di Maroš Cuník*
Un recente sversamento di petrolio nel Mar Nero che ha coinvolto due petroliere russe ha posto sotto i riflettori i problemi ambientali che tutt’ora affliggono la regione. Inevitabilmente oscurato dalle preoccupazioni sulla linea del fronte in Ucraina, questo episodio richiama l’attenzione sui rischi legati all’attività marittima e alle tensioni geopolitiche nella regione. Sarà necessario un rinnovato sforzo di cooperazione tra i paesi dell’area per affrontare tali sfide.
Nel dicembre 2024, i media hanno riportato il disastro che ha coinvolto due petroliere russe nei pressi dello stretto di Kerč’. Le petroliere Volgoneft 212 e Volgoneft 239, che trasportavano olio combustibile per la Marina russa, hanno subito danni. Secondo le informazioni ufficiali, più di 2mila tonnellate di olio combustibile si sono riversate nelle acque del Mar Nero. Questo disastro ha compromesso significativamente gli ecosistemi marini e costieri. Tuttavia, questo incidente non è solo una catastrofe ecologica, ma presenta anche gravi dimensioni geopolitiche e di sicurezza.
Innanzitutto, la tragedia mette in luce le problematiche relative al rispetto degli standard e delle norme internazionali da parte della Russia. Entrambe le petroliere erano state costruite più di 50 anni fa. Sebbene consentissero un doppio utilizzo sia sulle vie navigabili interne che in mare aperto, erano state progettate per quest’ultima opzione solo in caso di condizioni meteorologiche favorevoli. Tuttavia, queste erano tutt’altro che ideali al momento dell’incidente a metà dicembre. Considerata l’età delle imbarcazioni e la possibile modernizzazione non autorizzata di almeno una di esse, presentavano gravi rischi.
In secondo luogo, lo sversamento di petrolio è una manifestazione delle conseguenze della guerra in Ucraina. La militarizzazione del Mar Nero lo ha trasformato da spazio comune a campo di battaglia conteso. Le circostanze di sicurezza nella regione sono estremamente tese e la situazione è ulteriormente complicata dai disastri ambientali. La distruzione della diga di Kachovka e gli incendi sulle piattaforme petrolifere nel Mar Nero sono soltanto conseguenze del conflitto armato nella regione.
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Tutti questi eventi dimostrano anche una preoccupante assenza di responsabilità ambientale in tempo di guerra. La riluttanza a prevenire i disastri, o almeno a mitigarli in maniera efficace, trasforma le crisi ecologiche in uno strumento strategico. Inoltre, l’approccio poco convinto della Russia nell’eliminare le conseguenze di questo disastro mina significativamente le prospettive di un’ampia cooperazione internazionale.
Il Mar Nero come spazio conteso
Il Mar Nero si trova su un importante confine geopolitico. Confina con paesi membri della Nato (Bulgaria, Romania e Turchia), paesi candidati all’Ue (Ucraina e Georgia) e Russia, compresi i territori sotto il suo controllo. I singoli paesi della regione hanno interessi diversi che possono essere un ostacolo significativo a una cooperazione efficace. Ma il fatto che il carburante fuoriuscito abbia raggiunto le spiagge georgiane suggerisce che la natura e i disastri siano indifferenti a queste categorie umane.
Tuttavia, l’incidente e le sue conseguenze indicano un problema significativo nella regione del Mar Nero: la mancanza di una governance efficace. La Convenzione di Montreux, firmata quasi 100 anni fa, regola l’accesso al Mar Nero ma non dice nulla sugli standard di sicurezza o ambientali. La regione soffre quindi come un tipico esempio della “tragedia dei beni comuni”.
Inoltre, il disastro delle petroliere Volgoneft non fa che confermare questa visione. La Russia sta usando delle petroliere obsolete della sua “flotta ombra” per aggirare le sanzioni volte a limitare la capacità del Cremlino di finanziare la guerra in Ucraina. Tuttavia, una conseguenza indesiderata di ciò è che consente indirettamente dei comportamenti che pongono rischi significativi. E l’incapacità di far rispettare le leggi e le norme internazionali crea uno spazio per azioni sempre più insostenibili.
