Come potrai immaginare, questo progetto ha dei costi, quindi puoi sostenerci economicamente con un bonifico alle coordinate che trovi qui di seguito. Ti garantiamo che i tuoi soldi verranno spesi solo per la crescita del progetto, per i costi tecnici e per la realizzazione di approfondimenti sempre più interessanti:

  • IBAN IT73P0548412500CC0561000940
  • Banca Civibank
  • Intestato a Meridiano 13

Puoi anche destinare il tuo 5x1000 a Meridiano 13 APS, inserendo il nostro codice fiscale nella tua dichiarazione dei redditi: 91102180931.

Dona con PayPal

“Estasi” di Radoslav Bimbalov: la Bulgaria degli anni Novanta tra caos e desiderio

Esce oggi per i tipi di Wojtek Edizioni Estasi, audace e sperimentale opera di Radoslav Bimbalov, per la prima volta in traduzione. Dopo il recente approdo in Repubblica Ceca con Tahiti: Utopia di Michal Hvorecký il catalogo della casa editrice raggiunge la Bulgaria, proponendo una nuova voce dal paese balcanico, tradotta in italiano da Giorgia Spadoni.

Nato nel 1973 a Plovdiv, Bimbalov si occupa di mass media, social media e attività caritative, ed è il fondatore di una delle principali agenzie pubblicitaria del proprio paese. Inoltre è spesso ospite delle principali canali di informazione della nazione in qualità di analista politico, sociale e culturale.

Protagonista di Estasi è Mihail, un ventenne come tanti, alla ricerca della propria identità e indipendenza nel desolante e decadente scenario della Bulgaria degli anni Novanta. Metallaro, abita con la madre, frequenta una ragazza di nome Lara. La loro relazione è passionale e intensa, a tratti disturbante. Un mercoledì mattina d’autunno, mentre Mihail aspetta l’autobus alla fermata sotto casa, muore schiacciato da una statua.

Questa però non è la fine della sua esistenza, bensì l’inizio di una nuova, a sinistra. Senza più ricordi del proprio passato, il giovane sa solo di essere stato scelto da nissuno per raccogliere in disparte gli ultimi respiri di chi sta per morire, nei modi più ordinari e assurdi. Attraverso lo sguardo estraneo e distaccato del protagonista emerge quindi tutta l’insensatezza della vita umana, tra ipocrisia, indifferenza e pochi scampoli di empatia.

Quello di Bimbalov è un romanzo audace e ambizioso, in cui l’elemento “soprannaturale” capovolge la prospettiva e le aspettative, fornendo al lettore una lente di ingrandimento straniante per osservare la realtà quotidiana da un nuovo punto di vista. Estasi compone un ritratto sgraziato, mostruoso ma anche compassionevole dell’umanità, con i suoi pregi (pochi) e difetti (molti).

La trama visionaria e l’intreccio vertiginoso tengono il lettore incollato alle pagine del libro, elogiato anche da Georgi Gospodinov:

Amo i libri scritti con una certa sensibilità per la lingua. I libri che ti adescano con il sottile oppio della narrazione, in cui non ci sono parole casuali e ogni riga sblocca nuove porte e percezioni. Da tempo non leggevo un libro scritto in maniera tanto fine come Estasi di Radoslav Bimbalov.

Proponiamo di seguito un estratto del romanzo.


La ragazza dai rugginosi capelli venne a questo mondo durante importanti ristrutturazioni alla clinica della maternità. Nel momento culminante il soffitto della sala parto crollò e un enorme pezzo di cemento si abbatté direttamente sopra l’ostetrica che aveva appena estratto il feto, e cioè Lara. La donna rovinò sulle mattonelle con un tonfo insieme all’ancora viscido corpicino neonato. Il cemento uccise sul colpo la povera ostetrica, ma la miracolosamente sopravvissuta Lara innalzò il proprio grido su nei cieli per assordare il loro crudele signore. Oppure per ringraziarlo, non avevo capito.

