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L’Armenia è la patria dei System of a Down

Il 4 ottobre 2020, il cellulare del cantante e attivista armeno-americano Serj Tankian si illumina. Sul display appare un messaggio che più o meno dice: “Non importa cosa pensiamo l’uno dell’altro, non importa quali problemi ci siano stati nel passato, dobbiamo metterli da parte perché quello che sta accadendo è più grande dei System of a Down e più grande di tutti noi… dobbiamo fare qualcosa per sostenere il nostro popolo”. A inviarlo è stato John Dolmayan, batterista del gruppo americano. La proposta viene subito accolta da tutti i componenti della band e nel giro di qualche tempo escono due tracce: “Protect The Land” e “Genocidal Humanoidz”, prodotte dal chitarrista Daron Malakian, disponibili online e le cui royalties andranno a supportare l’Armenia Fund.

Leggi anche: Un altro settembre di guerra tra Armenia e Azerbaigian

Ma da dove arriva questo rapporto così stretto fra il gruppo americano e il paese caucasico? Daron Malakian (chitarre, voce), Serj Tankian (voce), Shavo Odadjian (basso) e John Dolmayan (batteria) sono tutti discendenti di superstiti del genocidio armeno del 1915. Queste radici sono da sempre presenti nella loro produzione musicale, che si è poi tradotta anche in un impegno politico. Non a caso, in un’intervista a The Guardian, Tankian indica il concerto del 23 aprile 2015 in piazza della Repubblica a Erevan come il più importante della storia della formazione. Trentasette canzoni e due ore e mezza di musica, con “l’opprimente sensazione di appartenenza”.

I System of a Down e il genocidio armeno

Tankian è sempre stato in prima linea per il riconoscimento del “genocidio” in quanto tale, senza giri di parole, scagliandosi anche contro l’ex presidente statunitense Barak Obama, che sull’uso del termine era molto cauto, se non riluttante. Già nel primo album della band, nel 1998, il brano “PLUCK (Politically Lying, Unholy, Cowardly Killers)” si chiude con esplicito riferimento ai fatti dell’inizio del Ventesimo secolo, che Tankian ha ascoltato direttamente dalle parole del nonno, il quale aveva solo cinque anni quando perse il padre vittima delle atrocità contro gli armeni. 

La vicinanza al paese e l’impegno per il riconoscimento del genocidio non hanno però impedito a Tankian e ai SOAD di prendere le distanze dal governo di Serzh Sargsyan, accusato di autoritarismo e corruzione. Così quando nel 2018 è scoppiata la rivoluzione, guidata anche dall’attuale leader del paese Nikol Pashinyan, il cantante ha raggiunto Erevan invitando diversi componenti della diaspora americana ad unirsi a lui.

La guerra del Nagorno-Karabakh del 2020

I fatti del 2020, con la nuova guerra del Nagorno-Karabakh, sono stati una sorta di campanello d’allarme per il gruppo americano. Nelle immagini hanno fatto sentire di nuovo il peso di quello che avevano ascoltato dai superstiti nel quartiere di Little Armenia, a Los Angeles. Le due tracce uscite il 6 novembre 2020 rappresentano il primo lavoro del gruppo da quindici anni a questa parte, dai tempi di “Mesmerize and Hypnotize”. Nel frattempo i componenti avevano preso strade diverse, anche a causa delle diverse visioni sull’impegno sociale e politico da tenere e su questioni musicali. Gli altri componenti del gruppo non condividevano in pieno la centralità dell’attivismo di Tankian, che aveva intrapreso anche la carriera da solista. Nonostante nel 2010 il gruppo avesse ripreso a suonare, non era stato inciso nessun nuovo disco, proprio a causa di un’ormai diversa visione artistica.

Quando tuttavia i componenti hanno visto il loro paese in pericolo è bastato poco per mettere da parte i dissidi e tornare assieme. Daron Malakian aveva già pronta “Protect the land”, scritta nel 2019, mentre “Genocidal Humanoidz” nasce una jam session tenuta da Malakian, Dolmayan e Odadjian tra il 2016 e il 2017. 

La crisi di settembre 2022

Nei giorni passati, subito dopo i primi attacchi azeri su territorio armeno, i System of a Down hanno immediatamente preso posizione tramite il profilo twitter del cantante:

Intorno alla mezzanotte del 12 settembre 2022, le forze dell’Azerbaigian guidate dal loro leader petro-oligarchico corrotto Aliyev hanno attaccato l’intero confine orientale dell’Armenia bombardando le infrastrutture civili e le case. Il loro obiettivo è terrorizzare gli armeni e ottenere più concessioni dall’Armenia insieme al cambio di regime in una delle poche democrazie dell’intera regione. Sono passati 2 anni dall’attacco al Nagorno-Karabakh nel tentativo di ripulire etnicamente la regione dagli armeni. Sono stati incoraggiati dalla percezione della dipendenza dell’UE dal loro gas naturale e dell’indebolimento dell’egemonia russa nella regione.

Come band abbiamo sempre fatto del nostro meglio per intrattenere e informare. Abbiamo amici e parenti in pericolo in Armenia in questo momento e siamo estremamente preoccupati per la sicurezza del nostro popolo e del nostro paese. A differenza della guerra in Ucraina, il nemico non è la Russia, quindi la stampa occidentale è stata lenta a reagire e ha persino commesso l’errore mortale dell’equidistanza, trattando l’attacco come una disputa di confine quando è chiaramente un attacco mortale allo stato sovrano dell’Armenia. Chiediamo il vostro aiuto per spargere la voce su questa malvagia aggressione dell’Azerbaigian, sostenuta dalla Turchia, il paese che ha commesso il genocidio contro il nostro popolo. 

Per favore ripubblica o ritwitta questo messaggio e usa gli hashtag #Armenia #StandWithArmenia.

Grazie. Daron, Shavo, John e Serj.

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Foto copertina da El Club del Rock

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Gianni Galleri
Gianni Galleri

Autore dei libri “Questo è il mio posto” e “Curva Est” - di cui anima l’omonima pagina Facebook - (Urbone Publishing), "Predrag difende Sarajevo" (Garrincha edizioni) e "Balkan Football Club (Bottega Errante Edizioni), e dei podcast “Lokomotiv” e “Conference Call”. Fra le sue collaborazioni passate e presenti SportPeople, L’Ultimo Uomo, QuattroTreTre e Linea Mediana. Da settembre 2019 a dicembre 2021 ha coordinato la redazione sportiva di East Journal.