Tuttavia, la questione della fuoriuscita di carburante può anche essere concettualizzato al di là del contesto più ampio dei rischi ambientali. È legittimo considerarla uno strumento ibrido usato dalla Federazione Russa. L’impiego di petroliere obsolete rappresenta un rischio significativo che ha il potenziale di destabilizzare i paesi vicini senza un conflitto diretto. Questa azione consente alla Russia di proiettare il proprio potere nella regione sfruttando le crisi ambientali e minando la stabilità dell’intera regione.
Possibilità di cooperazione?
L’idea che il problema sia semplicemente una sfida, e che la sfida presenti un’opportunità, è generalmente molto produttiva. Questo approccio sarebbe adatto anche per la Nato e i suoi partner. Come attori regionali, essi condividono non solo le acque del Mar Nero ma anche i suoi benefici e rischi. Affrontare questo disastro richiede collaborazione – dalle operazioni di bonifica e monitoraggio all’applicazione delle regole. La Nato e l’Unione Europea dovrebbero cogliere questa opportunità, assumendo un ruolo di guida oltre a fornire le risorse tecniche e finanziarie.
Ci sono infatti degli ostacoli a una possibile cooperazione. Approcci non ortodossi all’applicazione delle regole e standard internazionali minano l’entusiasmo e la fiducia tra gli stati. I singoli paesi hanno anche diverse capacità economiche e istituzionali che possono complicare l’azione congiunta. Tuttavia, trascurare la loro responsabilità collettiva può alimentare ulteriormente i problemi che rendono il Mar Nero suscettibile alle crisi.
I singoli governi devono essere consapevoli dei potenziali danni della situazione. La fuoriuscita di prodotti petroliferi rappresenta una seria minaccia per le economie locali, in particolare la pesca e il turismo. Il mancato intervento su questa e altre crisi potrebbe portare a serie conseguenze economiche e tensioni politiche. I paesi con sistemi di governance più deboli dovrebbero essere particolarmente attenti a queste potenziali conseguenze.
Suggerimenti per lo sviluppo
La fuoriuscita di petrolio nel Mar Nero non è solo un disastro ambientale. L’incidente riflette le implicazioni strategiche del lassismo ambientale nei contesti geopolitici. L’uso di imbarcazioni obsolete da parte della Russia potrebbe non riflettere semplicemente trascuratezza, ma potrebbe rappresentare un rischio calcolato finalizzato a testare la capacità della Nato e dell’Ue a rispondere a minacce non militari. Pertanto, è importante prima di tutto risolvere la crisi acuta. In secondo luogo, è necessario affrontare le cause che hanno portato a questo incidente.
Questa crisi è un’opportunità di cooperazione regionale che va oltre l’immediata bonifica dell’ambiente locale. È fondamentale creare meccanismi di governance moderni nella regione del Mar Nero che siano capaci di affrontare le attuali sfide in materia di sicurezza. L’attenzione dovrebbe essere rivolta non soltanto all’applicazione degli standard internazionali esistenti, ma anche ad affrontare la questione delle minacce ambientali come un potenziale strumento di guerra ibrida. Questo incidente dimostra che questi disastri possono avere conseguenze paragonabili alle minacce militari convenzionali.
Allo stesso tempo, l’attuale reazione dei partner nella regione del Mar Nero avrà un impatto sulle soluzioni future alle crisi ambientali e di sicurezza. Sono necessari degli immediati sforzi integrati e strategici. Altrimenti, il Mar Nero rischia di diventare non solo una zona di disastri ecologici, ma anche una regione soggetta ad attività incontrollate che minano la stabilità regionale. Oggi i paesi della regione non stanno scegliendo tra cooperazione e indipendenza. Stanno scegliendo tra scoraggiare comportamenti simili o accettarli come pratica comune.
*Maroš Cuník è un analista dei rischi con sede in Slovacchia e South Caucasus associate di GeopoLytics. È specializzato in difesa, sicurezza, politica e questioni sociali nell’Europa orientale e nel Caucaso meridionale. Maroš ha conseguito lauree specialistiche in politica comparata e studi sulla Russia, Europa centrale e orientale. Ha esperienza professionale come analista per il Ministero della difesa slovacco e come consulente della Nato a Tbilisi, Georgia, dove ha supportato il rafforzamento delle capacità di difesa.
Questo articolo è stato originariamente pubblicato da New Eastern Europe, rivista bimestrale dedicata all’Europa centrale e orientale. La traduzione dall’inglese è a cura di Giulia Pilia.