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Letteratura e ambiente: riflessioni libresche dall’Europa dell’est

L’arte trova spesso ispirazione nella natura, che, con la sua bellezza ed eterogeneità, suggerisce forme, simboli, storie. La riflessione sull’ambiente e sul rapporto dell’uomo con esso ha trovato così anche nella letteratura una potente forma di espressione, traducendosi talvolta in opere che uniscono impegno ecologico e arte narrativa. Letteratura e ambiente, dunque, si fondono.

Attraverso romanzi, poesie e saggi, si possono così denunciare le crisi climatiche e lo sfruttamento delle risorse naturali, proponendo visioni critiche e alternative sostenibili. La letteratura si trasforma così in un veicolo di consapevolezza, capace di ispirare cambiamenti individuali e collettivi e dimostrando che le parole possono essere tanto rivoluzionarie quanto le azioni.

Anche la letteratura dell’est europeo ha contribuito a questa riflessione sulla natura, sull’uomo e il suo rapporto, spesso problematico, con l’ambiente. Vediamone alcuni esempi.

Nelle terre dell’Impero austro-ungarico, la scrittrice ucraina Ol’ha Kobyljans’ka (1863-1942), femminista molto vicina alla poetessa Lesja Ukrajinka, con il romanzo La terra (Zemlja) del 1902, esplora il legame ancestrale tra i contadini e il suolo, anticipando temi ecofemministi.

Il poeta e saggista polacco Czesław Miłosz (1994-2004), con i versi di Campo di grano (Pole ryżowe), scritti dopo la devastazione della Seconda guerra mondiale, ritrae un paesaggio che è memoria e ferita, simbolo di un mondo minacciato dalla Storia.

Anche lo scrittore sovietico Andrej Platonov in Čevengur (1927, in italiano disponibile nella traduzione di Ornella Discacciati per Einaudi, 2015) descrive una terra sfruttata dal progetto sovietico, trasformando il realismo socialista in un’allegoria ecologica.

E mentre i romantici vedevano la natura come rifugio (come Adam Mickiewicz, che cantava le foreste lituane), oggi autrici quali la bielorussa Svjatlana Aleksievič mostrano come il disastro ambientale sia una tragedia collettiva e come letteratura e ambiente siano un tutt’uno: Preghiera per Černobyl’ (1997) è l’esempio più potente di come letteratura e ambiente siano fortemente legati fra loro.

Non possiamo rispettare la natura se non rispettiamo prima noi stessi come parte di essa.
(Václav Havel, 1990)

Le nostre citazioni libresche tra letteratura e ambiente

Qui di seguito trovi alcuni estratti che ci parlano del forte legame tra letteratura e ambiente.

Il canto della foresta di Lesja Ukrajinka, traduzione di Yaryna Grusha, Oscar Mondadori, 2024

Io invece conosco soltanto quant’è dolce la betulla,

è l’albero che chiamo mia sorella

anche se è tanto triste,

cerea, china e malinconica

e io piango spesso quando la guardo.

L’ontano non mi piace, è così rugoso.

Il pioppo mi spaventa perché

lui stesso teme qualcosa e per questo trema.

Le querce sono tanto signorili.

La rosaspina è presuntuosa, lo è il biancospino

e anche il prugnolo.

Il frassino, il sicomoro, l’acero sono spocchiosi.

Il viburno ammira così tanto la sua bellezza

che non si cura di niente al mondo.

Mi sembra che anche io ero così l’estate scorsa

e oggi mi rammarico per questo…

A pensarci bene, nella foresta

sono tanto sola…

[Mavka, atto I, p.30]

Chadži-Murat di Lev N. Tolstoj, traduzione di Paolo Nori, Voland Edizioni, 2010

Avevo raccolto un grande mazzo di fiori diversi, e stavo andando a casa, quando notai, in un fosso, una strana lappola color rosso vivo, in piena fioritura, di quel tipo che da noi chiamano ‘tartaro’, e che falciano con cura, e quando per caso finisce nel fieno la buttano via, per non pungersi le mani. Mi venne in mente di strappar questa lappola e metterla in mezzo al mazzo.

