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Da fiume a mare: fascino e pericolo del fiume Dnipro a Kyiv in tempi di guerra

È chiamato Mare di Kyiv (Kyivs’ke more) ed è il bacino di un’enorme diga alimentata dal fiume Dnipro che garantisce la corrente elettrica alla capitale ucraina ma che devastò, quando venne costruita, un’area rurale popolata da più di 30mila abitanti. Salvò anche il Mar Nero dal disastro di Čornobyl’, ma resta ancora oggi una bomba ecologica radioattiva e un’area altamente minata, oltre che minacciata dall’occupazione russa.

È lungo circa 110 chilometri, ha una larghezza massima di 14 chilometri e una profondità massima di 14-18 metri: le dimensioni del cosiddetto mare di Kyiv sono impressionanti. Non sorprende perciò sapere che, per creare un bacino artificiale così enorme, è stato necessario rimuovere 16 milioni di metri cubi di terra e far sparire una cinquantina di villaggi lungo il fiume Dnipro, dove all’inizio del secolo scorso vivevano circa 33mila persone. Eppure, senza il bacino che forma oggi il mare di Kyiv le radiazioni di Čornobyl’ che scorrevano lungo il fiume Dnipro avrebbero raggiunto il Mar Nero in un baleno e aggravato la situazione causata dall’incidente nucleare del 1986.

Oggi, a causa dell’invasione russa, le acque territoriali ucraine sono gravemente minacciate dagli occupanti e, sebbene per ora il mare di Kyiv sia sotto il controllo delle forze armate ucraine – come anche la stessa centrale idroelettrica che si trova in direzione sud – il rischio di bombardamenti o attacchi missilistici rimane elevato. Indubbiamente, nessuno vorrebbe assistere a uno scenario simile a quello della diga di Kachovka, un disastro che anche a distanza di mesi continua a provocare danni incalcolabili per l’ambiente, l’economia e per la vita degli abitanti lungo le sponde del fiume Dnipro.

Il grandioso progetto sovietico sul fiume Dnipro

Situato a nord della capitale ucraina, sul fiume Dnipro, il mare di Kyiv si estende fino al fiume Pryp”jat’, nella zona di esclusione di Čornobyl’. A nord, raggiunge il confine con la Belarus’, mentre la parte orientale – appartenente alla regione di Černihiv – fa parte del parco paesaggistico regionale Mižričynskyi (letteralmente: “tra i fiumi”), creato nel 2002. All’inizio del XX secolo in quest’area si erano formate dozzine di villaggi, merito della fertilissima terra: gli abitanti coltivavano zucche uniche e la zona era famosa anche per le deliziose ciliegie, tanto che alla periferia della capitale si trova tutt’oggi la cittadina di Vyšhorod (letteralmente: “città delle ciliegie”).

Alcuni storici sostengono che l’idea di creare un grande bacino artificiale con una diga che accogliesse una rete di centrali idroelettriche nei pressi della capitale ucraina sia nata negli anni Trenta del secolo scorso e appartenesse direttamente a Stalin: la centrale idroelettrica di Kyiv avrebbe infatti svolto non solo la sua funzione di base nella fornitura di energia idroelettrica nella regione, ma avrebbe costituito una naturale linea di difesa in caso di guerra e attacco da sud.

Considerato uno tra i progetti più ambiziosi dell’Unione Sovietica, la costruzione del bacino e della centrale idroelettrica iniziò solamente dopo la morte di Stalin, sotto Nikita Chruščëv, nel 1959, e i lavori durarono cinque anni: la prima unità della centrale fu inaugurata nel dicembre 1964, nel 1968 l’ultima (le unità sono 20 in totale).

La centrale idroelettrica di Kyiv era, a quel tempo, tra le poche nel suo genere: per la prima volta, in uno dei paesi dell’Unione Sovietica, veniva utilizzata un’unità idraulica a capsula orizzontale, costruzione che allora era operativa solo in Canada e in Norvegia. Se prima, infatti, le unità idrauliche erano sempre montate “in piedi” e ruotavano verticalmente, ora erano montate orizzontalmente, sotto forma di sottomarino.

fiume Dnipro
Centrale idroelettrica sul fiume Dnipro a nord di Kyiv (Wikipedia/Ukrhydroenergo)

Affinché la centrale idroelettrica di Kyiv diventasse operativa fu necessario costruire un bacino idrico di una superficie di oltre mille metri quadrati, esportando milioni di metri cubi di terreno e sfrattando di conseguenza la popolazione locale: alcuni operai dovettero smantellare le loro stesse case, trasportandole in posti nuovi e acconsentendo al reinsediamento previo risarcimento (seppur irrisorio); le abitazioni di coloro che erano contrari alla realizzazione dell’opera furono, invece, semplicemente demolite. In particolare, 52 insediamenti, tra cui case private e luoghi sacri furono completamente distrutti, mentre i fertili terreni – a causa dell’uso di oltre mezzo milione di metri cubi di soluzione di calcestruzzo – si acidificarono.

