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Kazakhstan, terra promessa per i russi in fuga dalla mobilitazione?

Anche se la cifra è chiaramente soggetta a errore, in Kazakhstan si parla di circa 200mila uomini russi in fuga dalla “mobilitazione parziale” imposta dal Cremlino lo scorso 21 settembre e volta a sostenere lo sforzo dell’invasione in Ucraina. Di questa massa d’uomini, però, si ritiene che 147mila abbiano proseguito verso altre destinazioni, mentre 77mila si siano registrati al sistema identitario nazionale, prerequisito fondamentale per poter aprire un conto in banca o anche semplicemente ottenere un lavoro. Infatti, i rapporti tra Federazione russa e Kazakhstan fanno sì che i russi possano attraversare il confine con il paese centro-asiatico senza avere necessità di un passaporto.

Oltre al Kazakhstan, i russi in fuga dalla “mobilitazione parziale” si sono spostati soprattutto verso altri paesi dell’ex Unione sovietica quali Georgia (circa 10 mila arrivi a partire dal 21 settembre), Armenia e Tagikistan. Un episodio (in russo) del podcast “Što slučilos’” di Meduza, racconta le reazioni contrastanti che il loro arrivo ha generato in questi paesi, passati dall’essere terre di emigrazione a luoghi di accoglienza per i disertori russi.

Due ondate di russi in fuga

L’afflusso di cittadini russi è, tuttavia, in corso da mesi e diverse migliaia di loro avevano lasciato la Russia per il Kazakhstan già all’indomani del 24 febbraio. La differenza tra la prima e la seconda ondata è che se in inverno si sono mossi soprattutto coloro che avevano i mezzi economici per permetterselo e la manodopera specializzata (soprattutto ingegneri e specialisti informatici) sicura di ‘cadere in piedi’, i rifugiati di settembre sono disperati che non hanno visto altra scelta se non la fuga.

Vlast riporta di come molti di coloro che fuggono fanno tappa a Kostanay, la prima grande cittadina kazaka per chi arriva da Čeljabinsk o Ekaterinburg. Come prevedibile, l’economia della cittadina si è riorientata verso l’accoglienza di coloro che abbandonano la Russia: i servizi dei tassisti sono richiestissimi, le strutture alberghiere sono piene da settimane e trovare un tavolo al ristorante è diventato sempre più complesso.

Molti russi si ritrovano a dormire nella sala d’attesa della stazione dei treni di Kostanay mentre frotte di proprietari immobiliari li approcciano per proporre affitti a breve termine. Per molti di questi disertori le giornate trascorse a Kostanay sono un’attesa di mezzi di trasporto per Almaty o Astana, ma altri hanno già trovato lavori più o meno formali nella cittadina kazaka. 

Chiaramente un flusso così cospicuo di migranti nel paese crea grosse ricadute economiche: da un lato, l’industria dell’accoglienza ne ha beneficiato notevolmente; dall’altro i prezzi degli affitti in tante città stanno crescendo in virtù della forte domanda. Reuters, per esempio, riporta di una professoressa kazaka di Almaty, Kamar Karimova, che ha dovuto lasciare il proprio appartamento a seguito di un aumento unilaterale dell’affitto del 42 per cento (340mila tenge o 723 dollari americani) da parte del proprietario. Un’amica, invece, ha visto il proprio affitto salire del 100 per cento nel quartiere più esclusivo della ‘montagna delle mele’ (traduzione della radice etimologica di Almaty).

La premessa da fare è che in Kazakhstan non c’è una legislazione a protezione dei locatari. Solo a settembre, a livello nazionale gli affitti sono infatti aumentati del 13,1 per cento. 

Vi rimandiamo a questo articolo per saperne di più dell’attuale contesto politico in Kazakhstan

Il presidente del paese, Qasym-Jomart Toqaev, si è espresso positivamente sulla questione dei rifugiati, sostenendo che il problema è umanitario e che molti dei nuovi arrivati: “Sono stati forzati ad andarsene per l’insorgere di una situazione senza speranza. Dobbiamo occuparci di loro e garantire la loro sicurezza”.

Pur accoglienti, i kazaki restano sospettosi dei ‘russi imperialisti’ così abituati a imporsi sulle minoranze e si chiedono: “Da cosa stanno scappando, paura di uccidere o paura di morire?”.

Immagine: Vista su Astana (Meridiano 13/Aleksej Tilman).   

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Gian Marco Moisè
Gian Marco Moisè

Ricercatore e divulgatore scientifico, esperto in relazioni internazionali, scienze politiche e dell'area dello spazio post-sovietico con un dottorato conseguito alla Dublin City University. Oltre all’italiano parla inglese, francese, russo, e da qualche mese studia romeno.