parte ai Giochi, invece, Slovenia, Croazia e Bosnia ed Erzegovina.
Questa è la storia del primo portabandiera della Bosnia che guidò la delegazione dei dieci atleti durante la cerimonia di apertura, tenendo più in alto che poteva il vessillo della sua nazione: Zlatan Saračević.
L’incontro con Zlatan Saračević
L’atleta era nato a Zenica nel 1956 (con il peso sorprendente di sette chili e cento grammi), ma all’età di sei anni si era trasferito a Tuzla. Come previsto dalla tradizione educativa jugoslava, aveva praticato diversi sport da ragazzo, fra cui il basket, dove aveva conosciuto uno dei più grandi cestisti della storia jugoslava (e non solo), Mirza Delibašić, che sarebbe rimasto suo amico per tutta la vita. Un giorno poi un allenatore illuminato gli aveva proposto di provare con il getto del peso, scoprendo così la sua vera vocazione.
Abbiamo incontrato Saračević nella Casa dello sport (Kuća Sporta) di Tuzla. È uno spazio particolare, una specie di museo che raccoglie tutte le storie dei protagonisti sportivi della città che hanno militato nel club Sloboda. C’è la sezione dedicata al calcio, quella che racconta le gesta del basket cittadino, ma anche gli altri sport hanno il loro spazio. Al centro di una delle sale c’è una colonna. Su questa è appeso il calco di una mano.
Zlatan Saračević durante l’intervista. A sinistra il Professor Biberović e a destra l’interprete Eldar Osmić (Meridiano 13)
Faccio il confronto con la mia, che non è piccola, ma non c’è paragone. Mi mancano almeno tre o quattro centimetri per riempire lo spazio mancante. Poi Saračević mi offre di riprovare il confronto con la sua mano in carne ed ossa. Il risultato è impietoso: non solo per la lunghezza, ma anche per la larghezza sembra provenire da un altro pianeta. Sono di fronte a un gigante.
L’atleta va per i settanta. Ha una stampella che lo aiuta a sostenersi quando cammina. I capelli, un tempo completamente biondi, oggi si sono un po’ imbiancati, ma gli occhi azzurri sono gli stessi delle foto che ho visto prima di incontrarlo. Ha una voce profonda e parla lentamente, ma quando risponde alle domande è come se si accendesse, insieme ai ricordi. Eldar Osmić, interprete e grande appassionato di basket (con un ottimo passato da giocatore), traduce dal serbo-croato.
La spedizione olimpica
Il comitato bosniaco cercò i migliori atleti che potessero portare in alto il nome della neonata nazione a Barcellona. Era il 1992 e la situazione nel paese era già molto critica. La guerra era passata dalla Slovenia, era in corso in Croazia e anche a Sarajevo e dintorni gli scontri erano all’ordine del giorno. Alla fine vennero individuati dieci atleti: il lanciatore del disco Dragan Mustapić, le corridore Kada Delić e Mirsada Burić, il canoista Aleksandar Đurić, il judoka Vlado Paradžik, la sparatrice Mirjana Horvat, i nuotatori Janko Gojković e Anja Margetić, l’alzatore di pesi Mehmed Skender e naturalmente il lanciatore del peso Zlatan Saračević.
Il viaggio fu complicato, come sempre a quel tempo. Dopo aver ricevuto l’autorizzazione della federazione croata, per potersi allenare a Spalato, gli atleti e le atlete partirono in direzione del mare Adriatico.
Dalla Bosnia andammo in Dalmazia, dove provammo a recuperare la forma, e da lì a Lubiana. Poi a Barcellona. Viaggiamo in aereo con gli sloveni, grazie all’interessamento della loro federazione.
La questione fondamentale però, una volta arrivati in terra iberica, era la partecipazione o meno come nazione. Trattandosi di un paese in guerra non era chiaro (né scontato) se il comitato olimpico avrebbe permesso di partecipare agli atleti sotto la bandiera bosniaca o come indipendenti.
Due giorni prima della cerimonia di apertura, il comitato ci fece sapere che ci avrebbe permesso di sfilare sotto la nostra bandiera.
La federazione bosniaca era nata a Sarajevo il 4 giugno 1992, ma fu riconosciuta ufficialmente dal Cio solo il 23 luglio.
La fornitura della Tessitura Panzeri
Il gruppo di atleti provenienti da Sarajevo ricevette il supporto di un’azienda italiana per quanto riguardava l’abbigliamento sportivo. “L’equipaggiamento venne fatto per noi dalla Panzeri, che ci dette tutto il necessario sia per le gare, sia per gli allenamenti, sia per gli appuntamenti ufficiali”. Scopriamo con sorpresa che dei nostri connazionali si fecero carico di un aspetto così importante. Il riferimento è alla “Tessitura Panzeri Luigi”, una azienda di Monguzzo in provincia di Como, nata nel 1962 come produttrice di tessuti per foulard. Il fondatore era un grande appassionato di sport e con il raso di “seta artificiale” (raion viscosa) iniziò anche la produzione di abbigliamento sportivo.
