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FjalaFest: la letteratura albanese a Milano

di Fabio M. Rocchi*

Si è conclusa a Milano la seconda edizione di FjalaFest, evento dedicato alla letteratura albanese in Italia (26-28 settembre 2025). Il festival è stato organizzato presso il Centro Culturale “Slow Mill” da un team di lavoro diretto da Besmir Rrjolli, fondatore dell’Associazione “Dora e Pajtimit”. 

Le comunità intellettuali albanesi – quella residente in patria e quella delle numerose diaspore internazionali – hanno dialogato sul presente e sul futuro della letteratura albanese, di fronte ad un pubblico composto da lettori e da persone interessate.

La letteratura albanese contemporanea sembra giunta, per sua stessa volontà e consapevolezza, a un significativo momento di svolta. L’evento ha dunque reso esplicita la sua valenza non soltanto nel quadro del dialogo culturale italo-albanese, ma anche in una direzione critica, capace di offrire spunti di sintesi per alcune dominanti stilistiche e formali che sono già in essere e che sembrano destinate a caratterizzare un certo tipo di sguardo conoscitivo e narrativo di qui in avanti. 

La manifestazione ha avuto luogo anche grazie al co-finanziamento del ministero dell’Economia, Cultura e Innovazione albanese e al supporto del Consolato della Repubblica d’Albania a Milano. L’inaugurazione ufficiale ha visto non a caso la partecipazione di figure di rilievo come Anila Pojani, console generale, Raffaele Cattaneo, sottosegretario alla presidenza della regione Lombardia, e Marzia Pontone, presidente della commissione Educazione del comune di Milano, a riprova di come il mondo istituzionale sia stato concretamente impegnato per sottolineare il valore culturale e strategico dell’iniziativa.

Per volontà del professor Stefan Çapaliku, curatore e responsabile scientifico di questa edizione, la manifestazione ha mostrato con chiarezza un preciso focus logico, sintetizzabile nel macrotema Versus Europa. Questa linea editoriale ha orientato gli incontri, non soltanto favorendo la presentazione delle opere, ma incentivando lo svolgimento di un dibattito serrato sul ruolo della letteratura albanese all’interno del contesto europeo e sulle sue implicazioni sociali e civili.

Vanno riconosciute all’operato di Çapaliku, a sua volta scrittore e drammaturgo oltre che studioso, due acquisizioni importanti. L’allargamento del concetto di canone della letteratura albanese di oggi a territori come il Kosovo, la Macedonia del Nord e il Montenegro; e la compresenza di generazioni distanti, circostanza che mappa compiutamente il contemporaneo dividendolo, così come sempre accade, in due emisferi integrati e però in parte eterogenei. Quello della generazione dei giovani, il cui sguardo si proietta per natura oltre, andando a cogliere sfumature innovative e urgenze ancora inesplorate; e quello delle generazioni in cui questo tipo di sguardo si dispiega in modalità più caute, sicuramente temprate dal vaglio dell’esperienza e della storia.

Queste due intuizioni hanno trovato forma in un’antologia – tradotta in italiano da Fabio e Kriselda Rocchi – che, comprendendo prosa e poesia e raccogliendo alcune delle voci più significative del periodo, ha rappresentato una delle novità più forti tra quelle proposte in questa seconda e più matura edizione. FjalaFest ha pertanto riunito, proprio attorno a questo volume, un nutrito gruppo di autori albanesi, offrendo uno spaccato diversificato e molto interessante della produzione letteraria attuale.

Tra i nomi dei partecipanti va menzionato tra i primi quello di Visar Zhiti, la cui opera è, da anni anche in Italia, dolente e granitica espressione di una memoria storica complessa, affiancato da scrittori quali Selma Dino, Lulzim Haziri, Durim Taçi, Virion Graçi, Ndue Ukaj, Ledia Dushi, Marsela Neni, Mark Lucgjonaj e Andreas Dushi. 

Leggi tutti i nostri approfondimenti dedicati ai rapporti tra Italia e Albania

L’antologia Versus Europa

L’idea di concretizzare il fermento letterario proveniente dagli autori selezionati in una antologia testimonia lo stato dell’arte di alcune tendenze della letteratura albanese e in modo complementare presenta il pregio di riunire in una unica sede, come già accennato prima, scrittori appartenenti a generazioni differenti, comprese in un intervallo temporale che va dagli anni Cinquanta alla fine degli anni Novanta.

