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Il sound dei Darkwood Dub nella Belgrado degli anni Novanta

«La musica balcanica ci ha rotto i coglioni è bella e tutto quanto ma alla lunga rompe i coglioni». 

Così cantavano Elio e le Storie Tese nel 2013 in Complesso del Primo Maggio. E, diciamolo, lo hanno pensato un po’ tutti almeno una volta. Anche noi che amiamo perderci in quelle atmosfere.

Per il grande pubblico, “musica balcanica” è sinonimo di Goran Bregović, trombe, fisarmoniche, luoghi pieni di fumo dove si ballano ritmi gitani. Una visione corretta ma estremamente parziale rispetto alla varietà di generi e sperimentazioni che ha animato lo spazio (post)jugoslavo negli ultimi decenni: dallo jugorock, nato negli anni Sessanta, alla provocatoria poliedricità dei Dubioza Kolektiv, probabilmente il gruppo più famoso degli ultimi anni, passando per il turbofolk, miscela sonora esplosa tra anni Ottanta e Novanta.

Generi diversi tra loro, come diversi sono stati i periodi storici e i contesti sociali in cui sono nati. Tra gli innumerevoli gruppi della scena, jugoslava prima e serba dopo, ce n’è uno la cui biografia sembra aver assorbito perfettamente le trasformazioni del mondo circostante e le difficoltà dettate da una Storia in rapido e sconvolgente movimento: i Darkwood Dub.

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Grande è la confusione sotto il cielo

È l’autunno del 1988 quando, a Belgrado, cinque ragazzi decidono di formare una band composta da due batteristi, due bassisti e un cantante. Quelli tra Ottanta e Novanta erano per la Jugoslavia anni molto complessi. Il Maresciallo Josip Broz Tito era morto nel maggio 1980 e, con lui, l’equilibrio che teneva in piedi una Federazione composta da sei Repubbliche e due Province autonome. La crisi economica colpiva duramente un paese che fino a un decennio prima aveva conosciuto importanti livelli di crescita e un peso internazionale non indifferente. Gli scontri tra le dirigenze nazionali, alimentati anche da tendenze liberali in campo economico, alimentavano un clima di crescente tensione.

La Belgrado in cui Vladimir Jerić “Vlidi”, Bojan Drobac “Bambi”, Dejan Vučetić “Vuča”, Milorad Ristić “Miki” e Lav Bratuša fondano i Darkwood Dub era una città che perdeva lentamente il ruolo guida della Federazione e di quel gruppo di paesi riuniti nel Movimento dei Non Allineati. Una città travolta dalla retorica nazionalista, dai discorsi di guerra, da una transizione politica ed economica solo agli inizi, in cui giungeva forte l’eco degli imponenti scioperi dei lavoratori contro le privatizzazioni.

Anche in ambito musicale le cose sembravano cambiare, senza prendere una direzione univoca. Già negli ultimi anni di attività, lo storico gruppo dei Bijelo Dugme, fondato da Goran Bregović, aveva abbandonato l’hard rock per avvicinarsi al pop e alla new wave prima di sciogliersi nel 1989. Non se la passavano bene neppure gli Zabranjeno Pušenje, uno dei gruppi rock più popolari degli anni Ottanta. Nel 1988 era stato pubblicato il loro ultimo album, Male priče o velikoj ljubavi (Piccole storie su un grande amore), prima che la guerra dividesse anche la band.

Il rock aveva avuto grande fortuna nella Jugoslavia socialista anche grazie al supporto delle istituzioni culturali del paese. A fine anni Ottanta però, il clima era del tutto diverso. La contestazione per una maggiore democratizzazione del sistema assumeva caratteri sempre più nazionalisti. Erano gli anni dell’ascesa di Slobodan Milošević in Serbia, sostenuto da un’ampia fetta della popolazione convinta di esser stata umiliata e perseguitata dalle altre componenti nazionali.