Mi era difficile sapere quando crederle. E ciononostante, quando mi prendeva in giro, e succedeva spesso, le sue lentiggini la tradivano. Gli zigomi appena appena le si arrossavano e questo portava in superficie almeno altre undici lentiggini che altrimenti se ne stavano nascoste nella sua pelle rosa. «Ho un fratello, vive con noi ma non lo conosco, perché da quando è nato non esce dalla sua stanza», così suonava la maggior parte dei suoi racconti sulla Famiglia. Annuivo, come fossi d’accordo, ma poi fulmineo mi chinavo e infilavo il naso nella cavità dietro ai tendini del collo, e lei si piegava in due dalle risate. Soffriva il solletico. Però aveva anche un fratello che davvero usciva di rado dalla sua stanza. Soffriva di una malattia dal nome complicato che Lara non amava ricordare: i suoi occhi si spegnevano all’improvviso e frugava per tirare fuori una sigaretta dalla fodera bianca della tasca che pendeva sulla sua gamba ben fatta sotto i jeans tagliati corti. Non avete mai visto una donna fumare così di gusto, ne sono convinto.

A volte immaginavo come fosse essere la sigaretta di Lara. Era del tutto ordinaria, una delle venti, pigiata insieme alle proprie sorelle nella scatolina stretta. Serrata, silenziosa, nel buio di cartoncino e cellophane. Finché d’un tratto non si apre il coperchio della vita e insieme alla luce affondano su di te due unghie dure, che del tutto casualmente, senza scegliere, afferrano te. Ti tirano fuori rapidamente, ti sfilano dall’abbraccio familiare per sollevarti un intero universo più in alto, fino alle labbra. Hai esattamente due secondi in cui puoi provare la vittoriosa sensazione di essere stato scelto. Poi qualcosa scatta, sibila e di colpo fa terribilmente caldo. Cominci a incenerirti nel tuo stesso inferno, а screpolarti e crepitare, mentre delle labbra meravigliose inghiottono la tua vita – avidamente, rapidamente.

Sì, potevo essere la sigaretta di Lara. E in buona sostanza lo ero.

***

I due anni dopo quel ballo li vissi come mezzo. Quotidianamente rigiravo la mia indifferenza dentro l’università: secondo me per via delle donne, secondo mia madre – per diventare adulto. Forse anche per non partire militare subito dopo le superiori. “Studia per non lavorare” era la perla di saggezza di turno in famiglia a quei tempi. Una sorta di vergognoso, ma ribelle impulso contro l’allora dominio della classe lavoratrice doveva essere. La verità è che non puoi scappare dal lavoro neanche quando studi. Alle superiori ci caricavano regolarmente su degli autobus e ci sistemavano per campi e solchi. Si chiamava brigata. La dirigenza della nazione voleva che aiutassimo i produttori agricoli, che imparassimo la fatica. E questo, come mia madre, doveva rendermi adulto. Non so come ci insegnavano la fatica, ma durante la brigata imparai a fumare erba, a bere rakija appena distillata d’un fiato e perfino a sgraffignare una gallina macellata. A pensarci, tutto ciò che avevo acquisito ai tempi della brigata studentesca mi aveva arricchito spiritualmente, ma forse soltanto la cosa della gallina per poco non mi aveva reso adulto.

***

Mi ricordo l’ultimo anno delle superiori. La brigata autunnale, in un paesino a un’ora di strada dalla città. Ci svegliavamo nelle baracche con una sbronza colossale, ci caricavano come bestiame e ci riversavano in un enorme orto con bassi, tarchiati alberelli dal tronco dipinto di bianco. Raccoglievamo mele – golden delicious, prima categoria – succose, soli appesi ai rami. Non era nemmeno particolarmente difficile: salivi due gradini della scala, staccavi, mettevi nella cassa alta, in tre strati, con la carta tra gli strati, facendo attenzione. Da esportazione: la merce viaggiava subito verso gli stranieri insaziabili di vitamine. Ovviamente ne mangiavi quante potevi, senza problemi. All’ottava mela addentata ci eravamo stancati. Ruttavamo pectina, smettevamo di arrampicarci sulle scale e siccome le mele nelle casse non bastavano, cominciavamo a mettere prima uno strato di sassi, carta, secondo strato di patrio suolo, carta e in cima le golden delicious, da esportazione. Consegnavamo le casse con orgoglio e aspettavamo di essere riportati al campo, dalla rakija che bolliva nella distilleria di paese accanto. Quella fu una brigata memorabile, perché si rivelò essere l’ultima. Nello stesso anno il movimento delle brigate nel paese cessò. Non conosco il destino successivo delle nostre casse con patrio suolo e sassi. Tanto erano da esportazione.