La compresenza di visioni e di approcci dislocati su più generi e su più livelli di espressione permette di apprezzare non soltanto le peculiarità degli autori in essa contenuti, ma rende possibile anche qualche considerazione di carattere diacronico, relativo alla più stretta contemporaneità della letteratura dell’Albania.

Il collasso della dittatura comunista nel 1991 ha rappresentato una frattura radicale non solo nella storia politica della nazione, ma anche nella sua produzione letteraria. Il rapido passaggio da un regime fortemente censorio, in cui la letteratura era subordinata ai dettami del realismo socialista di stampo sovietico, verso una società caratterizzata invece da una vertiginosa propensione al tardo capitalismo di natura speculativa, ha aperto spazi di espressione tanto inesplorati quanto profondamente problematici.

La letteratura albanese successiva al 1991 si configura dunque come una scrittura post-traumatica, costretta a ripensare non soltanto i temi, ma anche i propri strumenti, la propria funzione e il proprio pubblico. In una dimensione quasi agonistica con ciò che aveva prevalso in precedenza, in quella fase di prima transizione i temi che avevano preso spontaneamente campo si erano misurati con una serie ristretta di opzioni.

La rievocazione di una Albania premoderna e dunque priva di colpe; l’esperienza dell’esilio e del doppio sradicamento affrontato con coraggio dagli emigranti, in cui a predominare era stata una nostalgia per un altrove mai del tutto posseduto; e, soprattutto, la suggestione più forte avvertita dagli scrittori, quella cioè della ricostruzione del passato, spesso nella forma della denuncia o del revisionismo critico.

La maggioranza degli autori finì ben presto per confrontarsi senza sosta con lo shock collettivo della dittatura, con i silenzi imposti, con lo smascheramento dell’ipocrisia ideologica, che portava alla luce senza sconti la frattura esistente tra verità storica e verità vissuta. Emersero inoltre, in lingue diverse da quella madre, opere che alternavano documento e finzione, autobiografia e allegoria, opere appetibili, specie in una prima fase, per il mercato occidentale, che mostrò una fame anche morbosa per storie di miseria, di soprusi e di disperazione che provenivano da un mondo fino a poco tempo prima impenetrabile. Questo ultimo aspetto pone senza dubbio questioni di metodo e di teoria letteraria che non è il caso di approfondire qui. 

Si trattava di una letteratura che tentava comunque di dare la parola a ciò che era stato prontamente rimosso, con l’intento di ricostruire una coscienza collettiva che fungesse in qualche modo anche da monito per le nuove generazioni. Quella lunga quanto legittima fase, durata oltre trent’anni e sempre in bilico tra scritture storico-relistiche e testimoniali, è adesso molto vicina alla sua eclissi definitiva. E, non a caso, una delle maggiori peculiarità di molti dei testi che compongono l’antologia che è stata presentata al FjalaFest è quella che li vede accomunarsi – fatte salve le disparità dei differenti immaginari d’autore – attorno a un presupposto di natura non estetica o stilistica quanto tematica.

Emerge un iper-realismo visionario che deforma volutamente il dato esperibile, reinterpretandolo alla luce di inedite volontà descrittive. Anche là dove, per così dire, si proietta uno sguardo retrospettivo sul passato, lo si fa con un tono e una impostazione stranianti, profondamente consapevoli della necessità di strumenti più dirompenti della semplice cronaca.

Il risultato è una letteratura che mette in crisi, e dall’interno, il concetto stesso di appartenenza, ridefinendo i confini del canone nazionale ed esprimendo al contempo il passaggio in direzione di una dimensione più profonda: nel rinnegamento di un dolente e al tempo stesso compiaciuto rimestare nella memoria troviamo una resistenza che esprime chiaramente un voler voltare pagina, un atto simbolico, esistenziale e politico, che imprime a questa scelta dimensioni autoriali finalmente dirompenti. I testi raccolti mostrano in concreto le declinazioni più diverse di questa prospettiva, in buona parte ancora inedita e in via di farsi proprio nell’ultimo quinquennio. 

