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Lo yazidismo in Armenia e il tempio di Ria Taza

di Michele Santolini*

Disteso lungo la strada che collega Erevan alla provincia settentrionale del Lori, alle pendici del monte Aragats, il piccolo e dimesso villaggio di Ria Taza non lascia presagire alcuna particolarità agli occhi di un avventore impreparato. La nostra stessa guida ha sommariamente introdotto l’obiettivo della visita come “una chiesa curda”. Eppure, l’acuminata cupola bianca dalle scanalature sfaccettate che svetta al centro dell’abitato è custode di una delle poche testimonianze dello yazidismo in Armenia, che con i suoi circa 30mila fedeli rappresenta la seconda religione del paese per numero di praticanti.

Ad accoglierci è un sacerdote dall’elaborata barba e il volto severo, indosso ha un manto candido e un copricapo a fasce ricamato, simile a un turbante. Dopo un brusco cenno col capo ci invita a lasciare le scarpe all’ingresso e ci fa strada all’interno dell’edificio, che si presenta semplice ma estremamente nuovo e curato.

Ovunque ricorre la figura del pavone, simbolo di Melek Ṭāʾūs (lett. “l’angelo pavone”), entità demiurgica centrale in seno alla cosmogonia yazida. L’erronea associazione da parte di cristiani e musulmani di Melek Ṭāʾūs a Satana nel corso dei secoli, a causa dell’analogia di fondo nel tema dell’angelo caduto portatore di luce, ha frequentemente alimentato persecuzioni e violenze nei confronti dei membri della religione.

Yazidismo in Armenia
La figura del pavone nel tempio di Ria Taza (Meridiano 13/Michele Santolini)

Alzando lo sguardo un grande lampadario a forma di sole, ritenuto emanazione dell’angelo pavone, illumina tenuamente la piccola sala del luogo di culto a pianta centrale. Tutto è rigorosamente bianco, il colore della purezza, della lealtà e dell’indissolubilità dell’unione matrimoniale nella fede yazida. Un piccolo porticato collega il tempio a un edificio antistante, dove i fedeli celebrano matrimoni e altre festività di grande importanza. Chiunque sia appassionato di religioni ed etnografia non può che cogliere il fascino del mosaico di culture che costituisce il Caucaso e di cui lo yazidisimo rappresenta forse uno degli aspetti meno conosciuti.

Yazidismo in Armenia
Il lampadario a forma di sole (Meridiano 13/Michele Santolini)

Gli yazidi

Gli yazidi sono un gruppo etno-religioso di lingua curda kurmanji, talvolta descritti come curdi di fede yazida, malgrado una larga parte di essi si consideri un popolo a sé stante. Lo yazidismo è una religione sincretica che affonda le proprie radici negli ancestrali culti pre-zoroastriani dei popoli iranici, a cui con il tempo si sono accavallati elementi dello zoroastrismo vero e proprio e dell’islam.

Per saperne di più sullo zoroastrismo, un’altra religione ancora praticata nel Caucaso, leggi questo articolo.

Nacque e si sviluppò in maniera organizzata nell’XI secolo sulla base della predicazione di Adi ibn Musafir, fondatore dell’ordine sufi Adawiyya, che si stanziò in alcune valli dell’attuale Iraq settentrionale dove l’islam non si era ancora affermato e in cui poi la religione attecchì e trovò seguito.

Gli yazidi credono in unico dio, dai molteplici nomi, al quale si affiancano sette entità divine, o angeli, fra cui spicca in un ruolo primario Melek Ṭāʾūs. A causa della grande riservatezza sulle proprie pratiche e della stretta endogamia vigente all’interno della comunità, poco è noto della religione yazida al di fuori dei suoi fondamenti basilari, come la credenza nella metempsicosi delle anime e la pratica del battesimo. Ferocemente perseguitati durante il crepuscolo dell’Impero ottomano, numerosi yazidi ripararono in diverse ondate in Armenia, allora parte dell’Impero russo, a seguito dei massacri Hamidiani di fine Ottocento e durante la Prima guerra mondiale.

