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Dimmi cosa mangi e Gogol’ ti dirà chi sei

Bliny, kvas, minestra di cavoli, njanja, kaša, lombata di montone, vatruški ripiene, conserve e, ovviamente, vodka. No, non è il menù di un nuovo ristorante russo, ma la descrizione della tavola imbandita di Sobakievič, uno dei personaggi di Anime Morte, di N. V. Gogol’.

gogol

Definito un poema dallo stesso Gogol’, considerato la Divina Commedia russa, riconosciuto collettivamente come poesia epica: il romanzo Anime Morte è a tutti gli effetti una rappresentazione della Russia di metà Ottocento. Se però da un lato Dante, un poeta, ascende dall’Inferno al Paradiso, incontrando peccatori e santi con lo scopo di rappresentare il percorso dell’umanità, il suo smarrimento nel peccato, la possibilità del perdono e redenzione, e infine della beatitudine, dall’altro, l’avventura e gli obiettivi dell’eroe di Gogol’ non sono altrettanto nobili. In solitudine, Čičikov, un piccolo truffatore di provincia, fa il suo arrivo nella misteriosa e anonima città di N. e, recandosi di casa in casa, fa visita ad alcuni proprietari terrieri. Obiettivo del suo peregrinare: la compravendita delle “anime morte”.  Nel descrivere i suoi incontri con gli abitanti locali, Gogol’ non ha però l’obiettivo di costruire un’opera dal valore morale; al contrario, l’autore vuole esporre, descrivere e mettere alla gogna i difetti e le mancanze di ogni classe sociale.

Gli strumenti di cui Gogol’ si avvale per mettere in luce la mediocrità, la pochezza spirituale, la pigrizia provinciale di proprietari terrieri, contadini e funzionari dell’epoca sono l’iperbole, il rovesciamento carnevalesco, l’ironia, il grottesco. I personaggi vengono descritti da un attento occhio satirico a cui non sfugge la loro pošlost’ e la loro telesnost’ (traducibili in italiano con “volgarità” e “corporeità”). Quella dei protagonisti è una grettezza a tutto tondo, che emerge anche negli aspetti più quotidiani, fra cui, soprattutto, il cibo.

L’opera di Gogol’ è pregna di immagini gastronomiche.

Lungo tutto il romanzo, il lettore si imbatte in lunghe descrizioni di banchetti e tavole imbandite, così come in caratterizzazioni di personaggi od oggetti con riferimenti al cibo. Il cibo per Gogol’ non è soltanto un punto di partenza per dar vita alla satira, né un mero richiamo alla sua passione per la cucina – non è un mistero che Gogol’ amasse dilettarsi ai fornelli non solo realizzando piatti tipici della cucina ucraina e russa, ma anche cimentandosi nella preparazione di nuove pietanze assaggiate all’estero, come nel caso dei maccheroni al formaggio subito dopo il suo primo viaggio a Roma. Il cibo sembra svolgere un ruolo chiave nella vita dell’autore, anche se, ironicamente, lui morì di inedia e malnutrizione. Gogol’, infatti, soffriva di disturbi gastrici che lo portavano a provare invidia nei confronti di chi, a differenza sua, poteva permettersi di ingurgitare grandi quantità di cibo e passare da un banchetto all’altro senza porsi troppi problemi riguardo alla digestione.

Nel caso delle Anime Morte, il cibo funge da strumento raffinatissimo grazie al quale è possibile descrivere a pieno la psicologia dei personaggi, il loro status sociale, il loro stile di vita ed esprimere in modo efficace la loro fisicità; grazie al tema alimentare, inoltre, Gogol’ può portare alla luce svariati temi, quale quello dell’avidità, della ricchezza e, più in generale, della gestione delle finanze da parte dei protagonisti, che altri non sono che un chiaro rimando alla società russa dell’epoca.

Servendosi del Nacional’nyj Korpus Russkogo Jasyka (Corpus Nazionale della lingua russa) e del filtro eda i napitki (cibi e bevande), è stato possibile circoscrivere e successivamente analizzare i numerosissimi esempi in cui il cibo o le bevande sono menzionate all’interno del romanzo.

Mann ist, was er isst: l’uomo è ciò che mangia

Non è un caso che nella lingua latina i verbi essere e mangiare potessero coniugare allo stesso modo l’infinito: oltre alla forma edere (mangiare), era possibile riscontrare anche esse (essere o mangiare). Anche nella lingua tedesca e nella lingua russa si riscontrano situazioni simili: nel primo caso la vicinanza tra sein (essere) e essen (mangiare) nella terza persona singolare presente del modo indicativo e la derivazione dell’infinito essen dal latino esse; nel secondo caso, la forma jest’ (essere o mangiare), sebbene la coniugazione sia diversa a seconda che il verbo porti con sé l’uno o l’altro significato.

