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“Noi del Partizani la Nazionale la seguiamo a titolo personale. Se vuoi andare vai, ma non lo fai con gli striscioni o i simboli del Partizani. Abbiamo pensato che era meglio esserci che apparire, e abbiamo seguito questa strada. Comunque la Nazionale oggi è diventata un business di scout, di agenti e di sponsor mediatici”. Mentre sullo schermo passano le immagini degli scontri fra ultras italiani e albanesi allo stadio di Tirana, risuonano le parole di uno dei capi ultras del Partizani Tirana, una delle squadre più importanti e seguite del paese delle Aquile. Sono passati già tre anni, ma la sua analisi non è affatto invecchiata.
“La nazionale è diventata un po’ il palcoscenico dove cercare visibilità. La si segue, ci si fa riconoscere, magari per avere un ritorno come notorietà a livello di club e di gruppo. Noi preferiamo non cadere in questa moda. L’Albania la sosteniamo a titolo personale”. Il nostro contatto parla un italiano perfetto, con congiuntivi e consecutio temporum che fanno pensare a studi approfonditi. Se non fosse per le “r” e le “l” tipiche della sua lingua, ci sarebbero difficoltà a non crederlo italiano. La sua voce è sempre calma e ha l’espressione seria, ma spesso alla fine scoppia a ridere e ti accorgi che ti stava prendendo in giro.
La Basa 46 del Partizani
Ci troviamo nella sede storica degli Ultras Guerrils, il gruppo che sostiene il Partizani Tirana. C’è un grosso 46 che richiama quello di Valentino Rossi, ma anche l’anno di fondazione della squadra. Al muro ci sono le foto delle partite del passato. Quelle prestigiose e quelle nei campetti di provincia. Intorno a un tavolo parliamo e viaggiamo nella storia di questo glorioso club.
“A Tirana ci sono solo due squadre” mi dice. Sono perplesso me ne vengono in mente almeno tre: oltre ai padroni di casa, la Dinamo e il Tirana. Rispondo: “Come due?”. “Certo. Il Partizani e il Partizani B”. E scoppia a ridere. “No, la Dinamo no. Non aveva molti tifosi neanche prima degli anni Novanta. Adesso non la segue nessuno”. È chiaro che l’avversario per eccellenza sia il KF Tirana. Da uno schermo scorrono le immagini di una sorta di documentario dell’ultimo trionfo: il Partizani ha vinto il titolo proprio nel derby contro gli odiati nemici, giocando nello stadio di questi ultimi, vista l’indisponibilità del Qemal Stafa, che era in ristrutturazione. “Una giornata perfetta. Nessuno ha avuto il coraggio di dirlo. Ma tutti lo sentivamo, era una giornata perfetta”. Il corteo dalla Basa 46, sede dei tifosi, fino allo stadio e l’impressionante fiume di persone, i cori, i battimani e poi la partita. Infine il tripudio per il titolo vinto, il primo dal 1993 dopo il fallimento e la caduta nelle serie più basse.
La storia del club e dei suoi tifosi
Il Partizani nasce il 4 febbraio 1946 come sezione calcistica dell’esercito albanese. Nella sua storia ha vinto 15 campionati, collezionando anche 21 secondi posti, 15 coppe nazionali e – unica squadra albanese a riuscirci – si è imposta anche a livello sovranazionale, portando a casa la Coppa dei Balcani 1970, contro i bulgari del Beroe di Stara Zagora. Tuttavia negli anni duemila il Partizani ha vissuto una grande crisi, sprofondando nelle serie minori. L’intervento dei suoi tifosi è stato provvidenziale per la risalita.
“Il mondo del tifo è pieno di storie bellissime e particolari. La nostra, per come siamo nati e cresciuti, possiamo dire che è davvero unica. Sembra una frase fatta, che di certo dicono in tanti. Ma le cose che abbiamo fatto noi, gli ostacoli che abbiamo superato, con tutte le difficoltà che abbiamo affrontato, hanno reso questa definizione più vera che altrove”.
La storia degli Ultras Guerrils inizia negli anni 2008-09, anni in cui il club prima lotta per il campionato – e lo perde clamorosamente in una finale da dimenticare – e poi, la stagione successiva, si batte per la salvezza fino alla fine. “C’erano grandi problemi finanziari, i giocatori non venivano pagati, e inoltre la squadra era stata buttata fuori dal centro di allenamento, storica sede del club, per mano dello Stato”.