Tra il 1988 e il 1989 il leader serbo lanciò la cosiddetta Rivoluzione burocratica, una serie di imponenti manifestazioni organizzate in Serbia, Montenegro e Kosovo che si poneva come obiettivo un deciso cambio di rotta nelle politiche del partito. Nei due anni successivi la situazione cambiò velocemente, con la nascita dei primi partiti post-comunisti in tutta la Federazione fino alla rottura definitiva tra le dirigenze nazionali della Lega dei Comunisti del 20 gennaio 1990, giorno dell’ultimo congresso del partito.

La costruzione di stati nazione omogenei, in contrapposizione al carattere multietnico e multiconfessionale del sistema jugoslavo, necessitava della creazione di un nuovo vocabolario, di una nuova narrazione e di un nuovo immaginario. A questo processo contribuì in maniera determinante il turbofolk, considerato a tutti gli effetti come un genere “nazionalista”. Risultato di una forte contaminazione tra musica tradizionale, elettronica, rap e dance europea, i testi delle canzoni turbofolk diffondevano la retorica patriottica, senza disdegnare continui rimandi al militarismo più spinto. Tutto accompagnato da uno stile estetico kitsch che a volte sconfinava nel cattivo gusto. Non è un caso che la rappresentante più famosa e di successo di questo genere di musica sia stata la cantante Ceca, al secolo Svetlana Veličković, moglie di Željko Ražnatović, noto come Arkan e famoso leader delle Tigri.

L’esordio

E’ in questo contesto che nascono i Darkwood Dub. L’ispirazione per il nome della band arrivò dal fumetto italiano Zagor. Rimasto orfano a causa della guerra, Zagor viveva in una foresta nel nord est degli Stati Uniti, chiamata proprio Darkwood. Da lì organizzava e lanciava una dura battaglia per la pace e la protezione dei nativi americani dando la caccia ai criminali. E proprio come in una foresta buia, i Darkwood Dub si muovevano in più direzioni, mostrando una confusione creativa capace di tenere insieme una varietà di generi musicali spesso distanti anni luce.

Sin dal loro primo album, la band ha dovuto fare i conti con gli eventi tragici di quegli anni. Eventi a cui rispose in maniera ben precisa: da un lato con il rifiuto di dedicarsi al turbofolk, una scelta che portava con sé una netta presa di posizione politica contro il nazionalismo, dall’altro la decisione di pubblicare i primi pezzi con l’etichetta Nova Aleksandrija di Zagabria (Croazia). Lo scoppio della guerra nel 1992 rese praticamente impossibile la loro commercializzazione fuori dalla Croazia, impedendo così al gruppo di farsi conoscere dal grande pubblico serbo. Il primo album, Paramparčad (In mille pezzi), venne prodotto in piena guerra (tra il 1992 e il 1993) ma vide la luce solo dopo la sua conclusione nel 1995.

Ascoltandolo è impossibile non rimanere sorpresi dall’ecletticità della band, capace di saltare dall’indie rock al punk, passando per il reggae. I testi, pur non attaccando direttamente il regime e la guerra, rievocavano il clima di diffidenza e paura tra la popolazione, sentimenti costantemente alimentati dalle autorità. Forse è proprio a questa diffidenza che fa riferimento la canzone Zgodna šala (Bello scherzo): 

«In ascensore o al parco In autobus o in un corridoio Forse voglio incontrare qualcuno È un incontro o un’imboscata O una bugia o un inganno».

Nel brano Nevidljivi ujak (Lo zio invisibile) invece, si fa riferimento a una “donna serpente”. Il testo minimale, caratteristica del gruppo, lascia spazio a diverse interpretazioni. Una di queste potrebbe essere quella che vede nella “donna serpente” un riferimento a Vesna Zmijanac, la cantante folk più famosa in Serbia in quegli anni. Il cognome dell’artista contiene infatti la parola zmija che in serbo significa proprio serpente.

