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Perché il Cremlino mette le mani sulle icone ortodosse

In questo articolo, pubblicato originariamente da New Eastern Europe e tradotto da Martina Napolitano, James C. Pearce* spiega come i provvedimenti varati da Vladimir Putin nel 2023 in merito alla restituzione di icone ortodosse e altri manufatti storico-artistici alle città del cosiddetto “Anello d’oro” sottolineano una volta di più come il Cremlino tenti di legare il presente al passato. Risalenti ai tempi dell’antica Rus’, le città dell’Anello d’Oro stanno infatti tornando a svolgere un ruolo estremamente importante per l’identità russa. 

In Russia la più importante tra le icone ortodosse è quella della Trinità, dipinta nel 1420 da Andrej Rublëv. La decisione presa dal presidente russo, nel maggio del 2023, di trasferirla nuovamente (dalla Galleria Tret’jakov di Mosca) al monastero della Trinità di Sergiev Posad non è stata né casuale né aneddotica. Questa scelta è strettamente connessa alla guerra, a una certa idea di Russia e ai rapporti tra Stato e Chiesa. La Galleria Tret’jakov, che si è dichiarata contraria al provvedimento, ha assunto una posizione di per sé simbolica, anche se non per le motivazioni più immediate.

Anche le tempistiche con cui tutto ciò è accaduto non sono casuali. La mossa è arrivata dieci giorni dopo l’annuncio che il sarcofago d’argento di Aleksandr Nevskij, conservato al Museo dell’Ermitage di San Pietroburgo, sarebbe stato restituito alla Chiesa per cinquant’anni. Ma non è tutto.

Discendenti dell’antica Rus

In primo luogo, va detto che c’è un rapporto viscerale che lega le città dell’Anello d’Oro all’idea di nazione e di Stato russo. Le otto città che costituiscono questo complesso storico-turistico sono considerate il cuore della Russia. Un tempo centri spirituali, culturali, economici e politici dell’antica Rus’, hanno visto il passaggio della stirpe del leggendario capo variago Rjurik. Queste città sono ex capitali, importanti snodi commerciali e spesso sono quelle a cui molti pensano quando immaginano i pittoreschi paesaggi russi con chiese in legno o ricoperte d’oro.

I discendenti di Rjurik finirono qui, poiché i principi di Kyiv mandavano spesso i figli a governare altre parti della loro libera confederazione. Jaroslav il Saggio, grande modernizzatore e autore del primo codice giuridico russo, fu inviato in gioventù dal padre a governare Rostov e le regioni circostanti. Qui fondò Jaroslavl’, a cui diede il suo nome, Tartu nell’attuale Estonia, Bila Cerkva in quella che oggi è Ucraina e Jarosław nell’odierna Polonia. La sua famiglia divenne una delle quattro casate rivali discendenti da Rjurik che si contendevano il trono di Kyiv. È dalla sua che proveniva anche Aleksandr Nevskij.

Nevskij nacque a Pereslavl’-Zalesskij, una città dell’Anello d’Oro che dista 140 chilometri in direzione nord-est da Mosca. Un tempo nota per i suoi falegnami, fabbri e pittori, è anche il luogo in cui Pietro il Grande “giocava alla guerra” sul lago Pleščeevo sognando la futura marina russa. Nevskij è diventato eroe nazionale russo dopo aver sconfitto i Cavalieri Teutonici. Li vinse mentre la Rus’ cadeva sotto i Mongoli e rifiutò di convertirsi in cambio del loro aiuto. Per la sua fedeltà, i mongoli lo nominarono Gran Principe di Vladimir. Come risultato, il casato si preservò e Vladimir mantenne per il momento lo status di città più importante.

Lo Stato russo oggi si dipinge come l’erede naturale di questo lignaggio e della città di Vladimir. Qui è nata l’autocrazia russa, mentre le sue chiese e i suoi monasteri erano un tempo tra i più grandi e imponenti d’Europa. La Cattedrale della Dormizione di Vladimir venne costruita per ospitare un’icona bizantina che si diceva avesse respinto gli aggressori. Nel 1408 l’interno fu ridipinto nientemeno che da Rublëv. Il fatto che anche il Cremlino di Mosca abbia modellato le sue cattedrali su quelle di Vladimir e Suzdal’ dimostra la necessità avvertita dallo Stato moscovita di affermare il proprio lignaggio discendente da Rjurik attraverso il modello della città di Vladimir.