Feuerbach ci perdonerà se lo andiamo a scomodare per una causa tanto importante. Vissuto fra il 1807 e il 1872, il filosofo tedesco già sosteneva che “Mann ist, was er isst” l’uomo è ciò che mangia. Non è totalmente scorretto pensare che Gogol’ si sia ispirato e abbia incarnato questa massima. Come sottolinea Natalia M. Kolb-Seletski nel suo saggio Gastronomy, Gogol’ and His Fiction, se Aleksandr Puškin esplicita la psicologia dei suoi personaggi tramite i loro gusti letterari, Gogol’ caratterizza i propri tramite descrizioni di cosa e come mangiano. Su undici capitoli, sei costituiscono una mera galleria di ritratti. Ogni personaggio, quindi, può essere analizzato proprio a partire della concezione alimentare di ognuno. È Gogol’ stesso, nel settimo capitolo del romanzo, ad affermare come le inclinazioni e personalità degli uomini emergano anche a partire dalle loro preferenze a tavola:

Gli ospiti, dopo aver bevuto un bicchierino di vodka scura, di colore olivastro quale si trovava solo in quelle malachiti siberiane che in Russia si usano per intagliare i sigilli, si avvicinarono da tutte le parti al tavolo con le forchette, e cominciarono a disvelare, come si suol dire, ciascuno il proprio carattere e le proprie inclinazioni, dandosi da fare chi col caviale, chi col salmone, chi col formaggio.

Le caratteristiche che andiamo a incontrare sono, nell’ordine, la raffinatezza, il fiuto per gli affari, l’inganno, l’abbondanza e l’avidità.

Manilov: raffinatezza e cultura

Manilov, il cui nome è un derivato del verbo manit’ (attrarre, chiamare a sé), è il primo proprietario terriero che Čičikov incontra, nel secondo capitolo. Un uomo cortese, raffinato, colto, elegante ed estremamente educato, un anglofilo che tiene molto all’istruzione dei propri figli. Anche la moglie non è da meno: è una donna gentilissima e di bell’aspetto.

I riferimenti al cibo compaiono anche nella breve descrizione che viene fornita riguardo alla donna, sempre premurosa nei confronti del proprio consorte, al quale non manca mai di offrire un piccolo pezzetto di mela, un confetto o una nocciolina. L’utilizzo dei vezzeggiativi, oltre che di parole piene di tenerezza, non è assolutamente casuale. L’idea che Gogol’ vuole esprimere tramite questo tipo di presentazione dei personaggi è quella di un amore idilliaco e perfetto. Risulta chiaro il motivo per cui, al di là di questi scarsissimi passaggi sovrastanti, il cibo sia una componente pressoché assente nella vita dei Manilov. Tutto ciò che viene offerto a Čičikov, infatti, è soltanto una zuppa di cavoli, per la quale il possidente si scusa, dal momento che non è nemmeno stata preparata in modo eccelso.

Se da un lato le immagini gastronomiche consentono al lettore di comprendere quale sia la personalità di Manilov, al tempo stesso la mancanza di cura nei confronti dei piaceri della tavola rivela un aspetto del suo carattere non indifferente: Manilov non è interessato al nutrimento fisico. A dimostrare ulteriormente questa tesi, viene fatto notare come Čičikov, personaggio camaleontico che cerca di ingraziarsi chiunque incontri sulla propria strada con lo scopo di ottenere il maggior numero di vantaggi per sé, cerchi di sintonizzarsi sulla stessa lunghezza d’onda di Manilov, affermando che niente è più nutriente di una buona conversazione.

«Vi ringrazio infinitamente, sono sazio, una conversazione gradevole è meglio di qualsiasi pietanza».

Korobočka: fiuto per gli affari e opportunismo

In opposizione all’etereo Manilov, nel terzo capitolo Gogol’ presenta al lettore l’ambiziosa e materialista Korobočka, il cui nome parlante, rimanda al sostantivo russo per “scatoletta”. È una vedova testarda e accaparratrice, circondata da un alone di mistero. Come fa notare anche Kolb-Seletski, la vita della donna ruota attorno all’orto, al pollaio e alla propria cucina. Gli alberi da frutto e gli ortaggi vengono descritti con precisione. Per lei il cibo costituisce la sua principale fonte di guadagno, motivo per cui si dedica non solo alla cura del proprio giardino e del proprio allevamento, ma anche alla produzione di miele e alla lavorazione di farinacei, che è disposta a vendere a qualsiasi costo. È proprio il suo miele che cerca di proporre a Čičikov come merce di scambio per le anime morte, al posto del semplice denaro.

