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Piana degli Albanesi: cuore arbëresh di Sicilia

Incastonato tra le montagne che circondano Palermo, a circa 25 chilometri dal capoluogo siciliano, è situato il più importante comune di origine arbëreshe della Sicilia: Piana degli Albanesi, Hora e Arbëreshëvet (Città degli albanesi) nella lingua arbëreshe, Chiana nel dialetto palermitano.

Nato alla fine del Quattrocento, con l’arrivo in Italia di comunità albanesi in fuga dalla madrepatria dopo l’avanzata ottomana nella regione, il comune è stato a lungo conosciuto come Piana dei Greci, visto l’utilizzo del rito greco nelle cerimonie religiose. Il nome attuale risale all’agosto 1941 grazie a un decreto regio di Vittorio Emanuele III, Re d’Italia e d’Albania, che visitò la cittadina nell’autunno dello stesso anno.

Nel circondario, Piana degli Albanesi è particolarmente apprezzata per diversi motivi: dal forte legame con l’Albania alla particolare lingua (l’arbëreshe) che tutti i cittadini sono in grado di parlare, dalle bellezze naturalistiche alle prelibatezze culinarie che rendono il piccolo paesino uno dei luoghi più suggestivi della provincia.

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Il territorio

Man mano che da Palermo ci si avvicina al centro abitato, la strada comincia a riempirsi di ginestre che nel periodo primaverile contribuiscono a dare colore al paesaggio, mentre le quattro montagne che lo circondano, e che superano anche i 1200 metri di altezza (Pizzuta, Kumeta, Maganoce, Xëravulli), rendono il clima un po’ più mite d’estate, rispetto all’asfissiante calura del capoluogo, e un po’ più rigido in inverno, con non rari periodi di neve.

Scendendo a valle si arriva poi al lago artificiale, creato tra il 1920 e il 1923, che rappresenta ancora oggi un’importante oasi naturalistica, nonostante le difficoltà legate alla siccità degli ultimi anni, e una delle mete preferite per una gita fuori porta.

Vista del lago di Piana degli Albanesi (Daniela Bonfardeci)

La storia di Piana degli Albanesi

L’arrivo delle prime comunità albanesi avvenne intorno al 1485 in seguito alla riconquista ottomana dell’Albania, nei decenni precedenti liberata grazie alle campagne militari del condottiero ed eroe nazionale albanese Gjergj Kastrioti Skënderbeu, noto in Italia come Giorgio Castriota Skanderbeg.

Accolti dall’Arcidiocesi di Monreale, desiderosa di ripopolare alcune aree interne quasi completamente disabitate, ex combattenti e semplici cittadini albanesi in fuga dalla guerra trovarono tra le montagne palermitane il luogo perfetto dove stabilirsi, lontani da possibili rappresaglie turche. La comunità, più isolata rispetto a Palermo, conservò gelosamente la propria identità culturale e organizzazione sociale basata sul ruolo esercitato dalle famiglie e su una sorta di autogoverno che riconosceva l’accesso alle cariche pubbliche solo ai membri della comunità.

Statua dell’eroe albanese Gjergj Kastrioti Skënderbeu (Giorgio Castriota Skanderbeg) con dietro le bandiere dell’Albania e del Kosovo, inaugurata il 2 settembre 2024 (Daniela Bonfardeci)

Nei secoli, la strenua difesa delle proprie origini non impedì comunque agli abitanti di Piana di contribuire, anche in modo significativo, agli eventi storici che coinvolsero la Sicilia e tutta la penisola. Durante le lotte risorgimentali, il paese si schierò in maniera decisa in favore dell’Unità d’Italia preparando, anche militarmente, l’arrivo dei garibaldini diretti a Palermo.

Nei decenni successivi, l’impegno politico della comunità di Piana si rivelò tra i più importanti, in un periodo storico particolarmente agitato per l’isola. I suoi abitanti parteciparono in maniera attiva al movimento di ispirazione socialista dei Fasci Siciliani dei Lavoratori, costituendone il più importante nucleo sia in termini numerici (oltre duemila membri) sia in termini ideologici grazie anche alla figura di Nicola Barbato, medico di Piana tra i fondatori del movimento.