Intorno al bacino idrico di Kyiv si formò un ecosistema naturale unico: le inondazioni di vaste aree, i cambiamenti nei regimi idrologici, idrochimici e idrobiologici del fiume Dnipro, nonché le condizioni geologiche e ingegneristiche delle zone costiere provocarono una trasformazione strutturale e funzionale dell’ecosistema da fiume a lago-fiume con corrispondente rallentamento del ricambio idrico e dell’autodepurazione dell’acqua. Inoltre, i biologi hanno osservato una concentrazione piuttosto elevata di sale nell’acqua, nonché la presenza di flora e fauna caratteristiche del Mar Nero (tra cui una varietà di alghe). Caratteristiche che diedero al bacino il nome di Mare di Kyiv.

La radioattività del mare di Kyiv

Il bacino è riempito al 60% dalle acque del fiume Dnipro e dal rimanente 40% dal fiume Pryp”jat’ e i suoi piccoli affluenti (Teterev e Irpin’). Quando nella primavera del 1986 si verificò l’incidente nella centrale nucleare di Čornobyl’, una grande quantità di radionuclidi e rifiuti radioattivi si riversò nel fiume Pryp”jat’, che scorre nella zona di esclusione e confluisce poi nel Dnipro. Le radiazioni contagiarono quindi immediatamente anche le acque del fiume che sbocca nel Mar Nero, evitando però la contaminazione di quest’ultimo: il mare di Kyiv divenne una sorta di zona cuscinetto.

Cesio, plutonio e stronzio radioattivi si accumularono sui fondali del bacino, senza avere la possibilità di correre verso sud: oggi, a oltre trentacinque anni dalla catastrofe nucleare di Čornobyl’, una ricerca dell’Istituto di idrobiologia mostra che ci sono circa venti centimetri di limo radioattivo sul fondo del bacino idrico della capitale. Ancora oggi le radiazioni “sonnecchiano” assieme ad altri rifiuti ben più antichi. Quando iniziò la costruzione della centrale idroelettrica, infatti, nessuno pensò a sgomberare e ripulire il territorio accuratamente prima di riempire d’acqua il bacino. Per questo, sul fondale del mare di Kyiv si trovano spesso mine risalenti alla Seconda guerra mondiale; lo stesso vale per numerose barche e automobili affondate.

Esperti e ambientalisti affermano che se il livello di acqua dovesse abbassarsi e le acque del bacino dovessero venir drenate, non solo la regione e il paese perderebbero milioni di kWH di energia elettrica ogni anno, ma la polvere radioattiva e le tonnellate di fango radioattivo deposte sul fondale potrebbero causare gli stessi danni della catastrofe di Čornobyl’ del 1986.

Scenari da (non) prendere in considerazione

In seguito al disastro della centrale idroelettrica di Kachovka, il propagandista russo Vladimir Solov’ëv ha suggerito di far esplodere anche la centrale idroelettrica della capitale ucraina perché “anche senza un attacco nucleare, morirebbero molte persone”. Nonostante la centrale di Kyiv non sia attualmente in grave pericolo, è importante capire quali potrebbero essere le conseguenze di una rottura della diga e quali sono rischi e conseguenze eventuali nel caso in cui la capitale si ritrovasse di fronte a un disastro causato dall’uomo. 

Secondo quanto riportato nel settembre 2022 dall’azienda Ukrhydroenergo, non si prevede alcuna minaccia critica per la popolazione, in quanto l’impianto e la diga sono stati progettati e costruiti negli anni Sessanta tenendo conto delle minacce dell’epoca e prestando un’attenzione significativa alla sicurezza: “non è facile distruggere o danneggiare in modo significativo tali strutture idrauliche massicce con un attacco missilistico”, assicura l’azienda. Inoltre, la centrale è costantemente sorvegliata da guardie paramilitari dipartimentali e da altre unità specializzate.

Nel peggior scenario di una distruzione della diga, la conseguente inondazione porterebbe probabilmente a vittime e danni irreversibili, compreso l’allagamento delle aree residenziali della città di Kyiv e delle zone periferiche della capitale. Causerebbe anche un effetto a catena, con la distruzione delle dighe di Kaniv, Kremenčuk e di altri sistemi a cascata che si trovano lungo il fiume Dnipro, sino ad arrivare a un incidente importante per la centrale nucleare di Zaporižžja, attualmente sotto il controllo degli occupanti.