Arrivarono le prime commesse, una grande società milanese e poi un’altra lombarda. Fu così che accanto alla tessitura nacque anche un reparto maglieria, che si sarebbe allargato piano piano, raggiungendo anche il basket. Con uno stile più “italiano” e meno “americano”, i comaschi entrarono anche in questo nuovo sport, portando eleganza e stile. Ma perché un’azienda italiana prese a cuore la squadra olimpica bosniaca?
Per scoprire questo retroscena ci basiamo su una lettera che ci ha fatto gentilmente avere la Panzeri, datata 21 giugno 1993, in vista dei Giochi del Mediterraneo di Montpellier.
La collaborazione fra la Bosnia Erzegovina e Panzeri è iniziata dieci anni fa. Il primo contatto fu con Edo Zivalj, manager della squadra di pallavolo “Bosna” di Sarajevo, il quale apprezzava la qualità ed il servizio offerti dalla “Tessitura Panzeri” era solito recarsi ogni anno a Monguzzo per rifare completamente l’abbigliamento della squadra.
La tragica situazione attuale in Bosnia Erzegovina non ha interrotto ma ampliato la relazione con Panzeri il quale partendo dai Giochi Olimpici di Barcellona praticamente veste tutto lo sport della Bosnia Erzegovina.
Naturalmente nessuna pratica sportiva è possibile nella devastata Sarajevo. La Bosnia Erzegovina partecipa alle manifestazioni internazionali e con il suo giglio d’oro ricorda a tutto il mondo la propria esistenza e la feroce guerra che la sta devastando. […]
Inizialmente, secondo gli accordi, il signor Živalj si sarebbe dovuto recare direttamente in Italia per prendere tutto il materiale, come faceva di solito. Tuttavia, con una lettera Izudin Filipović, segretario generale del comitato bosniaco, chiese gentilmente alla Panzeri un ultimo sforzo. Le strade bloccate non rendevano possibile facili spostamenti, così si chiedeva all’azienda italiana di inviare il materiale direttamente a Spalato, sede degli allenamenti preparatori della squadra bosniaca.
Per gentile concessione della Tessitura PanzeriPer gentile concessione della Tessitura Panzeri
Dalle foto disponibili colpisce in particolare la tuta che venne usata durante la cerimonia di apertura: un pantalone azzurro, con un pezzo superiore bianco, con le maniche azzurre. Nella parte dell’avambraccio il tessuto è percorso da una trama di piccoli gigli dorati. A destra, all’altezza del cuore il simbolo nazionale, con uno scudo azzurro con gli stessi fiori e sulla sinistra la scritta “BiH”. Sulle spalle: “Olympic Team of Bosnia and Herzegovina”.
La scelta del portabandiera della Bosnia ed Erzegovina
La cerimonia di apertura si tenne allo stadio olimpico della città catalana, dove l’arciere paralimpico Antonio Rebollo accese il braciere con una freccia infuocata. Dopo la cerimonia di accensione a Olimpia e una staffetta in Grecia, la fiamma era giunta ad Atene, per poi dirigersi verso la Catalogna il 9 giugno. Il 13, era sbarcata in terra iberica, a Empúries, ex colonia greca fondata nel 600 aC. Dopodiché aveva attraversato il resto della Spagna, toccando le capitali delle diciassette comunità autonome, comprese le Canarie e le Baleari, tornando infine a Barcellona. La cerimonia ufficiale prese il via il 25 luglio, giorno di San Giacomo, santo patrono della Spagna.
Quando la delegazione arrivò allo stadio alzando la testa per vedere là dove si trovavano tutte le bandiere, si accorsero che quella della Bosnia era diversa. Era solo disegnata, perché il comitato non aveva avuto tempo di reperirne una fra il momento in cui la Bosnia era stata accettata e il l’inaugurazione dei Giochi. Per fortuna la delegazione era arrivata con quattro o cinque bandiere e quella sbagliata venne subito rimpiazzata.
Ovviamente non stiamo parlando della bandiera che oggi siamo abituati ad associare alla nazione balcanica, ma la prima post-jugoslava, che rimase in vigore dal 1992 al 1998, che veniva ufficialmente descritta con queste parole: lo stemma della Bosnia-Erzegovina è blu e ha la forma di uno scudo con un’estremità appuntita, percorso da una banda bianca che lo divide diagonalmente, ai due lati della banda si trovano tre gigli dorati per lato.
Poco prima di scendere in pista e sfilare insieme a tutti gli altri atleti, la delegazione bosniaca si riunì e decise che Zlatan Saračević sarebbe stato il portabandiera. Allo stadio c’erano circa 120mila persone, mentre davanti alla tv si stima ci fossero almeno tre milioni di spettatori. “Per la Bosnia era speciale”, ci racconta Saračević non senza un filo di emozione. “Quando entrai nello stadio tenni la bandiera più in alto che potevo. Ero la persona più felice del mondo”.