Scesi nel fosso e, dopo aver cacciato un calabrone peloso che si era andato a ficcare al centro del fiore e dormiva lì beato e pacifico, iniziai a strapparla. Ma era molto difficile: a parte il fatto che il gambo pungeva da tutte le parti, anche attraverso il fazzoletto nel quale avevo avvolto la mano, era così spaventosamente tenace che combattei con lei per cinque minuti, lacerandone una ad una le fibre. Quando, alla fine, ebbi strappato il fiore, il gambo era ormai tutto a brandelli, e il fiore stesso non sembrava più così fresco e bello.

A parte quello, rozzo e grossolano com’era, non era adatto ai teneri fiori del mazzo. Rimpiansi di aver rovinato per niente un fiore che stava così bene al suo posto, e lo buttai. ‘Però che energia, che forza vitale’, pensai ricordando gli sforzi coi quali l’avevo strappato. ‘Con che tenacia si è difeso, come ha venduto a caro prezzo la pelle’.

[1896-1904]

Zio Vanja di Anton P. Čechov, traduzione di Angelo Maria Ripellino, Einaudi, 1970

Va bene, lo ammetto, abbatti foreste, se è necessario, ma perché sterminarle? Le foreste russe scricchiano sotto l’ascia, periscono miliardi di alberi, sono devastati i rifugi delle bestie e degli uccelli, si insabbiano e seccano i fiumi, scompaiono senza rimedio meravigliosi paesaggi, e tutto questo perché all’uomo indolente manca il buon senso di ricavare dalla terra il combustibile. […]

Bisogna essere barbari sconsiderati, per ardere nella propria stufa questa bellezza, per distruggere ciò che noi non possiamo foggiare. L’uomo è dotato di intelligenza e di forza creativa per moltiplicare ciò che gli è dato, sinora però egli non ha creato, ma distrutto. Le foreste si fanno sempre piú rade, i fiumi si seccano, la selvaggina si è estinta, il clima è guastato, e di giorno in giorno la terra diventa sempre piú povera e piú brutta. Tu mi guardi con ironia, e tutto ciò che io dico ti sembra futile, e… e forse in effetti è una bislacchería.

Ma quando passo vicino alle foreste contadine che ho salvato dal taglio fraudolento o quando sento stormire la mia giovane foresta piantata dalle mie mani, io mi accorgo che il clima è un poco anche in mio potere e che se fra mille anni l’uomo sarà felice, ne avrò un poco anch’io la colpa. Quando pianto una betullina e la vedo poi verdeggiare e cullarsi al vento, l’anima mia si riempie di orgoglio, ed io…

[1896]

Questo non lo si può mostrare a tutti? di Elena Guro, traduzione di Martina Napolitano (inedito)

Perdona se canto di te, fascia costiera,

Tu sei così fiera.

Perdona se soffro per te:

Quando la gente, ignara della tua bellezza,

Ti profana e abbatte la tua foresta.

Tu sei così distante

E inaccessibile.

La tua anima svanisce come un baleno

Del tuo golfo

Quando lo vedi vicino ai piedi.

Perdona se sono venuto e ho violato

La purezza della tua solitudine;

Tu sei regina.

[1913]

Il battello bianco di Čingiz Ajtmatov, traduzione di Gigliola Venturi, De Donato Editore, 1978

Fossi un gigante, mi metterei addosso la mia pelliccia da gigante e uscirei. E alle montagne direi, col mio vocione: ‘Non temete, monti! Son qua io. Venga pure il vento, l’oscurità, la tempesta di neve: nulla io temo, e neanche voi dovete aver paura. Restate al vostro posto, non v’ammucchiate a questo modo’.

Poi, a gran passi scavalcherei i mucchi di neve, varcherei il torrente – e via per la foresta. Perché di notte gli alberi hanno molta paura, nella foresta. Sono soli, senza nessuno che gli dica una parola. Si gelano, quei poveri alberi nudi; in quel freddaccio, non sanno dove ficcarsi.

Allora io andrei nel bosco, e ad ogni albero batterei con la mano sul tronco, per incoraggiarlo, perché non abbia tanta paura. Quegli alberi che in primavera non diventano verdi, sono certamente quelli che restano gelati dalla paura.

[1970]

Per altri approfondimenti su letteratura e ambiente, consigliamo di visitare le nostre sezioni Ambiente e Linguaggi

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Redazione
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