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Il 9 maggio 2025, il presidente della Bulgaria Rumen Radev ha proposto l’avvio di un referendum sulla data d’ingresso della Bulgaria nell’Eurozona. Questa sua iniziativa ha causato una tempesta politica e un’isteria pubblica, ma soprattutto ha fatto luce sull’entità dello stato di cattura delle istituzioni bulgare, incluso il parlamento.
I sondaggi condotti all’inizio di quest’anno da Mjara hanno rivelato che il 51,7% dei bulgari è contrario in linea di principio all’ingresso della Bulgaria nell’Eurozona, mentre il 39% è d’accordo in linea di principio. Intanto, quando è stato ricordato che l’adesione all’area euro è uno degli obblighi previsti dai Trattati Ue e considerando gli sforzi in corso per adottare l’euro dal 1° gennaio 2026, il 41,4% degli intervistati ha affermato che la Bulgaria non dovrebbe “mai” entrare nell’Eurozona, mentre il 30,8% ha dichiarato che dovrebbe farlo in una fase successiva.
Poiché la Bulgaria è un paese in cui le apparenze possono ingannare e dove la retorica populista è diffusa anche tra i partiti non nazionalisti, per capire cosa c’è dietro il dibattito sull’Eurozona e le sue implicazioni occorre fare un passo indietro.
L’Eurozona come cortina di fumo che alimenta l’autocrazia
Una serie di scandali di corruzione e un blitz contro la presidenza di Radev il 9 luglio 2020, percepito come un tentativo di colpo di stato, hanno innescato proteste anticorruzione di massa contro il terzo governo Borisov, durate più di cento giorni. Casualmente, il giorno seguente, il 10 luglio 2020, la Commissione Europea ha annunciato a sorpresa l’inclusione della Bulgaria (e della Croazia) nel Meccanismo di Cambio II (ERM II), la cosiddetta “sala d’attesa” dell’Eurozona.
Se l’ammissione della Bulgaria nell’ERM II sia stata frutto di una valutazione oggettiva o di accordi politici dell’ultimo minuto dietro le quinte orchestrati dal Partito Popolare Europeo (PPE) rimane oggetto di dibattito. Considerando il deplorevole track record di doppi standard della Commissione europea nel monitorare il rispetto del diritto Ue da parte della Bulgaria, gli stretti rapporti di Borisov con il PPE e la dichiarazione pubblica di Manfred Weber del 10 luglio 2020 in cui elogiava la lotta di Borisov contro la corruzione, i dubbi sono legittimi.
Quel che è certo, tuttavia, è che Borisov ha subito accusato i cittadini in protesta di non essere “gioiosi” per il successo della Bulgaria e di mettere a repentaglio il futuro luminoso del paese che solo lui poteva garantire.
Una spirale elettorale che svela le dipendenze nascoste di Borisov
Dai drammatici eventi del 2020, la Bulgaria è precipitata in una spirale elettorale che ha costretto GERB, il partito di Borisov, a rendere pubbliche alcune delle due dipendenze più malsane. Non sorprende che l’attuale governo Željazkov e il parlamento registrino valutazioni negative: solo il 27% dei cittadini ha fiducia nel governo, contro il 46% che non ne ha; il 13% dei cittadini si fida del parlamento, mentre il 64% non si fida.
Questa crisi di fiducia si spiega con due elementi principali. Le ultime elezioni parlamentari dell’ottobre 2024 sono state caratterizzate da irregolarità talmente flagranti che persino la Corte Costituzionale, notoriamente favorevole a Borisov, le ha dichiarate parzialmente illegali. Ancora più significativo è il fatto che il Presidente Radev sia tra i pochi politici ad aver denunciato il vero problema di fondo del governo guidato formalmente da Rosen Željazkov: “Invece di un governo Željazkov, abbiamo un governo Borisov-Peevski… i risultati sono evidenti, come la cattura di istituzioni e risorse”.
È un segreto di Pulcinella che Borisov e Peevski, il quale è stato sanzionato per corruzione dai governi di Usa e Regno Unito rispettivamente nel 2021 e 2023, siano alleati dietro le quinte. Come dimostrano gli attuali trend di voto, la sopravvivenza del governo Željazkov dipende dal partito “Nuovo inizio” di Peevski, nato dalla scissione del partito DPS dopo che ALDE e Renew hanno minacciato di espellere il DPS se Peevski fosse rimasto in primo piano.
Alla luce delle costanti controversie che circondano il governo Željazkov, l’ingresso nell’area euro è diventata l’ancora di salvezza a cui il governo si aggrappa per giustificare la propria esistenza. Lo scorso febbraio, il governo Željazkov ha richiesto un report straordinario di convergenza per la Bulgaria nel tentativo di assicurarsi l’ingresso nell’Eurozona il 1° gennaio 2026. Di norma questi report vengono pubblicati ogni due anni – l’ultimo per la Bulgaria è stato pubblicato nell’estate 2024. È inevitabile chiedersi: perché tutta questa fretta?
