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Meno Nazarbayev non significa più democrazia in Kazakhstan

Domenica 5 giugno, i cittadini kazaki sono stati invitati a un voto referendario che prevedeva la modifica della Costituzione del paese per limitare i poteri presidenziali. Ciò che colpisce è però che mentre in Italia, il 12 giugno, si è votato su cinque quesiti, i kazaki hanno dovuto esprimersi su ben 56 modifiche ad articoli della loro Costituzione, o piuttosto la Costituzione di Nursultan Nazarbayev. La consultazione è ufficialmente passata con il 77,18% di voti positivi e il 68,06% dell’affluenza degli aventi diritto.

Le modifiche costituzionali negli anni 

Originariamente approvata il 30 agosto del 1995, la Costituzione kazaka sostituì la prima Costituzione post-sovietica del 1993, creando di fatto una repubblica semi-presidenziale in cui l’esecutivo era condiviso tra primo ministro e presidente. Sul finire degli anni Novanta questo ha creato rivalità tra Nazarbayev e il primo ministro Akezhan Kazhegeldin, poi perseguito e fuggito all’estero a seguito della sua candidatura alla presidenza nel corso del 1999.

Nei primi anni Duemila, Elbasy, l’autoproclamato padre della nazione, ha consolidato il suo potere eliminando la concorrenza e procedendo a nuove modifiche costituzionali che accentrassero ulteriormente il potere nelle sue mani. 

La Costituzione nei paesi post-sovietici è quindi uno strumento fluido che i leader modificano al bisogno per far valere il formalismo di comportamenti e pratiche politiche che sono spesso informali. Quella non fu l’ultima modifica infatti. Nel 2017, prevedendo un suo ritiro dalle prime file della politica kazaka – poi effettivamente realizzatosi nel marzo del 2019 – Nazarbayev promosse ulteriori modifiche Costituzionali, questa volta con l’obiettivo di redistribuire i poteri indebolendo la presidenza. Chiaramente, il leader autoritario kazako aveva prefigurato la possibilità che in futuro avrebbe forzato la propria volontà su un nuovo presidente. Questo chiarisce perché il secondo presidente del Kazakhstan, il fedelissimo Qassym-Jomart Tokayev, non sia stato considerato il vero leader della repubblica centro-asiatica fino allo scorso gennaio 2022. 

Gli eventi di gennaio 

Il 2 gennaio 2022 una serie di manifestazioni nella regione di Aktau in protesta all’aumento spropositato del prezzo del gas propano liquido (utilizzato anche come fonte di riscaldamento dalle famiglie nella zona) ha dato origine a proteste di natura politica nell’ex capitale del paese Almaty.

Quello che veniva chiesto a gran voce dai manifestanti era un “Kazakhstan senza i Nazarbayev”, come ripetuto da anni dagli attivisti di Oyan Qazaqstan (svegliati Kazakhstan). Due giorni di protesta, però, hanno generato una reazione irragionevole da parte delle forze di sicurezza del paese che hanno incominciato a sparare sui manifestanti.

Le vittime ufficiali furono 227 (232 secondo Human Rights Watch), una cifra che ha spinto molti attivisti a soprannominarlo il gennaio sanguinoso. La quiete nel paese è stata riportata solo a seguito dell’invio di forze di pace russe. 

La versione ufficiale di Tokayev è che “20.000 banditi e terroristi” avevano affollato le strade di Almaty mettendo a rischio la sicurezza del resto della popolazione. Chiaramente questo tipo di spiegazione è inverosimile, ed esperti hanno ipotizzato che sebbene la protesta sia nata in maniera spontanea, la reazione sproporzionata delle forze di sicurezza nascondesse un tentativo di colpo di stato al quale Tokayev avrebbe resistito. Si fa notare, infatti, la quasi immediata rimozione di Karim Massimov, fedelissimo di Nazarbayev, dal posto di capo della sicurezza e la sua incarcerazione con l’accusa di tradimento

In un processo di de-Nazarbayevificazione del paese, anche il settore petrolifero ha visto l’assottigliarsi della presenza dei Nazarbayev: Kairat Sharipbayev, il presunto marito della primogenita Dariga Nazarbayeva, si è dimesso da capo di QazaqGaz, così come Dimash Dosanov, marito della più giovane Aliya Nazarbayeva, che si è dimesso da amministratore delegato di KazTransOil.

Vi chiederete, ma cosa c’entra tutto questo con la riforma costituzionale? Le modifiche costituzionali sono il passo successivo nel processo di de-Nazarbayevificazione, che consiste nel ridurre l’influenza della famiglia dell’ex dittatore a favore di un sistema più oligarchico.

La riforma costituzionale 

Alcuni esempi delle modifiche prevedono:

  • rendere il Consiglio Costituzionale di nuovo una Corte Costituzionale;
  • la sostituzione della parola “stato” con la parola “popolo”;
  • l’esclusione definitiva della pena di morte, prima prevista per reati quali quello di terrorismo;
  • il fatto che la stessa persona non possa eletta due volte di fila alla presidenza del paese, prima c’era un’eccezione per Nazarbayev;
  • il presidente in carica non potrà essere membro di nessun partito;
  • il presidente non potrà nominare governatori regionali.

Come fatto notare da Joanna Lillis però: “Il presidente riterrà il diritto di scegliere il primo ministro, ministri chiave del governo, e porre il veto su leggi”. Il sistema resta dunque un semi-presidenzialismo simile a quello in essere in molti paesi post-sovietici, inclusi Federazione Russa e Ucraina. 

Questi sono giganteschi passi in avanti per rendere il sistema più trasparente e la vita del Kazakhstan più democratica. Eppure, gli analisti fanno notare che una restrizione dei poteri presidenziali non rende il paese una democrazia liberale fintanto che il Parlamento bicamerale è di fatto governato da un solo partito, Amanat (il lascito degli antenati), rinominato di recente in un’operazione di re-branding del Nur-Otan presidenziale. Inoltre, la procedura di voto è stata organizzata in maniera tale da garantire che il voto referendario rispetto alle modifiche costituzionali fosse positivo: scrutatori indipendenti non sono stati accettati, la data del referendum è stata anticipata il più possibile non permettendone un dibattito pubblico, e i dati sono stati sicuramente manipolati.

Ci sono due conclusioni da trarre: il Kazakhstan sta voltando pagina rispetto a trent’anni di governo dittatoriale di Nazarbayev, ma il sistema rimarrà un’oligarchia di fatto piuttosto che una democrazia liberale. Alla società civile kazaka aspettano ancora anni di lotte prima di poter godere dei diritti di un paese occidentale. 

Foto di Angelina Bondarenko e Aleksej Tilman

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Gian Marco Moisè
Gian Marco Moisè

Ricercatore e divulgatore scientifico, esperto in relazioni internazionali, scienze politiche e dell'area dello spazio post-sovietico con un dottorato conseguito alla Dublin City University. Oltre all’italiano parla inglese, francese, russo, e da qualche mese studia romeno.