«Ecco, vedete? Ed era miele. L’avete tenuto da parte per quasi un anno, con tutte le preoccupazioni, la fatica, le noie; siete andata in giro, avete sterminato le api, le avete alimentate per tutto l’inverno in cantina; mentre le anime morte non sono cosa di questo mondo.»

«Su, dai, sono pronta a darteli per quindici assegnati! Solo che, padre mio, riguardo agli appalti: se avrai l’occasione di prendere farina di segale, o di grano saraceno, o di frumento, o di bestie macellate, allora te ne prego, non farmi un torto».

Nozdrëv: l’inganno e la truffa

Non solo il cibo, ma anche le bevande, in particolare quelle alcoliche, possono diventare un’arma di persuasione nei confronti del prossimo. Nel quarto capitolo, il protagonista fa la conoscenza di Nozdrëv. È un menzognero nato, un truffatore, un uomo impulsivo, tumultuoso e violento. Il cibo è sintomatico nella descrizione di Nozdrëv. Nel presentare il personaggio, l’autore utilizza due metafore a sfondo alimentare: i suoi denti vengono paragonati allo zucchero, tale è il loro biancore, e la sua carnagione, simile, a latte e sangue rende l’idea della sua freschezza e della sua giovinezza. Il vino, così come ogni bevanda alcolica, si dimostra essere nozione chiave per comprendere la natura di Nozdrëv, amante delle feste, dei buffet, e, in poche parole, di tutti quelle situazioni dove sia possibile ubriacarsi. Il continuo accumularsi di bicchieri di bevande alcoliche, la grande varietà di bottiglie di liquidi diversi da lui possedute vengono espressi tramite l’espediente dell’elenco.

Questa rappresentazione iperbolica suggerisce al lettore la sregolatezza dell’uomo. Tuttavia, la passione di Nozdrëv per l’alcool è inversamente proporzionale all’importanza da lui attribuita al cibo. L’autore pone l’accento sul modo in cui nella vita privata, nella sua proprietà, Nozdrëv non si curi affatto della cucina. Un ulteriore riferimento alla predilezione di Nozdrëv per l’alcool è riscontrabile nel settimo capitolo. I protagonisti vengono invitati ad una festa organizzata a casa del capo della polizia, considerato da tutti i cittadini un vero e proprio benefattore, motivo per cui viene sempre omaggiato di doni di qualsiasi genere, anche alimentare. Ogni commensale si fionda sul buffet, prediligendo chi una pietanza, chi un’altra. A differenza altrui, però, Nozdrëv decide immediatamente di darsi all’alcool. In quest’ultimo esempio l’autore giustifica la scelta dell’uomo di bere tè corretto con del rum sostenendo che questo sarebbe il modo di Nozdrëv per prendere coraggio. Sebbene il ricorso alle bevande alcoliche sia decisamente un modo per assumere coraggio, il motivo per cui il personaggio si affida al vino o a svariati liquori è da rintracciare nella sua tendenza a truffare il prossimo:

Se questo non avveniva, capitava comunque qualche cosa che a un altro non sarebbe mai successa: o si pigliava una tale sbornia al buffet che poi non la smetteva più di ridere, o cominciava a raccontare frottole talmente grosse che alla fine poteva solo provarne vergogna lui stesso.

Sobakevič: tradizione e abbondanza

L’abbondanza e l’iperbole sono espedienti chiave nella narrativa gogoliana che arrivano a toccare il proprio apice nel quinto capitolo dell’opera. Čičikov fa visita a Sobakevič, un possidente il cui nome rimanda subito al sostantivo russo sobaka (cane). Le sue sembianze, rozze e imponenti, rimandano a quelle di un orso e il suo nome, Miša, non fa altro che accentuare questa caricatura.

La natura animalesca di Sobakevič emerge senza dubbio a tavola, dove l’uomo sembra non esaurire mai l’appetito. Al protagonista viene offerta un’enorme quantità di cibo. Anche gli aggettivi che vengono utilizzati per descrivere le portate esprimono un’idea di esagerazione, tanto che è possibile definire iperbolica questa descrizione della tavola di Sobakevič. Il modo in cui si nutre, inoltre, è diverso da quello degli altri possidenti: invece che assaggiare molte pietanze, si fionda su un solo ricchissimo piatto, mangiando ora un’oca da solo, ora uno storione intero.