Negli anni in cui la band registrava il suo disco, la Zmijanac aveva una relazione con Milorad Vučelić, uomo in vista del Partito Socialista Serbo (SPS) di Milošević nonché Direttore generale di RTS (la TV di stato pubblica) tra il 1992 e il 1995. In quel periodo la censura e la costruzione di un nemico interno giocarono un ruolo fondamentale per il mantenimento del potere da parte di Milošević. E Vučelić, controllando direttamente la tv pubblica, contribuì in maniera determinante. Non è difficile quindi pensare ad una critica indiretta della band alla relazione tra note celebrità e uomini politici coinvolti nella guerra e nel governo.

Nonostante gli sforzi della propaganda, furono numerose le prese di posizione contrarie alla guerra da parte di artisti. Nel 1992 i tre gruppi più importanti della scena rock, Ekaterina Velika, Električni orgazam e Partibrejkers diedero vita alla band contro la guerra Rimtutituki. Il primo concerto, non autorizzato, fu una piccola street parade, con un camion in giro per le strade di Belgrado. Un’azione ripresa due anni dopo dai Desert Storm che, in una Sarajevo in pieno assedio, organizzarono un rave party durante il quale distribuirono medicinali e cibo alla popolazione stremata.

Il secondo album è sempre il più difficile

Un anno dopo la pubblicazione del primo album, nel maggio 1996 i Darkwood Dub pubblicarono la loro seconda opera, U nedogled (Nell’indefinito). L’album, considerato dalla critica come il migliore del 1996, ebbe un buon successo in patria e mostrò la progressiva attenzione della band per le sonorità elettroniche. Il brano Treći Vavilon (La terza Babilonia) rappresenta una critica al “sonno della ragione”: 

«E una testa piena di pensieri smarriti Quando la pioggia batte sui vetri Questo è ciò che mi fa addormentare più velocemente Ogni contrazione della coscienza diventa un’abitudine». 

Un tema ripreso anche in Kolotečina (La routine): 

«Uscirò dalla routine con coraggio Sveglierò i giorni dormienti con un segreto Disattiverò i programmi dannosi in modo permanente». 

Ma è il brano Sistem che in maniera esplicita incita alla rivolta: 

«Lancio pietre al sistema Colpisci proprio al centro Sistema, sistema Maledetto meccanismo». 

Impossibile non collegare queste parole a quanto accadeva nelle piazze serbe. Il 9 marzo 1996 si svolse a Belgrado una grande manifestazione che contribuì a preparare il terreno per la nascita della colazione di opposizione Zajedno (Insieme) che, sorprendentemente, vinse le elezioni amministrative del mese di novembre. La decisione del governo di invalidare le elezioni con la scusa di irregolarità provocò la reazione dell’opposizione che nei mesi successivi organizzò imponenti manifestazioni partecipate da decine di migliaia di persone. Milošević, dopo aver vietato le manifestazioni, fu costretto nel febbraio 1997 a riconoscere la vittoria di Zajedno. Le lotte intestine ai partiti della coalizione portarono però a un suo progressivo indebolimento, favorendo così il governo che rimase in carica per altri tre anni.

La consacrazione

Il vero successo per i Darkwood Dub arrivò solo nel 1999 con l’uscita dell’album Elektropionir. Come accadde per il primo disco, anche questa volta gli eventi politici costrinsero la band a rinviarne la pubblicazione. Il giorno prima l’uscita del disco, il 24 marzo 1999, la NATO lanciò un’operazione militare contro la Repubblica Federale di Jugoslavia, formata da Serbia e Montenegro, per fermare la guerra in Kosovo. Uscito nel settembre dello stesso anno, l’album ha rappresentato senza dubbio il passaggio alla maturità per il gruppo. Sia dal punto di vista musicale, pur non rinunciando mai a mescolare generi diversi tra loro, sia per i contenuti.

Quasi fosse un’anticipazione di quello che sarebbe successo nei mesi successivi, con il bombardamento delle centrali elettriche e le conseguenti interruzioni di corrente che colpirono Belgrado, Elektropionir si apriva con un brano omonimo che diceva: 

«Pioniere dell’elettro Accendi la corrente Inizia il conto alla rovescia Il futuro attende dietro l’angolo».

