Come lo ha definito Gospodinov, questo libro non è un libro sulla morte, ma sulla malinconia per la vita che se ne va.
E chi se ne va lo si scopre fin dalla prime righe de Il giardiniere e la morte, ed è suo padre, che tra i tanti mestieri nella Bulgaria socialista ha fatto anche quello di giardiniere. Una volta in pensione ha poi continuato a farlo per il giardino della casa di famiglia, con una cura meticolosa per i fiori, l’orto, le piante e gli alberi da frutto.
Non accadono cose strepitose in questo libro, non ci sono trame articolate, accadimenti sensazionali o facili stratagemmi narrativi per tenere il lettore incollato alla pagina, non ce n’è bisogno. Con una grande prova autoriale Gospodinov riesce a costruire un libro universale sul dolore, sulla perdita, sulla morte e su quelle cose che spesso non si riescono a dire per pudore o perché non si conoscono le parole per definire le emozioni.
C’è qui un terreno di condivisione emozionale, ed è un viaggio in quei sentimenti che vengono celati, spesso perché ci sono distese di patriarcato che ci impediscono di mostrarli, si diceva che quando i bambini piangono non è grave, è grave quando piangono gli adulti.
C’è poi l’ultima cosa che è un genitore, tra le tante l’ultima persona che si ricorda quando eravamo bambini, e poi ci sono le prime cose da quando non c’è più, il primo volo, le prime vacanze, il primo Natale, il primo Capodanno, la prima volta che non gli telefoni più.
Il giardiniere e la morte, un esercizio di ricordi
Il tema scelto dall’autore non è di certo quello che si definirebbe caraibico, ma tant’è fa parte della vita e Gospodinov lo affronta con grande consapevolezza in una sorta di diario, che pagina dopo pagina ci permette di seguire tutte le fasi del lutto: il ricordo della persona scomparsa, quello che ha lasciato, la quotidianità dei pensieri dedicati e le cose materiali che restano. Nel caso di suo padre le piante, l’orto e gli alberi da frutto che crescono ma che nessuno sa come portare avanti.
La malattia forza le conversazioni mai fatte, e ce ne sono tante da annotare in queste pagine, di forti ed estremamente commoventi, di tenere e divertenti, di quell’umorismo grottesco che molto spesso ha chi vive quei territori.
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Ad un certo punto il socialismo bulgaro inventa i tostapeperoni, suo padre ne compra uno. Ogni 9 settembre (quel giorno nel 1944 i comunisti presero il potere) il padre non va mai alle manifestazioni commemorative e se ne sta in terrazzo a grigliare peperoni. Com’è che le gengive ti si infiammano sempre il 9 settembre?, gli chiese il segretario di partito. I miei denti sono come la borghesia, mai uccisa del tutto, si reggono appena e mi danno solo guai.
Sono pretesti questi che Gospodinov crea per parlare del rapporto padre-figlio nella Bulgaria di quegli anni in cui i figli del socialismo erano amati senza troppi rituali, dei ragazzini fastidiosi che dovevano stare al posto loro.
Disegna in questo modo un’etnografia affettiva del periodo sovietico, non troppo differente dalla nostra per il risultato finale, quanto magari nel metodo. I figli erano educati dal partito e dalle organizzazioni giovanili in modo tale che non rimanesse tempo per pensare ai jeans, ai Black Sabbath e ad altre fesserie.
Quante volte da ragazzi ci siamo sentiti criticare per i capelli lunghi o per le creste colorate, perché perdevamo i giorni a bighellonare in giro nei bar anziché pensare al lavoro o alla scuola o alle attività di gruppo. Alla fine la produttività (lavorativa, formativa, affettiva, nel tempo libero) ha da sempre unito i due blocchi in una sorta di visione estremamente conservativa delle relazioni.
Ed è nel rapporto tra padre e figlio che si gioca il libro, con una serie di aneddoti e di situazioni estremamente comuni e mai straordinarie. È proprio questo registro semplice e quotidiano a permettere la fruizione del racconto e l’ancoraggio emotivo.
In questo grande esercizio di ricordi rimane un dolore incommensurabile per la sofferenza del padre durante la malattia. Pagina dopo pagina il dolore diventa talmente plastico e tangibile da prendere il sopravvento su tutto il resto, i momenti intimi diventano struggenti.
Gospodinov dà il meglio di sé risultando poetico ed evocativo, restituendoci tutto l’amore che circola quando una persona cara se ne sta andando. Perché è proprio così, in mezzo alla morte oltre al dolore affiora sempre l’amore, come se tutto si concentrasse negli ultimi mesi, negli ultimi giorni, negli ultimi istanti. La necessità di dire certe cose, di non rimandare più niente, di provare ad affrontare tutto, nonostante l’educazione ricevuta impedisca il manifestarsi dei pianti e dei sentimenti più forti.
Il grande talento di Gospodinov è di non rendere pesante qualcosa che lo sarebbe di natura. La sua scrittura è talmente candida e delicata che permette di rendere accessibile tutto quell’immenso spettro emozionale. Non c’è in questo libro la volontà del primato della sofferenza, bensì la voglia di raccontare una storia intima:
Vorrei che in queste pagine ci sia luce, una luce pomeridiana e morbida. Questo libro non è un libro sulla morte, ma sulla malinconia per la vita che se ne va.
Il giardiniere e la morte di Georgi Gospodinov, traduzione di Giuseppe Dell’Agata, edizioni Voland, 2025