Poco prima, il legame con l’Albania era stato rinsaldato grazie al sostegno politico alla lotta di indipendenza del paese con la fondazione della Società Nazionale Albanese e l’organizzazione del terzo Congresso linguistico d’ortografia albanese che contribuì alla ridefinizione dell’alfabeto albanese. Un impegno riconosciuto anche dalla visita del primo ministro Ismail Qemali Vlora subito dopo la proclamazione dell’indipendenza avvenuta nel 1912.

La visita di Mussolini

Con l’avvento del fascismo, l’Italia cominciò a guardare con sempre più interesse all’Albania, già protettorato italiano tra le due guerre.

Nel 1924, lo stesso Benito Mussolini si recò in visita a Piana degli Albanesi. Qui accadde però qualcosa che segnò non poco la politica fascista. Al suo arrivo, il Duce venne accolto dall’allora sindaco Francesco Cuccia, conosciuto come Don Ciccio. Un soprannome che, non a caso, rimanda al linguaggio mafioso. Don Ciccio era infatti un noto boss malavitoso, in prima linea nella repressione violenta delle lotte contadine di ispirazione socialista che animavano la zona e vero e proprio braccio armato dei grandi proprietari terrieri. Leggenda vuole che durante l’incontro con Mussolini, stupito dalla numerosa scorta al seguito Cuccia, abbia in qualche modo fatto capire al Duce che la sua sola presenza bastasse a garantirne la sicurezza.

Tradotto: lo Stato fascista a Piana degli Albanesi non era necessario, perché a comandare e controllare il territorio c’erano già i mafiosi.

L’evento spinse il Duce ad avviare, di lì a qualche mese, una dura lotta contro la manovalanza mafiosa, non però verso i suoi sostenitori e finanziatori rappresentati dai nobili e dai signori feudali. Lo stesso Cuccia venne arrestato nel 1928 e condannato a 11 anni di carcere per associazione a delinquere.

Nel 1941, quando l’Albania era già stata occupata dalle truppe fasciste, un decreto regio cambiò definitivamente il nome della cittadina da Piana dei Greci a Piana degli Albanesi con tanto di visita ufficiale, pochi mesi dopo, del Re Vittorio Emanuele III in persona.

La Repubblica Popolare

I mesi che seguirono la caduta del fascismo furono particolarmente caotici anche per Piana degli Albanesi e i suoi abitanti. I problemi principali cui dovevano far fronte erano sostanzialmente due: la chiamata alle armi per sostenere l’avanzata alleata e la mancanza di grano causata dai furti dei proprietari terrieri.

La popolazione, già stremata da vent’anni di dittatura, era ormai stanca di patire la fame e di morire sotto le armi. Si diffusero così in tutta la Sicilia rivolte capeggiate dai comunisti o, in qualche caso, da gruppi separatisti. A Piana, dove i comunisti potevano contare su un forte sostegno popolare, a guidare la rivolta fu Giacomo Petrotta che durante un comizio dichiarò:

Noi siamo a Piana, noi abbiamo una tradizione etica di razza, di lingua e di rito, diversa dagli altri, noi in questa confusione non dobbiamo entrarci; la cosa più opportuna è quella di fare giustizia dei nemici che ancora abbiamo dentro, perché ancora ci sono a Piana fascisti che hanno voluto la guerra, e si sono imboscati.
Dobbiamo essere sempre la carne da cannone? No! Basta con questa situazione, piuttosto dobbiamo aiutare i giovani che rientrano sanguinanti e scalzi, molte famiglie giovani che muoiono come ieri sera Tufani

Una storia nostra: la Repubblica popolare di Piana degli Albanesi, Tommaso Mandalà

Riuniti nel Circolo dell’organizzazione della gioventù e stanchi dell’ennesimo furto di grano dagli ammassi ad opera di squadre mafiose, il 31 dicembre 1944 un gruppo di cittadini guidato da Petrotta proclamò la Repubblica Popolare di Piana degli Albanesi. Nel municipio venne issata oltre alla bandiera italiana anche quella albanese.