Il dialogo con il mondo dell’università e dell’editoria

In una chiave più scientifica e accademica, FjalaFest ha ospitato un contributo di rilievo dedicato alla storia della mediazione culturale: la presentazione “Cenni storici sulla traduzione in italiano della letteratura albanese”, tenuta dalla professoressa Blerina Suta, docente all’Università di Napoli L’Orientale, e moderata dallo scrittore e traduttore Durim Taçi, ha permesso di acquisire strumenti ulteriori per la comprensione del presente, a partire da una scrupolosa e documentata analisi dei processi del passato. Questo approfondimento ha fornito un’acquisizione di natura filologica essenziale per inquadrare la ricezione della cultura albanese in Italia.

Fondamentale per il successo del festival è stata l’impostazione, voluta dal curatore e sempre mantenuta da tutti i partecipanti, di un livello di dialogo aperto e quasi colloquiale, seppur nutrito di evidenze, per creare un ponte professionale ma divulgativo tra la comunità degli specialisti e il pubblico; e, non a caso, non sono mai mancati interventi e domande dalla platea che hanno rilanciato più volte la discussione.

Altrettanto rimarchevole, assieme alla panoramica ricostruita da Blerina Suta, la declinazione a due voci di un tema quanto mai attuale, quello dei rapporti tra letteratura e politica. In un incontro moderato ottimamemte dallo scrittore Andreas Dushi il professor Matteo Mandalà, dell’Università di Palermo, e Visar Zhiti – la cui drammatica esperienza di vita ha richiamato le storture di un pensiero monodirezionale e cieco – hanno animato con contenuti incontestabili un dialogo a distanza di grande spessore intellettuale.

Nella successiva tavola rotonda, dedicata invece al mondo dell’editoria e agli attori della imprescindibile fase della traduzione, l’editore Livio Muci ha richiamato alla necessità di una sinergia totale di tutte le componenti in gioco, prime tra tutte le istituzioni, trovando supporto nel pubblico e permettendo di sondare da vicino le richieste e le aspettative della comunità dei lettori. 

Uno dei momenti conclusivi e più attesi si è concentrato infine nell’assegnazione del premio annuale per la migliore traduzione dall’albanese all’italiano. Questo riconoscimento, che mette in luce la professionalità e l’importanza della mediazione linguistica, è stato conferito a Julian Zhara per la traduzione del romanzo Të çmendur në Parajsë  (Il paradiso dei folli) di Virion Graçi, pubblicato in questo 2025 da Bibliotheka Edizioni.

Il premio è stato istituito proprio per sottolineare l’importanza del lavoro di trasposizione da una lingua all’altra, essenziale per la circolazione delle opere e per l’arricchimento del patrimonio letterario italiano anche attraverso voci albanesi ancora purtroppo poco note o poco lette nella loro complessità. 

Tra i vincitori del premio c’è stata anche la traduttrice Giovanna Nanci: leggi la nostra intervista qui

Questa edizione di FjalaFest non ha soltanto documentato dunque la pluralità culturale del movimento letterario albanese contemporaneo: ha mostrato una molteplicità di visioni e di genealogie interne a questo universo.

Pur nella diversità intrinseca al gesto individuale dei singoli autori, è emerso un desiderio comune, assieme a un nuovo modo di abitare il presente letterario. Si tratta di un presente fortemente influenzato dalle tendenze della migliore narrativa internazionale degli ultimi decenni (Roberto Bolaño, Haruki Murakami, Emmanuel Carrère, Paolo Giordano, Judith Hermann, Christian Kracht e Mircea Cărtărescu, giusto per ricordare qualche nome), in cui, in una rappresentazione quasi allucinatoria del reale, sogno e realtà si fondono, sfumando i confini tra l’intimo e l’universale, tra il concreto e il fantastico.

In un tempo in cui si discute di “letteratura contemporanea” come insieme aperto, non più centrato su una sola madrelingua o su un’unica tradizione, questi tre giorni di discussione hanno offerto pertanto un segno tangibile di quanto una tale trasformazione stia diventando sempre più attuale anche in terra albanese.  


*Fabio M. Rocchi è docente di Letteratura Comparata presso il Dipartimento di Lettere della Facoltà di Storia e Filologia di Tirana e ha incarichi presso la Facoltà Aldo Moro di Bari. Nel 2021 ha pubblicato il volume Le prime voci dell’italofonia albanese. Altri suoi studi sono stati dedicati alla figura di Ismail Kadare e alle sue connessioni con la letteratura internazionale. 

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Redazione
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