Fretta improvvisa e legittime preoccupazioni
La Bulgaria è un paese in cui le istituzioni pubbliche gareggiano nel diffondere falsità, il che di per sé solleva dubbi sulla preparazione del paese all’ingresso nell’area euro. Dato che l’adesione all’Eurozona richiede il rispetto dei criteri di Maastricht, che sono di natura economica, le preoccupazioni sono amplificate dal track record bulgaro di manipolazione dei dati.
Innanzitutto, la Bulgaria è stata storicamente travagliata da scandali legati alla manipolazione del PIL. Inoltre, già durante il primo governo Borisov, una delle strategie per alterare il deficit di bilancio prevedeva di contabilizzare le spese non per competenza (considerato il metodo di contabilità più affidabile) ma per cassa: se lo stato non paga nell’anno in cui il pagamento è dovuto, questo non viene considerato una spesa agli occhi dello stato.
Di recente sono emersi trucchi contabili ancora più problematici. A marzo 2025, il parlamento ha approvato in fretta un nuovo bilancio. Osservatori attenti hanno però notato che un nuovo debito di oltre 7 miliardi di leva è stato mascherato da aumento del capitale delle aziende statali bulgare. Nel frattempo, la ministra delle Finanze Temenužka Petkova ha annunciato che tutti i profitti delle aziende statali saranno “incamerati” dallo stato. Tutto ciò fa ragionevolmente pensare che il vero deficit della Bulgaria superi il 6%, mentre i criteri di Maastricht richiedono un deficit inferiore al 3%.
I disegni definitivi delle monete euro bulgare presentati dalla Banca nazionale bulgara nel 2024 (Bnb)
Fino a poco tempo fa, anche basandosi su statistiche manipolate, si riteneva che il principale ostacolo all’ingresso della Bulgaria nell’Eurozona fosse l’inflazione. I dati della Banca Mondiale mostrano un’inflazione del 15,3% nel 2022, 9,4% nel 2023 e 2,4% nel 2024. Benché non sia chiaro su quale strategia la Bulgaria abbia potuto contare per ridurre l’inflazione, i cittadini comuni si chiedono giustamente come mai le loro bollette continuino ad aumentare mentre le istituzioni sostengono di aver domato l’inflazione.
In questo contesto, considerando che il valore del lev bulgaro è artificialmente apprezzato per via delle specificità del currency board nazionale, non sorprende che molti cittadini comuni ed esperti di macroeconomia temano che l’ingresso nell’Eurozona nel 2026 sia prematuro e che possa causare una crisi finanziaria. Il ricordo della recente crisi nella vicina Grecia, scatenata dalla scoperta che questa fosse entrata nell’Eurozona con statistiche false e debiti nascosti, è ancora fresco e alimenta ulteriormente lo scetticismo.
L’oceano di propaganda e l’assenza di un dibattito costruttivo
L’iniziativa di Radev non solo ha fatto luce sull’alleanza Borisov-Peevski, ma anche sui loro sostenitori nascosti. Purtroppo già il governo Denkov (2023-2024) aveva rafforzato le malsane sinergie tra il suddetto duo e i partiti nati dalle proteste anticorruzione.
Agli occhi di molti, la partecipazione della coalizione PP-DB nel governo Denkov ha rappresentato un tradimento delle proteste, dato che il PP-DB aveva più volte promesso di sfidare Borisov e Peevski senza scendere a compromessi. Non a caso, a causa di queste azioni senza principi, la coalizione ha perso il consenso pubblico, non potendo più essere vista come una vera alternativa al tossico status quo.
Alle elezioni dell’aprile 2023, il PP-DB aveva ottenuto 621.069 voti, mentre a quelle dell’ottobre 2024, dopo aver tradito i propri elettori, ne ha raccolti solo 346.063.
In questo quadro è eloquente che esponenti di spicco del PPDB, invece di impegnarsi in un dibattito sostanziale sulla proposta di referendum di Radev, abbiano fatto ricorso a propaganda semplicistica, etichette e speculazioni gratuite.
Ivajlo Mirčev, co-leader di “Sì, Bulgaria”, ha sostenuto che Radev stesse cercando di compiacere il Cremlino, senza però spiegare cosa Putin guadagnerebbe dal ritardo dell’ingresso bulgaro nell’Eurozona e omettendo anche di menzionare che Borisov e Peevski, favorevoli all’ingresso immediato, hanno una lunga storia di legami con la Russia.