Saračević durante la cerimonia di apertura di Barcellona 1992 (autobiografia, p. 327)
L’altoparlante dello stadio chiamava uno dopo l’altro i paesi partecipanti (per vedere l’ingresso di Saračević e compagni andare a: 1 ora 7 minuti 14 secondi). “Bolivia” e la delegazione dell’America Latina entrò con un completo piuttosto elegante con pantaloni scuri e giacca chiara, che tuttavia manteneva dei richiami tradizionali come il tipico cappello con il tricolore. Il portabandiera teneva il proprio vessillo appoggiato al petto in modo da trasportarlo senza fatica.
Poi la voce annunciò: “Bosnia ed Erzegovina” e lo stadio che stava già applaudendo quasi esplose a sostegno della piccola delegazione. Saračević, a differenza del suo predecessore boliviano, impugnava la bandiera bianca con lo scudo giallo e blu come se non avesse peso, il braccio sinistro completamente disteso. Lo sguardo era serio e sicuro. Gli atleti e le atlete, che lo seguivano insieme ai tecnici, sventolavano un cartellino con la bandiera bosniaca. Erano in tutto diciassette.
Per tutti loro è un momento estremamente importante. Nelle loro teste e nei loro cuori si alternano emozioni forti e contrastanti. Si tratta di un’Olimpiade, quindi dal punto di vista sportivo è un appuntamento importantissimo, ma nessuno può scordarsi la situazione a casa. Compiono un giro della pista e vanno a posizionarsi nello spazio a loro riservato.
Facemmo tutto come dovevamo e fu un grande successo, perché a causa di tutti i problemi che avevamo non c’era stato il tempo per preparare niente.
Dal punto di vista puramente sportivo non furono Giochi vincenti. “A quel tempo in Bosnia non c’era cibo e non avevamo la possibilità di allenarci” e i dieci giorni a Spalato non potevano essere sufficienti. Di fronte a tutto questo, la sola presenza della delegazione bosniaca fu un successo, in perfetto spirito olimpico. Saračević, nel suo libro Sportska životna priča Zlatka Saračevića, sportiste stoljeća Grada Tuzle (“La storia sportiva di Zlatko Saračević, l’atleta del secolo della città di Tuzla”), si rammarica però dell’occasione persa. I suoi avversari erano alla portata e, magari, averli incontrati in un altro momento di forma avrebbe potuto significare anche arrivare a medaglia.
Inoltre Saračević e il lanciatore del disco Mustapić ricevettero un’offerta dagli Stati Uniti. Potevano recarsi oltreoceano e allenarsi in tranquillità, in un ambiente pensato appositamente per lo sport e molto all’avanguardia. Avrebbero potuto preparare i successivi appuntamenti, comprese le Olimpiadi del 1996 ad Atlanta. Nessuno dei due accettò. Vollero entrambi tornare in Bosnia.
Ma chi è stato Zlatan Saračević come atleta
Non bisogna però appiattire la figura di Zlatan Saračević soltanto come primo portabandiera della Bosnia ed Erzegovina. La storia atletica di quest’uomo è stata vincente e ricca di trionfi e traguardi. Dice lui stesso: “Come sportivo ho vinto più di duecento medaglie, nel getto del peso, del disco e nel sollevamento pesi”.
Un esempio: fu campione europeo indoor nel 1980 a Sindelfingen in Germania, con la misura di 20,43 metri. L’anno dopo a Grenoble arrivò terzo. Nel 1983 si classificò secondo alle Universiadi di Edmonton in Canada. Il suo record personale, fatto registrare a Zagabria, è di 21,11 metri. Questa distanza a Barcellona avrebbe significato la medaglia d’argento.
Muhamed Latrifagić e Saračević (autobiografia, p. 118)Zlatan Saračević (autobiografia, p. 116)
Mentre l’intervista andava verso la sua conclusione, Saračević ha voluto aggiungere un ultimo fatto. Successivamente, è stato eletto “Atleta del secolo della città di Tuzla”, ma durante l’attività sportiva non è mai stato premiato come atleta dell’anno, neanche al massimo delle sue gesta, neanche dopo Barcellona. Anche dopo il ritiro agonistico, per lui non c’è stato spazio nel mondo sportivo cittadino. Ormai sono passati tanti anni e nella sua voce non sembra esserci né rabbia, né rancore, solo una velata delusione per come sono andate le cose dell’uomo che portò Tuzla alle Olimpiadi di Barcellona.
Le spese di viaggio per questo articolo sono state coperte anche da chi ha scelto di sostenere Meridiano 13 APS. Nei prossimi mesi, pianifichiamo di raccontare sul posto altri eventi e altre storie che arrivano dalle regioni da noi seguiti. Per aiutarci, sostieni il nostro progetto (questo è il link con le informazioni per donare). Qualsiasi contributo sarà ben accetto!
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club" (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.