***

Al secondo anno di università ero convinto di poter trascorrere la mia vita lì dentro. Lo spreco di tempo mi andava tremendamente a genio, così come il fatto di essere rappresentante della minoranza maschile nella facoltà di giornalismo. Mi sentivo il signore del paradiso, in mezzo alla smodata varietà di setacapelluti, belcosciuti, rittopettuti, splendidochiapputi esemplari femminili che approvavano i miei quasi due metri su gambe storte, le mie spalle fiacche e addirittura il mio nero cespuglio di capelli da incubo, sparati in tre direzioni diverse. A differenza di molti dei miei coetanei, andavo in giro con magliette di band che non solo avevo sentito, ma ascoltavo – a tutto volume e spesso. Forai con gli orecchini entrambe le orecchie, cosa che provocò nell’indignazione esterrefatta di mia madre la grande replica: «Mihail, e adesso come ci vieni dai parenti?».

Per la seconda volta nella mia vita incontrai Lara in Televisione. Cioè nell’edificio della Televisione nazionale, dove ci trascinavano alle volte dall’università per chiamarci “turno giovane”, “futuri colleghi”, “prossima generazione”. Il mio naso storto fiutò subito ipocrisia. Non credevo in alcun modo che quelle persone fossero pronte a cedere il proprio posto, vedendoli non soltanto aggrappati all’attività, ma perfino tutt’uno con l’intonaco, tutt’uno con gli interstizi della professione. E all’improvviso: Lara, con una gomma da masticare, nei camerini.

Poi mi raccontò che finì in Televisione per via della Famiglia. Evidentemente qualcuno dei suoi parenti era parte di quеi piastrellati, imperituri interni della corporazione televisivese. Sospettavo che fosse suo padre, che alle volte Lara menzionava marginalmente come “signor star”. Diceva che i suoi genitori erano da tempo “arredo domestico che non utilizzava più”. Non andai a fondo con la curiosità in quei rapporti familiari sbudellati, ma alle volte nei ricordi di Lara scattavano delle molle che non potevo non vedere. In realtà non vidi mai i suoi genitori, non misi neanche piede in casa. L’aspettavo davanti al loro elegante condominio in via Oborište e leggevo le targhe commemorative all’ingresso, abbastanza per capire che Lara non era di certo la prima persona importante ad abitare quel luogo. Il suo status in Televisione era ben più modesto di come appariva ai miei occhi: era l’assistente del redattore. Vale a dire una sorta di vivo, slanciato e rossiccio prolungamento del telefono di servizio appeso al muro dietro la severa signora con la voce da sega, che mica si muoveva dal suo posto, trasformando la poltrona davanti allo studio nel piedistallo per il suo futuro monumento. Il ruolo di Lara era andare all’ingresso della televisione e accogliere gli ospiti. Tipo portiere della trasmissione. Era temporaneo, voleva vedere, diceva. La verità era che per due anni di fila non l’avevano presa al VITIZ, l’Istituto superiore per le arti teatrali di Sofia, nonostante il “signor star”. Oppure proprio a causa sua.

Ci incrociammo nel bar della Televisione e ci piacemmo subito. Tutti e due eravamo in dissonanza con il classico aspetto fisico televisivese. Io non avevo l’obbligatorio gilet da pescatore cosparso di decine di tasche completamente vuote. Sopra le spalle ossute mi ero buttato la maglietta dei Judas Priest. Lara scandalizzava i corridoi della Televisione con gli immutati jeans tagliati fin quasi alla piega del sedere, una canottierina generosa verso i nostri occhi e orecchini che le sfioravano le spalle. I rugginosi capelli li teneva legati in una treccia che ondeggiava a destra e a sinistra, a cadenza lenta e in sincrono con le pelate teste televisivesi che seguivano ogni traversata di Lara.

«Ma se levassimo le tende?», mi disse lei dopo esserci guardati l’un l’altra per un minuto intero nel bar di servizio al primo piano.

Come se la Televisione fosse una scuola, che figata. Lasciai il caffè a finire di squagliare il sottile bicchiere di plastica del bar e risposi:

«Eddai».

E levammo le tende.

estasi radoslav bimbalov wojtek
Lo scrittore Radoslav Bimbalov (archivio personale)

Estasi di Radoslav Bimbalov, traduzione di Giorgia Spadoni, Wojtek Edizioni, 2025

Condividi l'articolo!
Redazione
Redazione