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“Isola” di Senko Karuza, una recensione

di Sara Verghi*

Un azzurro cristallino, come quello di un mare limpidissimo e un uomo al centro di questa distesa celeste che sonnecchia su di una barchetta. Sembra la descrizione di un quadro, invece è la pittoresca copertina della nuova uscita di Bottega Errante Edizioni: Isola. Quale modo migliore per inaugurare l’inizio imminente dell’estate, se non mettersi comodi come quest’uomo in mezzo al blu e lasciarsi trasportare…

Isola è una raccolta di racconti dello scrittore, poeta, filosofo e chef Senko Karuza. Tradotto dal croato da Ginevra Pugliese, questo caleidoscopio di brevi storie vi farà esplorare, scoprire e conoscere le innumerevoli sfaccettature di un microcosmo costellato di personaggi, usanze, oggetti, animali, persone e molto altro, il tutto ambientato sull’isola dalmata di Vis. 

I racconti di Karuza sono molto brevi, ma molto densi ed incisivi: in una pagina e mezza vi verrà raccontata una storia, ma anche voi che non siete né di Vis, né della Dalmazia e né croati, avrete da riflettere su ciò che avete letto. In questa scrittura concisa, ma che punta dritto al lettore, c’è molto filosofeggiare (Karuza ha studiato filosofia a Zagabria), si entra dunque nel profondo di ciò che è stato messo nero su bianco, ma che fa parte anche dell’essere umano e del viaggio della vita.

Guida all’isola è la prima parte della raccolta, nella quale i protagonisti possono essere La barca, La torza marmorizzata, Il vigneto, I turisti. Chi di noi, almeno una volta, non si è trovato a riflettere su quel dolcetto preparato dalla nonna, su quel podere ereditato, sul lento vivere degli antenati come se all’improvviso avessero acquisito la preziosità di un tesoro immateriale, ma che in passato abbiamo snobbato perché non volevamo altro che allontanarci da questa quotidianità troppo famigliare e troppo povera di stimoli?

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Karuza è il portavoce di coloro che hanno deciso di rimanere, una restanza isolana che è l’essere radicati ai gesti del passato, ai luoghi che solo in pochi riescono a non abbandonare del tutto e a un orgoglio tenace che guarda con leggero scherno ironico e un pizzico di coraggioso vanto al continentale, poverino lui in mezzo alla città e chiuso in un ufficio per la quasi totalità del suo essere adulto.

Una cosa che certamente chiunque può apprezzare, anche nel suo quotidiano cittadino, è il godere del qui e ora, dell’apprezzare sia il buon cibo che la compagnia della propria famiglia:

Mangiamo con le dita perché abbiamo confidenza con il pesce, non ci dà fastidio il bicchiere unto d’olio e con i pezzettini di pesce appiccicati, conosciamo bene il colore del nostro plavac. Soddisfatti borbottiamo e barbugliamo, e ripetiamo che tutto è buono e meglio di ieri, che era un po’ asciutto, sarà che il pesce veniva dal porto come quello dell’altroieri. 

Semplicità, genuinità e territorialità: questo e non solo sono i motivi della restanza isolana che attraversa i racconti di Karuza. Un tema che ricorre spesso è il confronto con i turisti, passeggero e liminale, ma soprattutto con chi ha deciso di lasciare l’isola e di tornarci quando può. Un dilemma che ha attraversato la vita del lupo di mare che ci svela i segreti della sua isola, ma che sa di aver risolto anni fa, quando prese la decisione di restare perché, anziché cercare qualcosa che non si ha, ci si può stupire ogni giorno:

È successo qualcosa, non importa che cosa, sull’isola è tutto sempre una meraviglia.

vis lissa isola
Isola di Vis/Lissa (Pixabay)

La seconda parte della raccolta, Camera obscura, è permeata da un senso di malinconia e di ricerca di un senso ancora più forte dell’essere isolani. Non c’è, però, né un totale sconforto, né un tentativo di marcia indietro su ciò che si è e sulle proprie scelte, semplicemente l’inevitabile incontro e scontro con l’Altro fa scaturire riflessioni, sempre profonde e sempre speranzose.

All’inizio della seconda parte è la voce narrante a esporci la necessità di questo errare sull’isola e, al contempo, filosofeggiare errante:

Questi testi sono il tentativo di registrare la trasformazione di un mondo in un altro, il morire e il nascere, un flusso di cose che, credo, è ugualmente tragico e comico – come i tanti altri eventi che giungevano sull’isola e la lasciavano insistentemente sola.

Inevitabilmente le isole sono sempre state periferiche, ma in questa nostra epoca del tutto e subito e della competitività tossica tra simili, le isole sono più periferiche che mai, fanno gola agli investitori e il fatto di viverci in momenti in cui non sono prese d’assalto dai turisti, fa degli isolani quasi degli eremiti.

Il tema dell’essere sia croati che europei attanaglia ancor più coloro che sono lontani dai tanto agognati e, a volte, odiati centri del continente, ma l’omologazione non piace a tutti:

[…] adesso da noi è come da loro, e anche se non siamo mai stati a Francoforte, d’ora in poi Francoforte è la nostra seconda casa. […] E ora per la prima volta nella nostra vita non possiamo spiegare a qualcuno quanto ci fa male dover essere uguale a loro.  

La paura della perdita della propria identità, del proprio lento vivere secondo ritmi non dettati dalle logiche economiche e politiche dell’Unione, è concreta, ma ancora una volta Karuza saprà stupirci perché in un modo o nell’altro, è sempre possibile tornare ad occuparsi della propria quotidianità in maniera testarda, ma pur sempre bonaria e in armonia con ciò che si sente dal continente, basta non farci troppo caso. 

C’è sempre speranza e c’è sempre un modo: questo impariamo dalle storie di un filosofo-chef dal cuore dell’Adriatico, che lascia in una di queste il più importante degli insegnamenti, che vale per tutti, per isolani, per continentali, per chi resta e per chi se ne va: 

Invece di fare come tutti i nostri, che da tanto tempo sono senza lavoro e passeggiano tutto il giorno sul lungomare aspettando l’estate per riempire quei loro due appartamenti che gli permettono di vivere come piccoli signori […] invece di passeggiare con loro e piangere su tutte le ingiustizie di questo mondo, stiamo curvi sulla nostra terra e piangiamo dentro di noi. Ci sembra di aver creato il nostro sincero nemico contro il quale combatteremo fino alla fine di entrambi, ma almeno sapremo cosa siamo e chi siamo.

Alla fine della lettura, forse, vi appisolerete e dopo un po’ farete capolino dalla barchetta  e vi verrà spontanea una domanda: la letteratura e la vita si sono unite e non ne percepite più il confine, allora l’orizzonte che divide cielo e mare è l’unico confine reale?


* Insegnante e traduttrice, si interessa a tutto ciò che riguarda l’est Europa, in particolare la letteratura. Collabora dal 2021 con Est/ranei. Russista di formazione e balcanista per passione, crede che costruire ponti interculturali sia una missione in cui vale ancora (e sempre) la pena credere. Andrić docet!  

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Redazione
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