Una situazione davvero complicata, se non addirittura disperata, che si consolidò con la retrocessione. Nessuno che abbia a cuore il Partizani può scordarsi la decisione arbitrale, durante la finale salvezza, quando Arjan Mali, il guardalinee, alzò clamorosamente la sua bandierina, annullando un gol regolare. “L’intenzione era distruggere il club, facendolo retrocedere”.
Ma come succede a volte, è nei momenti di crisi che si creano le condizioni migliori per andare avanti. E infatti in quei due anni orribili si creano due piccoli gruppi: Brigada e Komandos. Date le difficoltà del momento e il comune obiettivo di sostegno alla squadra, i due gruppi nel marzo del 2010 decidono di unirsi, dando vita agli Ultras Guerrils. “Il ricordo del biennio 2008-09 rimarrà sempre vivido nella mente dei componenti del nostro gruppo, come simbolo di quegli anni. Da lì inizia tutto. Da lì nasce, oltre alla passione, anche la mentalità ultrà”.
È l’inizio di una strada lunghissima, non sempre in discesa, che anzi deve fare i conti anche con un’altra retrocessione, a causa della quale una delle squadre più titolate di Albania finisce in terza divisione. In più, quelli erano gli anni dove si era intensificata la contestazione al presidente Xhani, iniziata nelle stagioni precedenti.
Il cambio di marcia sugli spalti
Tuttavia è indubbio il cambio di marcia sugli spalti. Dal 2010 fino a oggi gli Ultras Guerrils sono stati presenti in tutte le partite, sia in casa sia in trasferta, anche quando si giocava in piccoli campi sportivi o in località che nessuno di loro mai avrebbe pensato di visitare. “Non dall’euforia di un trofeo, non da una stagione bella con grandi giocatori. Siamo nati dalla necessità e dal bisogno”.
Nella sconfitta, nella retrocessione, nel pericolo di scomparire, è lì che i tifosi hanno dato un senso al loro sterminato amore per la propria squadra. Sono stati pronti a subire, a rischiare, a fare di tutto pur di salvare la loro passione, il loro orgoglio “e ciò che amiamo di più nella vita: il nostro club”.
Ma come insegnano molti esempi analoghi nel mondo del calcio, l’entusiasmo può non bastare e bisogna fare i conti con la realtà, che spesso è molto più complicata. Ci sono stati anni in cui non c’erano soldi per pagare i giocatori e i tifosi hanno contribuito con iniziative, coinvolgendo tutta la città. Hanno sostenuto la squadra, e allo stesso tempo protestavano contro il presidente e manifestavano di fronte ai tribunali perché volevano demolire il centro sportivo per costruire palazzi. Insomma difficoltà che avrebbero affossato anche realtà più strutturate.
La retrocessione in terza divisione ha poi rappresentato il punto più basso della storia del club, talmente basso da metterne in dubbio l’esistenza. “Abbiamo aggredito il presidente. Qualcuno è andato in prigione, ma a Xhani è stato tolto il club”. Dopo quel giorno è iniziato un nuovo percorso con pochi soldi e molta passione. Sono cadute le barriere, non c’era nessuna distinzione fra club e tifosi: “Siamo andati in tutti gli stadi dell’ultima categoria, facendo anche coreografie o tenendole pronte per qualche partita in cui avremmo giocato in un vero stadio”. Il ricorso all’autofinanziamento ha permesso che venissero pagate le trasferte e i giocatori, e alla fine della stagione è arrivata la promozione. “E non c’era nessuna cravatta in campo a festeggiare. Solo tifosi e giocatori. Oddio, forse l’unico con la cravatta era l’autista del pullman della squadra. Lui era stato la nostra ‘tribuna vip’ per tutta la stagione”.
La scossa al movimento ultras nazionale
A quel punto è successa una cosa più grande di quella prevista. Il fiocco di neve che è iniziato a cadere dalle montagne si è trasformato in una valanga. Con il ritorno del Partizani in prima divisione sono cambiati anche la scena calcistica e il tifo in Albania. Si è riacceso il derby, che è cambiato, con coreografie, trasferte di massa, aggregazione. “Abbiamo creato problemi a tutti: alla federazione e ai media, anche durante le trasferte in Europa”.