Oltretutto è doveroso prestare attenzione alla qualità del cibo. Tutti i piatti sono stati preparati dalla moglie di Sobakevič utilizzando soltanto ingredienti naturali e seguendo pedissequamente le ricette della tradizione. La predilezione per un cibo legato alla propria terra e alle proprie usanze giustifica l’atteggiamento sempre sospettoso di Sobakevič nei confronti di ciò che è a lui nuovo e sconosciuto.

Pljuškin: avidità e solitudine

Una funzione rivestita dal cibo completamente diversa rispetto alle precedenti fa la sua comparsa nel sesto capitolo. Čičikov fa visita a Pljuškin, un uomo vedovo e solo, abbandonato persino dai suoi figli. In realtà il cibo è pressoché assente all’interno di questo capitolo, ma è proprio questa sua assenza a rendere efficace la caratterizzazione del possidente. Pljuškin, a differenza degli altri proprietari terrieri, non offre nulla all’ospite, se non una fetta biscottata ammuffita, una tazza di tè e un bicchiere di liquore. Il cibo offerto da Pljuškin è avvizzito, ammuffito, in altre parole, morto.

Andrej Belyj definisce il principio secondo cui si struttura il poema: «Ogni proprietario terriero in cui si imbatte il protagonista è più morto del precedente»; Aleksandr Voronskij scrive: «I personaggi diventano sempre più anime morte per poi pietrificarsi del tutto in Pljuškin».  È evidente che la decadenza e la morte pervadano il capitolo dedicato a Pljuškin, la cui casa è una catapecchia crepata e il cui giardino è dismesso; l’atmosfera che traspare da queste descrizioni è sinistra. L’offerta viene astutamente declinata da Čičikov. La fetta biscottata, infatti, è logicamente ammuffita dal momento che gli era stata portata in dono dalla figlia moltissimo tempo prima, mentre nella bottiglia di liquore, quasi totalmente evaporato poiché era stato distillato dalla moglie quand’era ancora in vita, fino a poco tempo prima svolazzavano degli insettucci che lui stesso aveva fatto uscire. Come se non bastasse, nonostante la fetta biscottata presenti una superficie ammuffita, Pljuškin ordina a Mavra di non buttarla, ma di grattare con un coltello il lato andato a male e di utilizzare queste briciole come nutrimento per i polli. L’idea che il comportamento del possidente suggerisce al lettore è quella di un uomo estremamente avido, conservatore e tirchio. Da attivo e avveduto possidente, si è trasformato in vecchiaia in un’orrenda figura di Arpagone che si muove in mezzo all’immondizia.

Sebbene l’avidità sia una tematica fondamentale all’interno della caratterizzazione del personaggio, non è l’unica. Il protagonista rifiuta qualsiasi vivanda offertagli dal possidente, affermando di aver già bevuto e mangiato. Questo colpisce positivamente l’anziano possidente, che può così risparmiare quella tazza di tè, quel bicchiere di liquore e quella fetta biscottata ammuffita. Pljuškin cerca di giustificare la propria gioia affermando come la scarsità di appetito in un uomo sia un segnale della sua nobiltà. L’affermazione di Pljuškin lo connota in senso opposto rispetto a Sobakevič. Per quest’ultimo, infatti, il cibo è una componente fondamentale nella vita dell’uomo, mentre per l’anziano vedovo il cibo rimanda alle tematiche della pochezza, della scarsità o meglio della conservazione e dell’accumulamento.

La galleria di ritratti termina qui, lasciando al romanzo la possibilità di proseguire nell’intreccio e nella trama. Narrando, Gogol’ intesse una ragnatela di significati fittissima, dove ogni immagine evocata ha sia un significato superficiale e immediato, che uno più profondo, visibile solo al lettore che, come Gogol’, sonda, studia e indaga.

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Laura Cogo
Laura Cogo

Laureata in Lingue e letterature straniere a Milano con le tesi “Immagini gastronomiche nelle Anime Morte di N. V. Gogol’” e “Le dimensioni dell’individualismo e del collettivismo nella quotidianità in Russia e in Italia”, Laura Cogo è attualmente docente di lingua e letteratura. Collabora con Russia in Translation e Ilnevosomostro.