Appena cinquanta giorni dopo però, nella notte tra il 19 e il 20 febbraio, trecento carabinieri provenienti da Palermo assediarono il paese, arrestarono Petrotta e altri solidali e posero fine alla Repubblica.

La strage di Portella della Ginestra

Nonostante la repressione, le lotte contadine per una più equa distribuzione della terra e per la fine del latifondo continuarono anche negli anni successivi.

La lotta di classe in Sicilia e nelle campagne di Piana sembrava aver raggiunto il picco. Da un lato i contadini, sostenuti da comunisti e socialisti, dall’altro i soliti latifondisti e i mafiosi. Il 1° maggio 1947 a Portella della Ginestra, proprio alle porte del paese, durante i festeggiamenti per la vittoria del Blocco del Popolo alle elezioni, un gruppo di banditi guidati da Salvatore Giuliano aprì il fuoco contro i contadini, provocando 11 morti e oltre 20 feriti. Si trattò della prima strage di natura politica dell’Italia post-fascista con evidenti ricadute sulle lotte sociali sull’isola. Un evento rappresentato anche in un famoso dipinto del pittore Renato Guttuso.

Ancora oggi, ogni 1° maggio, una manifestazione ricorda le vittime di quella strage mafiosa.

Memoriale di Portella della Ginestra (Wikipedia)

Cultura arbëreshe, religione ed arte

Piana non è però solo custode di una lunga e complessa storia politica. La cittadina è stata infatti da sempre un luogo di grande tradizione culturale e religiosa. Qui, nel 1592, un sacerdote di rito greco, Papàs Luca Matranga, pubblicò in lingua albanese il “Catechismo Cristiano” (E Mbsuame e Krështerë), considerato il secondo libro più antico in lingua albanese. La lingua arbëreshe, variante dell’albanese, non è soltanto un lingua del passato. Ancora oggi è parlato da tutti i cittadini al bar, in famiglia e in ogni occasione di incontro. I cartelli stradali riportano la doppia denominazione, in italiano e in arbëreshe. Il bilinguismo è a tutti gli effetti la normalità.

Più di trecento anni dopo il Catechismo Cristiano, nel 1937 Papa Pio XI istituì l’Eparchia, sede della Chiesa cattolica di rito bizantino che però utilizza, oltre al greco antico, anche l’albanese. La sua biblioteca contiene oltre 10mila volumi, alcuni dei quali del XVI secolo. Così come la biblioteca comunale “Giuseppe Schirò” che con i suoi 30mila volumi rappresenta la più importante fonte di conservazione e documentazione della cultura arbëreshe.

Antichissima la chiesa di San Giorgio Megalomartire, risalente al 1495. Una volta entrati, l’attenzione viene immediatamente catturata da una nicchia al cui interno è conservato un simulacro di San Giorgio nell’atto di trafiggere il drago con la sua spada. Poche centinaia di metri più giù, la cattedrale di San Demetrio rappresenta la metafora di Piana degli Albanesi: una perfetta fusione tra lo stile occidentale, rappresentata dagli affreschi, e quello orientale, con l’iconostasi che separa lo spazio riservato ai fedeli da quello destinato al clero.

Statua di San Giorgio nell’omonima chiesa (Meridiano13/Marco Siragusa)

Più recentemente, il paese si è arricchito di altre forme di arte. Diversi artisti di fama internazionale hanno infatti realizzato una serie di murales dando vita al museo a cielo aperto che prende il nome di Sheshi Urban Art, dal primo insediamento urbano di Piana. Tra le opere è possibile vedere bukurìa arbëreshe di Angelo Crazyone, omaggio ai costumi tradizionali, un meraviglioso ritratto di San Giorgio firmato dall’artista Igor Scalisi Palminteri o ancora l’opera di Mauro Patta “Pensieri” che ritrae una donna in abiti tradizionali.