Per capire l’evoluzione del livello del tifo basta guardare le foto delle curve in passato e quelle di oggi: si capisce subito la differenza e la crescita.
Cercando di comprendere un po’ meglio lo scenario del tifo in Albania ci si accorge però che è ancora ai primi passi e deve fare tanta strada. “Noi abbiamo sempre cercato di realizzare delle grandi cose, ma non ci sono tanti gruppi, e quelli che ci sono hanno la tendenza a seguire esempi ‘negativi’ del tifo moderno. Troppo attenti allo show e alla voglia di apparire e di essere in tutti i modi protagonisti. Si vedono cose strane, senza coerenza e mentalità”.
In Albania le partite non sono seguite tutte allo stesso modo, i tifosi occasionali esistono anche al di là dell’Adriatico. “Ma una cosa interessante, e che ci fa piacere, è che ovunque va a giocare il Partizani lo stadio è sempre pieno di tifosi avversari”. Un altro problema è la tendenza ad abbandonare la propria squadra nel momento in cui le cose non vanno bene. Si boicotta il club. “Ci sono gruppi che in una stagione hanno più mesi di boicottaggio che mesi di attività”.
Nell’immaginario collettivo gli stadi balcanici sono più liberi di quelli italiani. Eppure le leggi restrittive ci sono anche da quelle parti. In questi anni, ad esempio, sono entrate in vigore nuove leggi per lo sport che mutuano indicazioni della Comunità Europea, con divieti e restrizioni. Ma qualcosa è cambiato anche in meglio, grazie all’impegno dei tifosi. Ad esempio l’ordine pubblico allo stadio dev’essere a cura degli steward e non più della polizia, che poteva creare problemi, con provocazioni, risse e arresti. L’iniziativa per la modifica era partita proprio dal gruppo del Partizani, che aveva questo tipo di incidenti regolarmente. Oggi negli stadi non ci sono poliziotti e questa è una piccola vittoria degli ultras.
La mentalità degli Ultras Guerrils
Anche gli aspetti culturali e politici sono molto interessanti, e rappresentano una presa di coscienza e di responsabilità importante da parte dei tifosi.“Il Partizani deve unire e non dividere. È la squadra di tutti e non possono esserci eccezioni. L’Albania è un paese troppo piccolo per dividerci e utilizzare l’appartenenza politica come condizione per far parte della nostra tifoseria”. Chiunque può, individualmente, esprimere le proprie idee politiche, ma allo stadio c’è un solo ideale: il Partizani. “Detto questo, per rappresentarlo al meglio dobbiamo trasmettere i valori e il significato del nostro club, e quindi non siamo razzisti, non discriminiamo su base territoriale, nazionale, religiosa. E non accettiamo nessuna forma di discriminazione. Abbiamo lanciato iniziative sociali che hanno lo scopo di aiutare le famiglie povere, che purtroppo in Albania sono molte. E per questo odiamo tutti i partiti e tutta la politica del nostro Paese. Quando c’è stata l’occasione abbiamo attaccato tutti, senza peli sulla lingua, anche quei politici che si proclamano nostri tifosi”.
Le bottiglie di Peja hanno continuato a girare per tutto il tempo della chiacchierata. Prima di salutarci, c’è stato il tempo per un’ultima parola: “In tutto quello che è successo abbiamo sempre cercato di fare a modo nostro, con l’obiettivo di diventare un gruppo importante in Europa. Abbiamo molta strada da fare, ma con molta determinazione arriveremo là dove vogliamo! Orgoglio, passione e unicità. Questo ci contraddistingue e ci fa pensare che la nostra storia sia unica. Ci sono molte canzoni da cantare, coreografie da realizzare e bandiere da sventolare. Ci sono ancora molti libri da scrivere, e qualche titolo che dobbiamo ancora vincere”.
Questo articolo è un adattamento di un capitolo del libro Questo è il mio posto, uscito per i tipi di Urbone Publishing. La foto copertina è presa dal profilo facebook degli Ultras Guerrils 08-09
Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.