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L’intercessione divina

Il monastero della Trinità fu fondato da San Sergio di Radonež, in realtà originario di un’altra città dell’Anello d’Oro, Rostov Velikij. Si dice che San Sergio abbia vissuto una vita modesta e umile, all’insegna della preghiera e della riflessione. Fu lui a benedire Dmitrij Donskoj nel monastero prima della battaglia di Kulikovo nel 1380, che fu la prima vittoria russa contro i mongoli.

La battaglia avvenne in un momento in cui Mosca stava ancora lottando per affermare la propria autorità sulla regione rivale, Tver’, i cui principi ambivano al titolo di Gran Principe. Pur non facendo parte di una guerra sacra o patriottica, la battaglia di Kulikovo ha indubbie profonde connotazioni spirituali nella Russia moderna. San Sergio svolse un ruolo preminente nel rafforzamento spirituale del popolo russo durante l’occupazione da parte della cosiddetta “forza demoniaca”, come alcuni chiamavano i mongoli. In seguito, divenne un importante simbolo unificatore per la nazione russa nei momenti di difficoltà.

Lo stesso si può dire dell’icona preservata nel monastero. Nikon, igumeno discepolo di Sergio, chiese a Rublëv di realizzare un’immagine della Trinità in onore del santo. Vi è rappresentata una storia biblica, l’ospitalità di Abramo (Genesi 18). Rublëv spoglia la raffigurazione di tutti i dettagli secondari per far risaltare la Santissima Trinità (Padre, Figlio e Spirito Santo).

Nell’icona, tre angeli siedono a un tavolo con una coppa che rappresenta l’Eucaristia. Oltre alle reliquie di San Sergio, l’icona divenne uno degli oggetti più sacri del monastero. Ciò è dovuto in parte al fatto che sono pochi gli oggetti sopravvissuti che raffigurano la Trinità e che Rublëv sembrava avere una propria idea della Trinità stessa, che raffigurava in maniera peculiare (ad esempio, il suo Dio non è un vecchio, il suo Gesù non è una colomba).

"Trinità", icona ortodossa di Andrej Rublëv
La Trinità di Andrej Rublëv (Wikimedia)

Tuttavia, l’icona è diventata anche simbolo del concetto di nazione russa unita. Da un lato, c’è il legame con un santo di cui molti cristiani ortodossi in Russia e all’estero tengono icone nelle loro case. Dall’altro, essa rappresenta un momento cruciale nella storia della Russia, ovvero quando Mosca e il suo “cuore” territoriale si sono resi protagonisti di un simbolico trionfo militare.

La battaglia di Kulikovo segnò l’inizio della liberazione russa dall’occupazione mongola. Dopo la rinascita della Russia sotto la nuova capitale Mosca, La Vita di San Sergio fu una delle prime cronache ufficiali pubblicate nel Paese. L’opera fu commissionata dalla Chiesa, non dal nuovo Stato moscovita, e non fu un caso. Il nuovo Stato a guida moscovita, che divenne il punto più orientale della Cristianità, aveva bisogno di figure nazionali protagoniste di episodi storici trionfali. La famiglia moscovita al potere era composta da discendenti di Nevskij e dei principi di Vladimir. Sergio di Rostov Velikij e di Sergiev Posad è stato l’anello di congiunzione religioso. In prospettiva storica, Mosca si presentava come la legittima erede politica e spirituale della Rus’.

L’eredità del 1917 sulle icone ortodosse

Dopo il colpo di stato dell’Ottobre 1917, la Guardia Rossa e le milizie presero possesso delle stazioni ferroviarie dell’Anello d’Oro e nazionalizzarono gli archivi. Ciò significava che tutto ciò che si trovava nei monasteri dell’Anello d’Oro apparteneva ora allo Stato e, dunque, ai bolscevichi.

