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Moldova e Ucraina nella morsa del “coupling”: un test di coerenza per l’Ue

Lo scorso 4 luglio a Chișinău si è tenuto il primo summit Ue-Moldova, con la partecipazione della presidente della Commissione europea Ursula von der Leyen, del presidente del Consiglio europeo António Costa e della presidente moldava Maia Sandu.

Il summit ha enfatizzato il supporto finanziario accordato nell’ottobre 2024 con il Piano europeo di crescita per la Moldova, del valore di 1,9 miliardi di euro tra prestiti e sovvenzioni da erogare nei prossimi due anni. Di questa cifra, è già stata erogata una prima tranche da 270 milioni destinata a investimenti in infrastrutture stradali, scuole, ospedali, supporto allo sviluppo economico, oltre che alla protezione del patrimonio culturale. Inoltre, i cittadini moldavi possono già beneficiare dell’inclusione nel circuito bancario europeo SEPA e, a partire dal primo gennaio 2026, del roaming gratuito in Ue.

La dichiarazione congiunta emanata dal summit ha ribadito l’impegno dell’Ue verso il percorso europeo della Moldova ma non ha specificato tempistiche concrete per l’avvio dei negoziati con l’apertura del cluster dei cosiddetti “fundamentals” (giustizia e diritti fondamentali, libertà e sicurezza, appalti pubblici, statistiche e controllo finanziario). Un ritardo che preoccupa le autorità di Chișinău, che puntano a ottenere dei progressi prima delle elezioni parlamentari di settembre per contrastare la disinformazione russa che sta influenzando il dibattito politico interno. Come sottolineato dalla vice primo ministro Cristina Gherasimov, il tempo stringe e l’avvio dei negoziati rappresenterebbe un segnale politico cruciale per rafforzare la credibilità del percorso europeo presso l’opinione pubblica moldava:

Rischiamo di dare argomentazioni inutili alla propaganda russa che sostiene che l’Ue non è interessata all’allargamento; che l’Ue non tiene conto di paesi come la Moldova; e che non c’è alcuna finestra di opportunità. […] L’allargamento è un processo fondato sul merito, e noi nutriamo la ferma speranza di vedere la fase successiva sbloccata quanto prima.

Cristina Gherasimov in un’intervista a Politico

Tuttavia, nonostante i progressi tecnici compiuti da Chișinău, la persistente sincronizzazione procedurale (detta “coupling”) con il dossier ucraino continua a condizionare i tempi e le modalità dell’integrazione moldava.

La logica del coupling

L’Ue ha infatti creato una sorta di binario unico per Moldova e Ucraina: una strategia procedurale che sincronizza artificialmente i percorsi di adesione dei due paesi, indipendentemente dai loro progressi individuali.

Questa logica implica che i negoziati con entrambi i paesi procedano di pari passo, con aperture e chiusure di capitoli negoziali coordinate, creando un sistema in cui non solo il paese più pronto deve attendere i progressi dell’altro, ma anche in cui gli ostacoli o le controversie che colpiscono un paese si ripercuotono inevitabilmente sul percorso dell’altro.

La sincronizzazione, puramente politica e che non ha fondamento nei trattati europei, tantomeno nella nuova metodologia d’adesione, emerge da una convergenza procedurale de facto che le istituzioni europee mantengono attraverso una standardizzazione del linguaggio diplomatico e delle tempistiche decisionali – tant’è che le conclusioni del Consiglio europeo del 25 giugno 2025 presentano una convergenza linguistica quasi totale tra le formulazioni utilizzate per Moldova e Ucraina nei documenti ufficiali.

Questa struttura risponde a considerazioni geopolitiche precise: i leader europei temono infatti che permettere alla Moldova di procedere più rapidamente possa suggerire la possibilità di lasciare indietro l’Ucraina, vittima del veto ungherese o di altre dispute bilaterali. Dinamiche molto chiare al governo di Kyiv, che cerca di scongiurare la possibilità di rimanere ai margini del processo di integrazione.

Ancora il veto ungherese

Il sistema decisionale dell’Ue in materia di allargamento richiede l’unanimità del Consiglio (che riunisce i leader europei) per l’apertura di ciascun cluster negoziale. L’Ungheria ha formalmente comunicato la propria opposizione all’apertura dei capitoli negoziali con l’Ucraina, motivandola formalmente con dispute bilaterali relative alla legislazione linguistica ucraina e alle restrizioni sui diritti della minoranza ungherese nel paese.

Per rafforzare la sua posizione, a fine giugno il primo ministro ungherese Viktor Orbán ha organizzato un referendum consultivo non vincolante sull’adesione dell’Ucraina all’Ue, che ha registrato una partecipazione del 38% con il 97% dei votanti contrari.

Ma l’opposizione di Orbán si inserisce chiaramente in dinamiche geopolitiche ben più ampie e riflette la sua posizione di principale alleato di Putin all’interno dell’Ue, sfruttando gli strumenti istituzionali europei per perseguire obiettivi che si allineano con gli interessi russi.

Leggi anche: Allargamento europeo a est: l’Ucraina tra i negoziati e il veto ungherese

Dal punto di vista procedurale, il veto ungherese non dovrebbe influire sui negoziati con la Moldova. Ufficialmente, infatti, Budapest sostiene la candidatura moldava all’Ue, o comunque non ha mai espresso pareri contrari né ha minacciato di porre il veto. Nella pratica, tuttavia, finché i due processi rimarranno legati, la Moldova rischierà di finire intrappolata in dispute bilaterali che non la coinvolgono direttamente.

Inefficienza o logiche strategiche?