La situazione attuale dello yazidismo in Armenia

In seguito all’ascesa dello Stato Islamico nel Kurdistan iracheno fra il 2013 e il 2014, un riflusso di violenze sistematiche ha colpito gli yazidi, in quello che è stato pienamente riconosciuto dalle Nazioni Unite come un genocidio. Si stima che più di 5mila donne yazide siano state tenute in condizioni di schiavitù sessuale e costrette a conversioni forzate da parte dei combattenti dello Stato Islamico, mentre esecuzioni sommarie, come il massacro di Sinjar, sono state ripetutamente perpetrate contro gli uomini. Il genocidio ha innescato un esodo di massa portando quasi la metà degli yazidi a lasciare le proprie terre natali di Iraq e Siria per l’estero.

Per saperne di più su questo genocidio, consigliamo la lettura del volume Il genocidio degli yazidi di Simone Zoppellaro (Guerini e Associati, 2017)

Malgrado le dimensioni relativamente piccole della comunità nel paese, in confronto ai ben 200mila membri della diaspora in Germania, l’Armenia rappresenta un polo particolarmente importante per la conservazione e la tutela della cultura yazida messa a repentaglio dal genocidio. Sin dal periodo sovietico la produzione di pellicole dedicate alla storia curda, come il celebre Zare (1926), e la pubblicazione di riviste culturali in lingua favorirono il consolidamento degli yazidi nella società armena.

Insieme al più noto tempio gemello di Quba Mêrê Dîwanê, il più grande al mondo, l’apertura nel 2020 di Ria Taza costituisce un esempio concreto del rinascimento culturale yazida in Armenia in corso negli ultimi anni. Entrambi sono stati modellati su esempio dei templi di Lalish in Iraq, ritenuta la valle santa degli yazidi dove ogni fedele è tenuto a effettuare almeno un pellegrinaggio nel corso della propria vita.

Inoltre, al momento è presente a Erevan uno dei pochi monumenti al mondo dedicati al genocidio degli yazidi ed è stato inaugurato nella vicina Vagharshapat il primo teatro nazionale yazidi. Alla comunità è anche stato riservato un seggio speciale in parlamento ed è presente un’Unione nazionale degli yazidi a tutela dei loro diritti. A ulteriore riprova dell’integrazione degli yazidi, è da segnalare anche la loro vasta partecipazione alle guerre del Nagorno-Karabakh a fianco della causa armena in battaglioni propri.

Yazidismo in Armenia
(Meridiano 13/Michele Santolini)

Tuttavia permangono, in una società largamente omogenea come quella armena, istanze di discriminazione, come testimoniato dal processo del 2021 nei confronti dell’attivista yazida per i diritti umani Sashik Sultanian, espressamente criticato dall’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i diritti umani (OHCHR). Altro punto sensibile, è il riconoscimento ufficiale di “gruppo etnico” ricevuto da parte dell’Armenia, in rottura con l’approccio sovietico volto a categorizzare gli yazidi come curdi. Seppur tale politica abbia ottenuto il plauso dell’Unione nazionale degli yazidi, è stata al contrario vista da molti come un tentativo di diluire l’identità curda nel paese e assimilare gli yazidi.

Nonostante queste criticità, l’Armenia rimane una seconda casa per il popolo dell’angelo pavone e un prezioso veicolo di promozione internazionale per il proprio patrimonio culturale, tuttora pressoché sconosciuto in Occidente al di fuori degli ambienti della diaspora. Dalla sua apertura, Quba Mêrê Dîwanê riceve costantemente un afflusso di turismo sempre più in crescita, soprattutto da Francia e Germania, e l’auspicio è che altre realtà, quali Ria Taze, possano ricevere un simile e adeguato riconoscimento. Difficile dire quanto ciò possa concretamente materializzarsi, ma il dinamismo culturale della comunità yazida in Armenia e l’apertura di nuovi spazi di affermazione sembrano suggerire dei primi passi in questa direzione.

*Michele Santolini è laureando in relazioni internazionali della doppia magistrale LUISS-ULB. Da sempre appassionato di spazio post-sovietico, vicinato orientale e Balcani, al momento sta focalizzando le proprie ricerche sulle dinamiche politiche e i conflitti del Caucaso meridionale.

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Redazione
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