Il partito PP ha dichiarato pubblicamente che Radev stesse cercando di riportare la Bulgaria al “passato oscuro” e di minare la “sicurezza” dell’Ue, senza preoccuparsi di chiarire come un referendum in linea con le preoccupazioni popolare possa causare una tale apocalisse. Il suo leader Kiril Petkov è arrivato a sostenere che la proposta di Radev violasse i principi dell’eroe nazionale Vasil Levski, che voleva vedere la Bulgaria pari agli altri stati europei. Ma Levski lottava per l’indipendenza della Bulgaria dall’impero ottomano nel XIX secolo, quindi nella sua retorica l’eguaglianza sicuramente significava la sovranità conquistata da altri popoli europei.
Questi modi semplicistici di distogliere l’attenzione dalle preoccupazioni centrali del referendum di Radev destano ancora più perplessità considerando che, secondo la Costituzione e le leggi pertinenti, la proposta di Radev non è vincolante e deve essere prima esaminata dal parlamento nel merito.
La presidente del parlamento si pone al di sopra della Costituzione e del parlamento stesso?
Mentre il populismo anche tra partiti che si dichiarano anti-populisti non è un’eccezione nella scena politica bulgara, le azioni apparentemente illegali di Natalija Kiselova, attuale presidente del parlamento, rappresentano una svolta ancora più inquietante. In un comunicato stampa del 13 maggio 2025, il parlamento ha annunciato che Kiselova ha rifiutato l’esame della proposta di Radev da parte del parlamento, definendo la sua iniziativa anticostituzionale. È trapelato che nella sua lettera Kiselova abbia fatto riferimento a una decisione della Corte Costituzionale che però riguardava un referendum su una diversa questione relativa all’Euro.
Tuttavia, secondo la Costituzione, la Corte costituzionale ha l’ultima parola autorevole sulla conformità costituzionale. La decisione a cui Kiselova ha fatto riferimento era accompagnata da un’opinione dissenziente, cosa che dimostra che c’è un margine di dibattito sulla questione nonostante sia stata presumibilmente risolta dalla Corte.
Inoltre non spetta a Kiselova ma alla Corte tracciare parallelismi e ragionare per analogia. Soprattutto, né la Costituzione né le leggi pertinenti né il regolamento parlamentare conferiscono al presidente del parlamento il potere di respingere proposte di parlamento, cosa che dimostra che l’inosservanza della legge da parte di Kiselova era politicamente motivata. Sta al parlamento approvare o rigettare l’organizzazione di referendum: questa prerogativa non può appartenere a un singolo deputato che ha solo lo status di primus inter pares.
Di norma, Kiselova avrebbe dovuto assegnare la proposta di Radev alle commissioni parlamentari competenti per l’esame.
Considerando l’impegno della maggioranza di governo per un rapido ingresso nell’Eurozona, è altamente improbabile che il referendum avrebbe comunque ricevuto il via libera. Sembra che le azioni di Kiselova siano una cortina fumogena dietro cui la maggioranza nasconde la propria paura del confronto. Eppure, il dibattito sostanziale su questioni chiave è un meccanismo che rafforza la fiducia in una democrazia, così come il dialogo tra cittadini e chi li rappresenta.
I giochi dell’Eurozona: troppo presto per tirare le somme
Considerando la situazione in parlamento, è evidente che Radev sapeva fin dall’inizio che la sua iniziativa era destinata al fallimento. Sembra quindi aver perseguito altri obiettivi: smascherare le varie dipendenze malsane del parlamento e mostrare quanto i deputati siano indifferenti alle preoccupazioni dei cittadini.
Se ne possono trarre diverse lezioni. In primo luogo, dato che il secondo mandato presidenziale di Radev sta per scadere e non può ricandidarsi, potrebbe sfruttare l’ondata di malcontento per fondare un proprio partito, nel tentativo di smuovere le acque della palude tossica in cui si è trasformato il panorama politico bulgaro. Tuttavia, la fortuna aiuta gli audaci e Radev non è noto per mosse politiche particolarmente coraggiose. Questo lascia poche speranze ai cittadini disillusi.
In secondo luogo, l’ingresso della Bulgaria nell’Eurozona sembra ormai una decisione puramente politica: da anni le istituzioni Ue chiudono un occhio su irregolarità, falsificazioni e generale deterioramento dello stato di diritto. Se anche la Banca Centrale Europea guarderà dall’altra parte come le altre istituzioni Ue lo vedremo dal suo rapporto di convergenza, ma sarà indicativo di quanto tenga alla propria legittimità. Dopotutto, se dovessero sorgere problemi in futuro, sarà lei a rimanere con il cerino in mano.
*Radosveta Vasileva (Dr) è una giurista bulgara i cui interessi di ricerca includono il diritto dell’Ue e il diritto pubblico e privato comparato. Gestisce un blog personale dedicato allo stato di diritto in Bulgaria. Attualmente è Adjunct Senior Research Fellow presso l’University College Dublin.