La tecnica non è nuova, e il caso di Albania e Macedonia del Nord illustra come l’Ue abbia già sperimentato questo approccio con risultati che dovrebbero informare le decisioni attuali: dal 2020 al 2022, il veto posto dalla Bulgaria sulla Macedonia del Nord per questioni storico-linguistiche ha messo in stallo anche l’Albania, che non era oggetto di opposizione diretta ma rimaneva legata a Skopje nella logica del coupling. L’Albania si è trovata quindi ostaggio di dispute bilaterali che non la riguardavano direttamente, comportando un ritardo di due anni per il paese illirico che dal punto di vista tecnico era pronto per procedere. Solo nel 2024 l’Ue ha finalmente separato i due percorsi, permettendo all’Albania di procedere autonomamente.

Nonostante questo, Bruxelles si trova a replicare lo stesso schema con Moldova e Ucraina, suggerendo la presenza di logiche di convenienza oltre alle inefficienze procedurali.

Dal punto di vista dell’efficienza, in realtà, il coupling crea più problemi di quanti ne risolva: la Moldova, con una popolazione di 2,6 milioni di abitanti e un PIL di circa 14 miliardi di euro, presenta una complessità amministrativa e di integrazione notevolmente inferiore rispetto all’Ucraina. La capacità di assorbimento delle istituzioni moldave è limitata, ma la struttura statale e la dimensione ridotta del paese semplificano notevolmente il processo di recepimento dell’acquis communautaire, consentendo un monitoraggio dei progressi più diretto e sistematico.

D’altro canto l’Ucraina, con 37 milioni di abitanti e un PIL di oltre 160 miliardi di euro, ha chiaramente delle sfide di ordine di grandezza superiore. L’invasione in corso, oltre a lasciare aperta la questione della sovranità sui territori occupati, complica ulteriormente la valutazione tecnica delle capacità amministrative e dell’applicazione dell’acquis communautaire in diverse regioni del paese.

Si tratta quindi di due realtà nazionali di scala completamente diversa, tanto in termini demografici quanto di complessità amministrativa, che dal punto di vista tecnico giustificherebbero percorsi di integrazione differenziati. La logica del coupling impone invece al dossier moldavo i tempi e le complessità del dossier ucraino, creando un collo di bottiglia procedurale che non trova giustificazione nella valutazione tecnica dei progressi di ciascun paese.

Inoltre, tutto ciò contraddice il principio della nuova metodologia di allargamento, adottata nel 2020, che enfatizza il principio della reversibilità e del merito individuale. Secondo questa metodologia, ciascun paese candidato dovrebbe progredire sulla base dei propri meriti specifici, con la possibilità di sospendere o accelerare i negoziati in funzione delle performance individuali.

Abbandonare questa logica (“decoupling”) permetterebbe di monitorare la nuova metodologia di allargamento in maniera più efficace e permetterebbe una valutazione più indipendente del processo, consentendo che le performance tecniche si riflettano effettivamente in progressi sui capitoli negoziali.

Test di coerenza per l’Ue

Il decoupling rappresenterebbe quindi un test di coerenza per l’Ue.

Le discussioni sull’abbandono – o meno – dell’accoppiamento procedurale di Ucraina e Moldova si inseriscono in un contesto più ampio di inadeguatezza strutturale dell’architettura decisionale europea rispetto alle sfide dell’allargamento, basata su meccanismi decisionali che richiedono l’unanimità per i passaggi cruciali dei negoziati di adesione.

La Conferenza sul Futuro dell’Europa ha evidenziato la necessità di riforme strutturali prima di procedere con ulteriori allargamenti, inclusa la revisione del sistema di voto all’unanimità e il rafforzamento delle capacità decisionali delle istituzioni europee. La stessa von der Leyen, al momento dell’insediamento nel suo secondo mandato, ha menzionato la possibilità di apportare dei cambiamenti ai trattati dell’Unione. Tuttavia, il processo di riforma istituzionale non è ancora stato avviato.

In questo contesto, il pacchetto Moldova-Ucraina offre alle istituzioni europee un meccanismo di gestione temporale che consente di ritardare de facto lo svolgimento dei negoziati senza assumere la responsabilità politica di tale ritardo.

Leggi anche: Il futuro dei Balcani occidentali è davvero nell’Unione europea?

È chiaro infatti che né l’Ucraina né la Moldova sono realmente pronte per un’adesione imminente: anche la Moldova affronta sfide strutturali significative, in primis la questione della Transnistria e della sovranità territoriale della Moldova, che difficilmente l’Ue potrà ignorare e che potrebbe ritardare l’adesione per anni, indipendentemente dai progressi tecnici compiuti da Chișinău.

La vera questione, in sostanza, non è se il decoupling accelererebbe l’adesione moldava, ma se l’Ue sia disposta ad applicare coerentemente i propri criteri di condizionalità anche quando ciò significa confrontarsi con le conseguenze geopolitiche delle proprie decisioni.

La struttura attuale infatti maschera la fatica dell’Ue nell’affrontare le complessità reali dell’allargamento orientale. Spezzare questo processo eliminerebbe questa copertura procedurale, costringendo l’Ue a confrontarsi direttamente con le proprie ambiguità politiche sull’allargamento.

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Giulia Pilia
Giulia Pilia

Laureata in Scienze Politiche (Studi sull’Est Europa) e in Governance locale all’Università di Bologna, ha studiato e lavorato in Lituania, Slovenia e Ucraina, dove si è occupata di sicurezza e reti energetiche, comunità locali e IDP. Lavora nel campo dell’integrazione europea, sviluppo locale e osservazione elettorale.