Molti affreschi, reliquie e manufatti della chiesa vennero rimossi o trafugati. Nel complesso, molti ebbero la fortuna di finire nelle gallerie delle grandi città. A Suzdal’, per esempio, la Čeka locale prese il controllo della biblioteca del monastero di Sant’Eutimio e fece una nuova razzia nel monastero nel 1920. Anche il monastero Ipat’ev a Sergiev Posad venne espropriato prima di essere trasformato in un museo d’arte popolare e tessile cui persino Lenin fece visita. La città cambiò nome in Sergiev nel 1919 e poi in Zagorsk nel 1930, nome che mantenne fino al collasso dell’Urss.

Un destino simile toccò a Kostroma, la cui principale cattedrale venne distrutta nel 1933 per il suo legame con la dinastia Romanov. La leggendaria Icona della Madonna Feodorovskaja, una delle icone più importanti della Chiesa ortodossa russa, che sarebbe stata realizzata secondo la leggenda dall’apostolo Luca e che venne portata in battaglia da Aleksandr Nevskij, fu trasferita nella Chiesa della Resurrezione sul fiume Debra e lì nascosta al pubblico. Le Porte d’Oro di Vladimir vennero trasformate in un museo di storia militare. E così è stato per gran parte del Novecento. Molte altre chiese e monasteri dell’Anello d’Oro caddero in rovina, vennero abbandonati o addirittura demoliti. Già negli anni Sessanta, molti erano ormai in pericolo di crollo.

L’icona della Madonna Feodorovskaja

Da quando Putin è salito al potere, ci sono state diverse aperture concilianti nei confronti della Chiesa ortodossa e dell’Armata Bianca. Nel 2005 il leader russo presenziò alla risepoltura del generale dell’Armata Bianca Anton Denikin e concesse la cittadinanza russa a sua figlia a Parigi. Dopodiché c’è stata la restituzione della Cattedrale di Sant’Isacco di Pietroburgo alla Chiesa ortodossa russa nel 2017, mossa che ha scatenato enormi proteste. Sebbene nell’opinione pubblica le simpatie non fossero più per i bolscevichi, non si era ancora creato un favore opposto. Ciò si riflette forse nella posizione della galleria Tret’jakov e nel clamore minore suscitato nell’opinione pubblica.

Nonostante l’inasprimento delle leggi sulla censura, l’eredità del 1917 rimane un confine invalicabile e un tabù sociale. Tuttavia, i curatori sostengono che l’icona ha bisogno delle giuste condizioni per essere preservata e hanno denunciato i danni apportati alla Trinità durante la sua ultima esposizione.

C’è un’ultima considerazione in merito a queste decisioni e ha a che fare con la storia locale. Questa icona non appartiene in effetti alla popolazione di Sergiev Posad? Non dovrebbe dunque essere resa al suo luogo d’origine? Le identità regionali contano in Russia, soprattutto vista la natura controversa della rimozione di quest’icona. Dopotutto, Vladimir, Rostov, Suzdal’ e Jaroslavl’ furono in primo luogo dei principati che operavano in modo più o meno indipendente. L’impulso al turismo che ne deriverebbe non ha alcun peso reale. Inoltre, Sergiev Posad può anche essere oggi una piccola città regionale, ma la sua importanza nella storia della Russia è pari a quella di Kyiv, Vladimir e Mosca.

Le città dell’Anello d’Oro sono inseparabili dall’identità politica e culturale russa. San Sergio e Aleksandr Nevskij sono eroi nazionali e questi manufatti non potrebbero essere più significativi per la nazione e lo Stato russo. Oggi lo Stato ha bisogno della Chiesa sia come forza unificante sia per fornire una giustificazione spirituale all’invasione.

Il fatto che il patriarca Kirill si auspichi che questa “buona intenzione” (le restituzioni) perduri nel tempo suggerisce che altre icone e manufatti torneranno a “casa” o troveranno nuove dimore. Tuttavia, l’indignazione dell’opinione pubblica non mancherà di certo. Il fatto che la galleria Tret’jakov abbia inizialmente sfidato i provvedimenti statali, proprio come avevano fatto i cittadini di San Pietroburgo nel 2017, è significativo. Discussioni importanti e sensate sulla storia nazionale possono ancora avvenire in Russia oggi. Per questo, ci sarebbe da festeggiare.

*James C. Pearce è uno storico che insegna presso il College of West Anglia ed è autore di The Use of History in Putin’s Russia (Vernon Press, 2020).

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Redazione
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