Ancora più esplicita la canzone Nepravda (Non è vero): 

«Sono uscito in strada Ho incontrato l’ingiustizia ero presente Sono stato attento mi sono fermato Ho guardato attentamente Ho aspettato pazientemente». 

La convinzione di esser giunti a un punto di svolta della storia riecheggia anche nel brano O pustinji (Sul deserto): 

«La verità è vicina La verità è nascosta».

Il dopo Milošević

Dopo la cacciata di Milošević, costretto alla fuga il 5 ottobre 2000, per la Serbia sembrava aprirsi un nuovo corso, destinato però a deludere le aspettative di buona parte della popolazione. Nel 2002 i Darkwood Dub pubblicarono l’album, il più venduto in Serbia, dall’emblematico titolo Život počinje u 30-oj (La vita inizia a 30 anni). Evidente, dal punto di vista musicale, il definitivo avvicinamento all’elettronica così come la voglia di riprendere una vita normale dopo un decennio di guerre, censura e crisi economica. Per il gruppo, i primi anni del nuovo millennio furono in effetti l’inizio di una nuova vita con la partecipazione ai più grandi festival della regione, come l’Exit di Novi Sad, e con la continua sperimentazione di nuove sonorità.

O danima (Sui giorni), uscito nel 2004, proseguì in questa direzione con una continua mescolanza di dub, indie pop e ritmi elettronici. I testi si fecero meno “impegnati”, rivolti più alle preoccupazioni quotidiane della vita che alla situazione politica del paese.

Ma è nel 2008 che le vicende della band raccolgono, nuovamente, l’eredità storica del passato e si intrecciano con l’attualità. In quell’anno viene infatti prodotto l’album Jedinstvo (Unità). Un titolo che rimanda allo slogan jugoslavo “Bratstvo i Jedinstvo” (Fratellanza e Unità). Esattamente come successe ai popoli jugoslavi due decenni prima però, l’unità tra i membri del gruppo era stata travolta dall’uscita del chitarrista Vladimir “Vlidi” Jerić poco prima della pubblicazione del disco. Nonostante ciò, la band non perse il suo slancio e l’anno successivo venne addirittura nominata come miglior gruppo nella categoria MTV Adria agli MTV European Awards. Nello stesso anno, il 17 febbraio, il Kosovo dichiarava la propria indipendenza rompendo definitivamente l’unità, per quanto precaria e conflittuale, con la Serbia.

Nel 2011 i Darkwood Dub, dopo essersi avvicinati al jazz grazie alla collaborazione con la cantante serba Bisera Veletanlić, diedero vita alla loro ultima opera: Vidimo Se (Ci vediamo). L’album, contenente appena nove tracce, si chiude con un brano omonimo in cui la band sembra salutare definitivamente il proprio pubblico: 

«Ci vediamo Tutto ciò che ti interessa è vicino Ad un passo o due in un dormiveglia Ci vediamo Intorno al fuoco dietro la cortina fumogena Ci vediamo».

Quasi contemporaneamente allo scioglimento della band, iniziò per la Serbia una nuova fase politica. Il 2012 infatti, consacrò definitivamente l’ascesa politica di Aleksandar Vučić, attuale presidente della Repubblica e già primo ministro (2014-2017) e soprattutto Ministro dell’Informazione durante la guerra in Kosovo. Considerato, non a torto, un autocrate, Vučić ha rapidamente trasformato il paese senza disdegnare metodi ben poco democratici come la censura nei confronti degli oppositori, la loro demonizzazione e la costruzione di una fitta rete di rapporti con le élite economiche e criminali del paese. Ma questa è un’altra storia, che dovrà fare a meno della musica dei Darkwood Dub.

Foto: Bturn.com

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Marco Siragusa
Marco Siragusa

Dottore di ricerca in Studi internazionali e giornalista, ha collaborato con diverse testate tra cui East Journal e Nena News Agency occupandosi di attualità nell’area balcanica. Coautore dei libri “Capire i Balcani Occidentali” e “Capire la Rotta Balcanica”, editi da Bottega Errante Editore. Vice-presidente di Meridiano 13 APS.