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Pelješac: il ponte che aggira uno Stato

Generalmente un ponte è qualcosa che collega, che unisce due punti separati da un ostacolo, sia esso una vallata o un corso d’acqua, differentemente da un muro che, al contrario, si interpone separando due luoghi. Per il senso comune, un ponte è quindi simbolo di unione, di vicinanza, di pace. In Croazia esiste un ponte che, invece di unire, allontana: se da un lato collega parti separate di una stessa nazione, dall’altro limita i contatti tra due popoli confinanti. Si tratta del ponte di Pelješac a pochi chilometri dal confine meridionale con la Bosnia ed Erzegovina e deve questa sua particolare funzione ad una vicenda lunga tre secoli, con tanti protagonisti: dalla Repubblica di Venezia a quella di Ragusa, passando per l’Impero Ottomano per arrivare fino alla Cina contemporanea.

La pace di Carlowitz e la nascita del confine

Il ponte di Pelješac, inaugurato nel luglio 2022, si trova a circa 5 chilometri da uno dei confini più particolari e curiosi al mondo. Il valico di frontiera di Klek (Croazia) rappresenta infatti la porta d’ingresso per una striscia di terra di appena 10 km appartenente alla Bosnia ed Erzegovina. Questo lembo, conosciuto come “corridoio di Neum”, rappresenta il secondo accesso al mare più piccolo al mondo dopo quello del Principato di Monaco e interrompe la continuità territoriale della Croazia. I territori al di qua e al di là della striscia, così come la penisola di Sabbioncello di fronte la città di Neum, appartengono infatti a Zagabria.

Il corridoio di Neum (mappa dell’autore)

La storia di questo strano confine risale al 1699 e al trattato di pace di Carlowitz (Sremski Karlovci, Serbia) tra l’Impero Ottomano e la Lega Santa, coalizione formata da Impero Asburgico, Repubblica di Venezia, Confederazione polacco-lituana e Moscovia. L’accordo poneva fine alle guerre iniziate con l’assedio ottomano di Vienna nel 1683 e prevedeva modifiche territoriali che avrebbero cambiato il volto dell’Europa per i successivi duecento anni. L’Impero Ottomano, uscito sconfitto, era costretto a cedere parte dei suoi possedimenti in Europa tra cui Ungheria, Transilvania, Slavonia e Croazia agli Asburgo e il Peloponneso e la Dalmazia alla Repubblica di Venezia. Ed era proprio in Dalmazia che Venezia doveva fare i conti con un’altra fiorente Repubblica dedita al commercio: quella di Ragusa (Dubrovnik).

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La frontiera tra le due potenze si trovava tra le attuali isole di Curzola (Korčula), appartenente alla Serenissima, e la penisola di Pelješac (Sabbioncello), dominio raguseo. Per evitare un contatto diretto tra le due Repubbliche e garantire all’Impero Ottomano uno sbocco al mare venne deciso che la zona costiera di Neum passasse sotto il controllo della Bosnia, allora provincia ottomana. Neppure la conquista napoleonica della Dalmazia, con la conseguente fine della Repubblica ragusea nel 1808, e il passaggio della Bosnia sotto amministrazione austro-ungarica nel 1878 riuscirono a cambiare le sorti di questo piccolo pezzo di terra. Così come le esperienze jugoslave, prima quella monarchica e poi quella socialista, che non mostrarono particolare interesse a modificarne la geografia continuando a tenere separata la regione di Dubrovnik dal resto della Croazia. Almeno fino all’anno scorso.

La costruzione del ponte di Pelješac

Fino al 2022, per arrivare dalla costa croata a Dubrovnik, meta per milioni di turisti, bisognava attraversare per due volte la frontiera. A complicare la vicenda anche l’ingresso, nel 2013, della Croazia nell’Unione Europea. Un evento che rafforzò i controlli di frontiera con la Bosnia, paese non membro. Questo significava dover affrontare ben quattro controlli in 20 km: in uscita dalla Croazia e in entrata in Bosnia e viceversa. Un po’ più semplice la circolazione delle merci. Secondo quanto stabilito dal Regolamento (Ue) N. 479/2013 del 13 maggio 2013, “date le caratteristiche specifiche dell’economia locale […] non è richiesta la dichiarazione sommaria di uscita/entrata per le merci dell’Unione” che attraversano il corridoio. Con l’ingresso della Croazia nell’area Schengen, avvenuto il 1 gennaio di quest’anno, i controlli si sarebbero fatti ancora più stringenti, riducendo il confine ad un vero e proprio percorso ad ostacoli.

Ancora prima che l’adesione all’Ue e allo spazio Schengen diventassero realtà, nel 2000 venne presa in considerazione dal governo croato la possibilità di costruire un ponte che collegasse la terraferma croata alla penisola di Sabbioncello e alla regione di Dubrovnik. L’idea cominciò a prendere forma nel 2007 con il governo di Ivo Sanader ma la difficoltà nel reperire i fondi necessari fece saltare i piani.

Fotografia notturna dei lavori per la costruzione del ponte di Pelješac (Wikimedia Commons)

Dieci anni dopo, in seguito a uno studio di prefattibilità, l’Unione Europea approvava una spesa di 357 milioni di euro per la copertura dell’85% dei costi della costruzione del ponte con il restante 15% spettante alla Croazia. Qui entra in gioco un altro attore, tutt’altro che disinteressato: la Cina. Data la vicinanza del corridoio con alcuni importanti porti dell’Adriatico, dove la presenza cinese è ormai consolidata da anni, Pechino aveva tutto l’interesse a velocizzare il più possibile il passaggio delle merci dirette verso l’Europa.

Ad aggiudicarsi la gara d’appalto per la costruzione del ponte è stata così la China Road and Bridge Corporation con un progetto più economico di circa 70 milioni di euro e 6 mesi di lavoro in meno rispetto alle concorrenti (l’austriaca Strabag e il consorzio italo-turco Astaldi/Içtas). I lavori, iniziati nel 2018, si sono conclusi nel gennaio del 2022. Il ponte, realizzato in cemento armato e metallo, è lungo 2,4 km e alto 55 metri e collega la città di Komarna, sulla terraferma croata, con Brijesta, collocata sulla penisola di Sabbioncello. L’apertura ufficiale è avvenuta il 26 luglio 2022. La preoccupazione per i cittadini di Neum è che il ponte isoli la piccola striscia di terra, sottraendole così le principali fonti di entrata: il turismo e il commercio. Esattamente l’opposto di quello che fanno, solitamente, i ponti.

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Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.