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La Aludi georgiana, una birra nella “culla del vino”

Nelle campagne pubblicitarie istituzionali per promuovere il turismo, la Georgia si presenta come “la culla del vino”, ovvero il luogo dove l’umanità ha iniziato a bere e produrre la bevanda derivante dalla fermentazione dell’uva. Nel 2017, nei pressi di Tbilisi, sono stati ritrovati i più antichi resti di vasi contenenti vino – risalenti a circa 8mila anni fa – che confermano tale rivendicazione. In precedenza, nel 2013 l’Unesco aveva riconosciuto il metodo tradizionale georgiano di vinificazione nei cosiddetti qvevri (ქვევრი), ovvero nelle anfore in terracotta realizzate a mano e impiegate nella produzione di vino da migliaia di anni, come patrimonio culturale immateriale. Il vino copre anche un ruolo fondamentale nella cultura georgiana, in particolare in occasione delle festività religiose.

Nelle regioni montuose del paese, laddove la viticoltura non è possibile, il ruolo del vino è rimpiazzato però da un’altra bevanda simile alla birra, la aludi (in alfabeto georgiano: ალუდი). La tradizione dell’aludi è presente in Chevsureti – terra di origine dei samasi aragveli – e in uno dei luoghi più inaccessibili della Georgia, il Tusheti. Attorno a questa bevanda si legano tradizioni antiche quanto quelle vinicole.

Aludi, una storia antica

Eldar Nadiradze nel saggio Birra georgiana scrive che la cultura della birra è stata anticamente introdotta in Georgia dall’Egitto, la Persia e la Mesopotamia. Come detto, laddove era difficile la coltivazione della vite, la birra ha sostituito il vino. Il Chevsureti e il Tusheti, regioni incastonate tra le montagne del Caucaso maggiore, presentano proprio queste caratteristiche.

La aludi del Tusheti è considerata una sorta di via di mezzo tra la birra e il vino. Si produce a partire dal malto d’orzo di montagna e luppolo selvatico ed è una bevanda scura a bassa gradazione alcolica che assume una sfumatura di colore arancione. Con il suo gusto delicato, è rinfrescante e ha un retrogusto simile a quello della kombucha.

Tradizionalmente veniva prodotta esclusivamente in occasione di festività estive quali l’atengenoba (ათენგენობა), una ricorrenza religiosa che si svolge circa cento giorni dopo Pasqua. In Tusheti, territorio molto radicato nella tradizione, tale festività include diversi riti che mescolano elementi cristiani e pagani. Tra questi, ogni villaggio ha una capanna dove la aludi viene prodotta dagli uomini e in cui le donne non sono ammesse. I rituali dell’atnigenoba sono guidati dal cosiddetto “servitore della croce” (shulta – შულტა), l’unico ad avere il diritto di portare la bandiera e di annunciare l’inizio della festività, accompagnato dal suono delle campane. Il compito di shulta è quello di accogliere gli abitanti del villaggio e gli ospiti, diventando anche il responsabile della produzione della birra aludi.

Anche in occasione della shultaoba (შულტაობა) si nota la produzione di birra: per questa festività, sei famiglie in ogni villaggio si prendono la responsabilità di produrre birra per tutti, una tradizione che si perde nei secoli.

Gli abitanti del luogo considerano, in un certo senso, la birra in Georgia come una bevanda sacra, sempre presente nei rituali, nelle festività e anche nei funerali (non produrre aludi in onore della morte di una persona viene ancora considerato come se l’avessero abbandonata senza essere sepolta).

Il Tusheti, fortezza nel Caucaso

Considerata un po’ come il Santo Graal dei viaggi in Georgia, il Tusheti è una delle zone montuose più alte e remote del paese. Il mese di agosto si rivela il periodo migliore per visitarla e scoprirla perché il rito dell’atengenoba, segnando l’inizio del raccolto autunnale, è un evento che si svolge in tutti i villaggi del Tusheti e che raggruppa tutti gli abitanti della regione per due settimane. Comporta la produzione di birra aludi, vari sacrifici di animali e festeggiamenti rituali sorprendenti.

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Aleksej Tilman
Aleksej Tilman

Laureato in scienze politiche, ha vissuto due anni a Tbilisi, lavorando e specializzandosi sulle dinamiche politiche e sociali dell'area caucasica all'Università Ivane Javakhishvili. Ha collaborato con East Journal dal 2015 al 2021.