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Una meta turistica alternativa (anche in tempi di guerra)

Il mare di Kyiv rimane una destinazione estiva gettonata sia per gli abitanti della capitale che sognano il mare, che per i turisti: nell’ultimo decennio si sono formate aree di campeggio più o meno attrezzate, moli per la pesca e dozzine di spiagge. È una delle località all’aperto più facilmente raggiungibile dalla capitale e vi si stanno sviluppando anche gli sport acquatici.

Mentre d’inverno il bacino è spesso ricoperto di uno strato di ghiaccio, in estate l’acqua del fiume Dnipro si riscalda fino a 20-24°C. Ma nelle acque del mare di Kyiv è sconsigliato fare il bagno, sebbene alcuni appassionati muniti di metal detector solchino le sue acque alla ricerca di “piccoli tesori” (monete, oro, oggettistica varia). Altri si limitano a guardarne la vastità e ad ammirarne l’orizzonte dal parco di Mežyhir”ja, la vecchia residenza privata – ora parco cittadino e museo della corruzione – dell’ex presidente ucraino Viktor Janukovyč.

L’ex residenza dell’ex presidente ucraino Viktor Janukovyč lungo le sponde del Mare di Kyiv sul fiume Dnipro (Meridiano 13/Claudia Bettiol)

Con i suoi paesaggi incredibili e la magnifica passeggiata con vista sul mare di Kyiv, l’ex residenza di Janukovyč dal 2014 – anno della fuga dell’ex presidente dall’Ucraina, in seguito agli eventi dell’Euromajdan – è un territorio aperto al pubblico, pulito e curato dove è possibile nascondersi dal rumore della città e immergersi nella natura. Durante questi anni, la tenuta e l’area circostante sono state curate con attenzione dal team dell’ong Mežyhir”ja, che ha preservato l’intera proprietà, prendendosi cura degli animali che vivono sul territorio, del parco e dei musei.

Da febbraio 2022, l’organizzazione supporta attivamente le forze armate dell’Ucraina, la Guardia Nazionale, i combattenti e i battaglioni di volontari, gli sfollati provenienti dalle regioni orientali e dalla Crimea e altri gruppi vulnerabili, compresi bambini e anziani. Proprio per poter sostenere la causa ucraina, i prezzi di accesso all’area sono aumentati (da 100 a 300 grivnia, ovvero da 4 a 10 euro per un adulto). Durante la legge marziale, è possibile passeggiarvi dalle 9 alle 21, considerando che il coprifuoco per la regione di Kyiv è attualmente in vigore dalle 23 alle 5.

Passeggiata a Mežyhirja lungo le sponde del fiume Dnipro, sul Mare di Kyiv (Meridiano 13/Claudia Bettiol)

Secondo quanto dichiarato dal ministero dell’Ambiente, Oleh Nemčinov, lo scorso 14 luglio, la Verchovna Rada (il parlamento ucraino) ha adottato un disegno di legge per far diventare Mežyhirja un parco monumentale e riportare l’ex residenza privata sotto il controllo statale: “È importante che in tempi così difficili continuiamo a incrementare la quantità delle nostre aree protette e a sostenere l’Ucraina. Restituendo i terreni alla proprietà statale e creando il parco monumentale di Mežyhirja, saremo in grado di proteggere queste zone particolarmente preziose da interferenze illegali e di preservare la biodiversità di questo luogo”, ha commentato Ruslan Strilec’, ministro della Protezione ambientale e delle risorse naturali dell’Ucraina.

Originariamente uscito su Osservatorio Balcani e Caucaso nell’aprile 2021, questo articolo di approfondimento è stato ripreso e aggiornato in seguito all’invasione russa su larga scala in Ucraina dello scorso febbraio 2022.

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Claudia Bettiol
Claudia Bettiol

Traduttrice e redattrice, la sua passione per l’est è nata ad Astrachan’, alle foci del Volga, grazie all’anno di scambio con Intercultura. Gli studi di slavistica all’Università di Udine e di Tartu l’hanno poi spinta ad approfondire le realtà oltrecortina, in particolare quella russa e quella ucraina. Vive a Kyiv dal 2017, collabora con Osservatorio Balcani e Caucaso, MicroMega e Valigia Blu. Nel 2022 ha tradotto dall’ucraino il reportage “Mosaico Ucraino” di Olesja Jaremčuk, edito da Bottega Errante.