Pensieri, Mauro Patta (Daniela Bonfardeci)
Le radici del futuro, Giulio Rosk (Meridiano13/Marco Siragusa)
Skanderbeg, Andrea Buglisi (Meridiano13/Marco Siragusa)

Il cannolo di Piana

Tra storia, cultura ed arte, non poteva certo mancare il cibo. Se il cannolo di Palermo è forse il simbolo della cucina dolciaria siciliana, quello di Piana degli Albanesi è un vero e proprio capolavoro. Intanto per la sua grandezza, ben superiore a quelli tradizionali, e poi per la sua freschezza.

Il cannolo di Piana viene infatti farcito al momento per mantenere intatta la croccantezza della scorza e la ricotta, di pecora e montata a mano, non viene zuccherata troppo, così da conservare il sapore originario.

Il calcio

Tra le mille vicende che hanno fatto la storia di Piana degli Albanesi non potevano certo mancare quelle legate al calcio. Pur non vantando una grande tradizione, l’ultimo decennio è stato un periodo di grandi successi per la città e il suo club. E come spesso accade, il calcio ha superato i semplici confini sportivi e ha rappresentato un’occasione per rinsaldare il senso di comunità, di appartenenza e identità. A partire dal nome stesso della squadra: ASD San Giorgio Piana, dedicata al santo patrono.

Fondata nel 2014 grazie all’impegno di Evis Troka, imprenditore albanese trasferitosi in Sicilia dieci anni prima, la San Giorgio ha velocemente scalato le classifiche del calcio minore regionale. L’idea è semplice ma al tempo stesso ambiziosa: unire le anime di Piana, quella siciliana e quella albanese, in un’alchimia capace di creare passione e divertimento. Per rappresentare il club viene scelta una casacca rossonera, con l’aquila bicipite della bandiera albanese come stemma. Una programmazione seria e un’ottima organizzazione aprono le porte al successo. Il primo anno in Terza Categoria finisce in finale play-off contro il Baucina ma la squadra viene ripescata e già all’esordio in campionato centra la prima promozione.

Nel 2016-2017 il copione si ripete ma questa volta senza lieto fine: finale play-off pareggiata 0-0 contro il Gibellina che però viene promossa per il miglior piazzamento in campionato. Questa volta niente ripescaggio. L’anno dopo è un trionfo: 60 punti in 22 partite, 19 vittorie, 3 pareggi e 0 sconfitte, appena 9 gol subiti. Primato indiscusso e promozione diretta in Prima Categoria.

Gli anni del Covid portano con sé incertezze e difficoltà ma il club ne esce più forte di prima. Dopo il settimo posto del 2021-22, l’anno successivo regala altre emozioni ai tifosi, che sempre più numerosi affollano lo stadio Li Cauli. I rossoneri si piazzano al terzo posto, raggiungono di nuovo la finale dei play-off e per la terza volta, come in una sorta di maledizione, la perdono. Il San Giorgio, però, vince la Coppa Sicilia che vale il passaggio in Promozione e il terzo salto di categoria in otto anni.

La stagione 2023-24 è quella della leggenda. La squadra domina il campionato: 58 punti in 26 giornate, con 17 vittorie, 7 pareggi e 2 sconfitte. È festa grande. Il pullman della squadra attraversa le vie del centro accolto con fumogeni e bandiere dai suoi tifosi, riuniti sotto la sigla “Ultras Curva West” che in occasione dell’ultimo match casalingo preparano una grande coreografia.

La coreografia organizzata dalla tifoseria del San Giorgio per festeggiare la promozione in Eccellenza (Ultras Curva West)

Per la prima volta, una squadra di una comunità italo-albanese arriva in Eccellenza, ai vertici del calcio dilettantistico regionale. Quest’anno, la squadra ha chiuso con un dignitosissimo quarto posto. Chissà che non sia solo il preludio a un altro grande salto di categoria. E a un nuovo capitolo nella storia di Piana degli Albanesi.

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Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.